Nintendo Switch compie proprio oggi sei anni. Un tempo considerevolmente lungo, se pensiamo che non è mai stata prodotta una versione di mezzo – una 2.0 che offrisse una versione potenziata dell’hardware: certo, c’è stata una riedizione della console nel 2019 e, sempre nello stesso anno, Switch Lite, mentre a ottobre 2021 ha debuttato Switch OLED, ma nessuna di queste è mai stata un vero e proprio passo avanti in termini di prestazioni. Anzi, volendoci concedere una piccola frecciatina, sono state tutte console i cui nuovi elementi (come lo schermo OLED o, prima ancora nella versione 2019, uno meno riflettente) avrebbero già potuto implementare nella prima versione di Switch. Questo senza chiamare in causa Switch Lite, che tradisce in toto l’idea alla base del concetto che ha dato origine alla console.
Certamente non si può ridurre il tutto a questo: ai tempi della produzione di Switch, è corretto pensare che non ci fossero schermi OLED in grado di soddisfare i requisiti specifici di Nintendo. Resta però da considerare che proprio lo schermo è l’unico passo avanti sensibile in una nuova versione che non apporta altre migliorie (come invece le edizioni XL dei 2/3DS.
Nintendo non è estranea a questo genere di operazioni. Se avete seguito tutto il percorso di vita dal Nintendo 3DS in avanti (3DS, 2DS, versioni XL, New e via dicendo), capite a cosa ci stiamo riferendo. Tuttavia, non si può negare che l’azienda abbia sempre o quasi brillato non solo per originalità di design e concetti ma anche, se non soprattutto, di nomi: ogni console racchiude il nucleo del proprio elemento vincente nel nome, sebbene a prima vista in alcuni casi possa non sembrare – ed è qui che vive il vero ingegno, nel “nasconderlo” in piena vista.
Laddove aziende come Sony o Microsoft, la prima in particolare, sono rimaste fedeli alle proprie origini e hanno o aggiunto un semplice numero o modificato leggermente il nome in sé senza però trasformarlo in altro, Nintendo ha sempre cambiato le carte in tavola. Il che rende molto difficile supporre cosa verrà dopo ma il bello è anche questo: scervellarsi non (solo) su specifiche tecniche bensì, prima, su come chiameremo il nuovo erede della casa di Kyoto.
Un nome, un significato (non troppo) nascosto
Scavando nel passato di Nintendo, si vede chiaramente lo schema seguito dall’azienda nel nominare le proprie console. A cominciare dal Famicom, di cui prendiamo in considerazione solo il nome giapponese: abbreviazione di Family Computer, è stato scelto inseguendo l’idea di una famiglia riunita in salotto a giocare a questo nuovo dispositivo. Sebbene l’abbreviazione Famicom si sia sviluppata organicamente in Giappone, il creatore Masayuki Uemura era già avanti sui tempi grazie al saggio consiglio della moglie: quest’ultima infatti gli suggerì di abbreviarlo perché la parola Famicom sarebbe stata usata in ogni caso dai giapponesi stessi – e così, infatti, avvenne. Curiosamente, Uemura riportò l’idea al suo superiore che la rigettò, considerandola ridicola e senza alcun senso. Come abbiamo visto, la storia racconta ben altro.
Per il Nintendo 64 la logica dietro fu la stessa, ovvero andare a valorizzarne l’aspetto principale: in questo caso i 64 bit del suo microprocessore, nonostante il bus dati sia in realtà ridotto a 32 bit. Inoltre, vale la pena considerare che molto probabilmente la ragione principale per il nome risiede nel marketing: SNES e Genesis, al lancio, puntavano molto sul fatto che utilizzassero processori a 16 bit rispetto agli 8 dei loro predecessori. Sebbene all’atto pratico la dimensione in bit di un processore non significhi granché, all’epoca (e non è da escludere ancora oggi) il pubblico non aveva ben chiaro cosa significasse – senza considerare che non c’era l’enorme passaparola social di oggi e l’unico modo per tenersi aggiornato erano le pubblicità e le riviste. Ragion per cui classificare una console in termini di bit era il modo migliore per commercializzarne la superiorità rispetto alle precedenti. Da qui l’idea del “64”.
Con il Game Boy, la questione è ancora più semplice ma, di nuovo, non così immediata come potrebbe sembrare. In breve, Nintendo volle fare per i videogiochi ciò che Sony fece con la musica grazie al Walkman: se quest’ultimo osò quanto nessuno prima aveva mai fatto, ovvero liberare la musica dai legacci dell’ambiente domestico o dell’auto affinché si potesse ascoltare ovunque, Nintendo perseguì lo stesso obiettivo in ambito videoludico. Il passaggio logico da Walk/Man a Game/Boy fu pressoché immediato. Le successive evoluzioni seguirono, nel nome, il più semplice schema del mettere in risalto la sua caratteristica principale: l’essere tascabile per il Game Boy Pocket, a colori per il Game Boy Color e l’offrire una serie di migliorie tecniche per il Game Boy Advance (ulteriormente perfezionate nella versione SP).
Segue il Nintendo DS, la cui sigla indica banalmente Dual Screen: il principale punto di forza della console era infatti il doppio schermo, che portò a un nuovo modo di intendere l’esperienza ludica. Tuttavia, il significato iniziale sarebbe dovuto essere Developers’ System, in riferimento alla facilità di sviluppo dei giochi: poiché l’interpretazione più comune della sigla fu Dual Screen, si mantenne quella. Il Nintendo DSi puntò, con l’aggiunta della i, a marcare l’individualità della console e il fatto che nessuna sarebbe mai stata identica a un’altra in termini di personalizzazione dei contenuti e dell’esperienza. Il Nintendo 3DS fuse, in un’unica sigla, Dual Screen e 3D, che sarebbe dovuto essere il suo maggior punto di forza nonostante, all’atto pratico, il suo utilizzo fu piuttosto limitato. Questo portò a una serie di scelte bizzarre, come il Nintendo 2DS (un blocco unico, non più con l’apertura a conchiglia, e senza la funzionalità 3D) prima e il New Nintendo 2DS XL poi, oltre al New Nintendo 3DS (anche XL).
C’è poi Nintendo Wii (e lo sfortunato successore Wii U) che, non troppo curiosamente considerato lo storico di Nintendo nella commercializzazione delle proprie console, mirava a non farsi etichettare fin da subito come una console dedicata ai videogiochi. Tutto il contrario, anzi. Nintendo ha puntato tutto sull’esperienza, anziché sui giochi in sé: prova ne è proprio il nome stesso, che è stato scelto in assonanza con la parola inglese “we”, nel quale ciascuna i rappresenta una persona. Ricordate i primi spot, alla fine dei quali le due i si inchinavano? È un approccio giocoso, non prettamente videoludico, incentrato sulle persone e non sui giochi.
Si passa infine a Nintendo Switch, così chiamata perché ovviamente permette il passaggio a diverse modalità di gioco: fissa, da tavolo e portatile. La versione Lite della console spezza completamente questo concept, andando inoltre a inficiare alcuni giochi legati nello specifico all’uso dei Joy-Con, senza contare i ben noti problemi di drifting che avrebbero colpito anche Lite – con la differenza che non si poteva più sostituire il singolo pezzo. Inoltre, come già detto, le successive versioni 2019 e OLED non apportano migliorie significative; o quantomeno, per alcune di esse, che non potessero già essere introdotte in precedenza, in una certa misura.
Come si chiamerà il successore di Nintendo Switch?
Alla luce di quanto scritto, è evidente che ipotizzare un probabile nome per il futuro erede di Nintendo è difficile – azzeccarlo, impossibile. Non possiamo aspettarci una banalizzazione come Nintendo Switch 2, anche solo guardando ai nomi che hanno caratterizzato la famiglia Switch negli ultimi sei anni: da Lite a OLED, entrambi hanno valorizzato i rispettivi punti di forza esattamente com’è stato per tutte le precedenti console (o quantomeno la capostipite generazionale) dal Famicom in avanti. Specie se consideriamo che la nuova console sarà, be’, nuova: non un derivativo della precedente, come nel lungo albero genealogico DS che ne comprende alcune semplicemente un po’ migliori della precedente., bensì qualcosa di inedito.
Ci aspettiamo che, qualunque console succederà a Switch (non siamo nemmeno sicuri che si chiamerà Switch), andrà a rivoluzionare a modo proprio l’approccio ai giochi ma non possiamo sapere con certezza su cosa punterà: sulle persone, come Wii? Sull’esperienza, come DS? Su qualcosa di totalmente inedito al quale non abbiamo pensato? Le possibilità sono tutte valide. Non c’è modo di prevedere come si chiamerà la nuova console perché, banalmente, non abbiamo idea di quale aspetto Nintendo vorrà valorizzare. Possiamo ipotizzare e arrenderci all’evidenza che, con molta probabilità, nemmeno andremo vicino all’esito finale.