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Senza Isaac Asimov, il videogioco non sarebbe stato lo stesso

L’uscita di Foundation, l’epica serie Apple TV+ con l’ambizioso obiettivo di trasporre il gigantesco Ciclo delle Fondazioni di Isaac Asimov, è probabilmente l’evento televisivo dell’anno e forse di inizio decennio: opera letteraria per eccellenza, nell’alto dei cieli del genere assieme a poche altre opere di mostri sacri come Clarke o Dick, la saga di Asimov è probabilmente per la fantascienza ciò che Il Signore degli Anelli è stato per il fantasy moderno, una storia in grado di definire il genere in maniera coerente e moderna.

Eppure, l’arrivo sugli schermi di questa gigantesca epopea sospesa fra epica, speculazione scientifica e fantapolitica è per certi versi solo una conferma della centralità di Asimov, che è stato trasposto più volte al cinema, in radio (soprattutto) o in televisione, nonché nel videogioco.

ln realtà, il rapporto di Asimov con la storia del fantascientifico contemporaneo è talmente viscerale che merita una riflessione sulla potenza dei suoi concetti e della sua poetica.

Una riflessione che tocca anche il videogioco.

Isaac Asimov, scrittore e scienziato

Biochimico e docente di origine russa emigrato negli U.S.A. alla fine della Grande Guerra, Isaac Asimov è stato il simbolo di un’intellettuale in grado tanto di dare grandi contributi scientifici e speculativi in sede accademica quanto di dare una forte spinta alla fantascienza come genere pop.

Accanto all’Asimov docente e studioso c’era infatti l’Asimov appassionato di storie di bizzarri mondi lontani diffuse negli Stati Uniti della prima metà del Novecento, non troppo lontani dai weird tales, e questa è una caratteristica che l’ha reso autore capace di shakerare senza pietà nozioni filosofiche e scientifiche di alto valore con una narrativa semplice e per questo in grado di coinvolgere emotivamente.

Se da una parte la Fondazione è un’epica intergalattica che ha in un certo senso precorso le grandi epopee fantapolitiche a tema spaziale (prima di tutte quella di Dune, che verrà pubblicata solo una ventina d’anni dopo), dall’altra tutta la sua produzione sui robot è riuscita a sviluppare un tipo di storie in grado di analizzare con cura concetti che sarebbero diventati parte del dibattito tecnologico e che a volte si rivelano meravigliosamente umane (i racconti di I, Robot), a volte si contaminano con efficiacia col giallo (è il caso de Il Sole Nudo e degli altri del ciclo del detective Elijah Baley).

Qual è stato il risultato di tutto questo, in termini di impatto sulla storia del fantastico internazionale? Che, come accaduto per Poe e Lovecraft con l’horror o Tolkien col fantasy, concetti tanto incardinati nell’opera di Asimov hanno finito per infiltrarsi di opera in opera divenendo un pilastro fondamentale della narrativa.

E il videogioco?

Sarebbe molto facile, a questo punto, elencare le trasposizioni videoludiche o ludiche di Asimov, che fin dall’età dei librigame e dei giochi di ruolo è stato protagonista di svariate trasposizioni ed è atterrato nel videogioco con alcuni prodotti che portavano il suo nome, come Robot City o Robots VCR Mistery Game (più un film interattivo che un gioco), ma la realtà è che per renderci conto di che impatto fondamentale Asimov abbia avuto nel videogioco basta citare almeno quattro grandissimi brand che in un modo o nell’altro hanno ripreso concetti da lui.

Pensiamo a Detroit: Become Human, che praticamente è il tributo d’amore di Quantic Dream alle Leggi di Asimov e al potere della fantascienza speculativa; pesiamo a Mass Effect, e al suo essere figlio neanche troppo alla lontana della Fondazione e del suo approccio filosofico e a tratti morale alla fantascienza intergalattica. Pensiamo persino a Bioshock, in cui okay, non ci sono propriamente “robot”, ma è sommessamente presente il tema del rapporto fra creatore e macchina all’interno delle folli utopie di Rapture e Columbia.

Persino il re dei survival horror fantascientifici contemporanei, Dead Space, omaggia Asimov col nome del suo protagonista, Isaac Clarke (il cognome arriva dall’autore di 2001: Odissea nello Spazio), e prende le mosse da Alien, che conteneva a suo modo in potenza il rapporto uomo-macchina.

E’ un intrico di omaggi, citazioni, infiltrazioni tematiche incrociate, influenze non dichiarate tutte con l’unica grande matrice-Asimov.

Concetti che ovviamente varrebbero anche per il videogioco fantasy con Tolkien o Lovecraft con l’horror.

Ma, nel caso del rapporto Asimov-cultura nerd/videoludica, c’è forse un ulteriore livello di lettura.

Asimov e la robotica: una chiave di lettura per la tecnologia

Quando Asimov ha scritto le sue famose tre leggi della robotica e ha elaborato un sistema filosofico attorno al tema dell’uomo-macchina, non ha creato soltanto un archetipo narrativo fortissimo che ha sviluppato un nuovo genere. In quel momento, Asimov ha anche dato un tassello fondamentale alla nostra “bussola morale” nel rapporto con la tecnologia, a 360°, e in particolare con la centrale nozione di “intelligenza artificiale”, un concetto caro anche al videogioco.

In generale, però, i concetti alla base di quella narrativa hanno sparso semi per una serie di concetti critici che poi sono diventati parte del nostro rapporto con il digitale e con le opere digitali, in un certo senso suggerendoci quanto difficile sia lavorare con la tecnologia, piegarla, farla diventare compiuta.

Infine, dicendo che nella creazione artificiale c’è un po’ dell’uomo, Asimov ci ha sussurrato all’orecchio quanto sia importante curare la tecnologia, e ritrovare all’interno di essa un po’ di “umanità”.

Che poi, paradossalmente, è quel che vogliamo fare quando ci godiamo un videogioco.

This post was published on 27 Settembre 2021 16:00

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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