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Call of Duty: Vanguard potrebbe essere un ritorno al passato necessario

Finalmente, alla fine della scorsa settimana Activision ha svelato il futuro della sua serie principale, Call of Duty, dopo mesi di rumor, dubbi, smentite, anticipazioni sussurrate per alimentare l’hype. Call of Duty: Vanguard-in uscita il 5 novembre 2021- sarà il ritorno in pompa magna di uno dei re dell’FPS a sfondo bellico, e sarà un ritorno al setting della Seconda Guerra Mondiale.

La scelta non meraviglia, sia perché lo sviluppatore è Sledgehammer (papà di CoD: WWII) sia perché la saga, nel corso della sua ventennale carriera, ci ha abituato a un susseguirsi di giochi che si spostano da un’epoca all’altra e da un mood all’altro. Una cosa, però, potrebbe colpire chi ha seguito anche distrattamente la saga di anno in anno: da quel che vediamo, per confermare l’ascesa di CoD Vanguard potrebbe riavvolgere le lancette del tempo e tornare a cavalcare caratteristiche che la serie sembrava aver messo in soffitta.

Tutto quel che sappiamo (più o meno) di Vanguard

Per quanto tutta l’operazione non sembri distante da quelle del passato, i motivi d’interesse per guardare a Vanguard potrebbero non mancare affatto.

Primo, perché Vanguard sarà il primo episodio della serie a uscire dopo l’all-in di Activision con quel moloch di Warzone, permettendoci di comprendere quale sarà il ruolo del battle royale nella strategia comunicativa di CoD.

Se pensiamo che il primo teaser del gioco è stato proiettato proprio all’interno di Warzone, abbiamo già un piccolo ma soddisfacente indizio, suggerendo come WZ sarà trattato da Activision come una sorta di hub di comunicazione centrale per la community. Sappiamo inoltre che Vanguard manterrà e riproporrà molti tormentoni degli ultimi CoD, dal peso all’interno delle nostre console (vi prego, è davvero fuori scala) alla riproposizione della famosa “Modalità zombie”.

D’altro canto, Vanguard sarà anche il primo kolossal Activision (-Blizzard) in uscita a pochissime settimane dall’esplosione dello “scandalo ambiente tossico” nella società madre di WoW, e anche in questo caso abbiamo già un indizio degli effetti, ovvero la mancanza totale del nome della multinazionale dal trailer.

Infine-e qui entriamo nella ciccia-quel che colpisce i giocatori è il fatto che sembri adottare un approccio “innovativo” a un setting fin troppo classico come la Seconda Guerra Mondiale. Da quel che sappiamo, infatti, Vanguard ci metterà nei panni di soldati d’élite di tutti gli eserciti in campo, alle prese con operazioni complesse. Nella presentazione del gioco si fa riferimento ai famosi ed eroici tiratori scelti sovietici, e sappiamo che altre frazioni della campagna ci vedranno in azione in Nord Africa e-udite udite-Pacifico, fcendo sì che il giocatore salti da un punto all’altro del globo esattamente come accadeva in giochi di ormai oltre dieci anni fa come World at War.

Ritorno al passato (in tutti i sensi)

Chi mastica il genere potrebbe intuire una cosa, un piccolo dato: potremmo trovarci di fronte a una piccola rottura nello schema narrativo e di gameplay del gioco, passando dall’ottica epica e da campagna campale che abbiamo visto in WWII a una più da “dietro le linee nemiche”, con piccole unità di forze speciali addestrate per eliminare bersagli chiave nemici o per distruggere basi segrete.

Il fronte asiatico potrebbe essere l’unico a riportarci al centro di una battaglia campale

Aspettiamoci quindi (sì, mi ci potrei giocare qualcosa) piccolissimi gruppi di personaggi magari tutti dal carattere ben tratteggiato e in grado di costruire una storia avvincente, sostituiti ai grandi ammassi di NPC mossi dall’intelligenza artificiale.

Perché tutto ciò può far sorridere i giocatori storici della serie? Perché rappresenta un discreto cambio di rotta per una serie che fino a WWII aveva inseguito a più non posso una rappresentazione sì cinematografica e supereroica della guerra, ma soprattutto sempre alla ricerca di un gigantismo tipico di film come Salvate il Soldato Ryan o, guardando ai Modern Warfare, Black Hawk Dawn. Lo stesso WWII non a caso aveva una nuova e spettacolare riproduzione dello sbarco a Omaha Beach, che omaggiava in modo inevitabile l’indimenticabile Medal of Honor: Allied Assault.

Prima tuttavia che la tecnologia lo permettesse in maniera definitiva, ovvero più o meno prima del secondo o terzo episodio, nonostante sequenze corali meravigliose come l’arrivo dei sovietici a Stalingrado (CoD 1), CoD era inevitabilmente un gioco che metteva in scena per lo più piccoli gruppi di militari infiltrati, esattamente come potrebbe essere Vanguard. Perché allora tornare al passato?

Perché, paradossalmente, l’obiettivo un tempo visionario raggiunto da CoD, realizzare un gioco con decine di soldati che combattono fra loro simultaneamente e al centro il giocatore nei panni del solito eroe-per-caso-dal-cuore-d’oro, potrebbe non essere più così interessante da portare sugli schermi.

Corsi e ricorsi

Lieto di essere smentito (ma, mi dispiace, il trailer mi ha dato quell’impressione), ma l’impressione che le prime news danno al sottoscritto sono che il genere degli FPS storici sia arrivato davvero a un punto di saturazione da un punto di vista creativo, con la fine di un ciclo di vita (da veri e propri fps classici travestiti da storiche belliche, come i primi MoH, a splendide ricostruzioni di battaglie campali) e l’inizio di un altro (con possibile predominanza di una scala più contenuta).

Non chiamiamola semplicemente col colpevolizzante termine di “mancanza d’idee”, perché CoD non è un brand che ha bisogno di vivere di idee innovative, soprattutto dopo la nascita del moloch Warzone. Fa comunque sorridere come nel corso degli anni l’FPS a sfondo storico non sia riuscito a uscire da una sua pur radicatissima nicchia di struttura, gameplay e tematiche, con l’unica eccezione forse di un coraggioso Battlefield 1 ambientato durante il primo conflitto mondiale di qualche intrepido indie basato su periodi storici difficilmente trasponibili in un tripla-a come le guerre napoleoniche o la guerra di secessione americana.

E se qualcuno giustamente farà presente che le campagne single-player di giochi come CoD sono soltanto biglietti da visita per il vero fulcro della torta, il multiplayer, allora diavolo: abbiate coraggio, smettetela di propinare minestroni riscaldati da vent’anni, e sotto con la modalità competitiva.

This post was published on 23 Agosto 2021 14:00

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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