Gli ultimi giorni del mondo videoludico sono stati caratterizzati da un elevato numero di disastri legati ad una delle aziende più importanti del settore: Activision Blizzard.
Il colosso americano, lo stesso dietro successi miliardari come Call Of Duty o Warcraft, ha fatto moltissimo parlare di sé per essere finito all’interno di un maelstorm fatto di accuse e denunce che si possono riassumere in una semplice frase: non si lavora bene a casa Activision Blizzard.
Le accuse, in questi casi, sembrano essere più che fondate: c’è una denuncia ufficiale fatta da un dipartimento governativo della California per molestie sessuali e c’è anche un report verticale fatto da Jason Schreier, uno dei nomi più noti del giornalismo videoludico americano in forza a Bloomberg da un annetto.
Entrambe le accuse, pur muovendosi lungo argomenti e tematiche diverse, vanno a descrivere gli uffici di Activision Blizzard non esattamente come luoghi meravigliosi dove lavorare.
Andiamo a vedere, con qualche dettaglio in più, cosa è successo.
Un organo governativo californiano, il sopracitato dipartimento per il lavoro e l’alloggio equo, a metà luglio ha presentato una causa contro il colosso videoludico americano Activision Blizzard.
La causa è il frutto di oltre due anni di indagini e sostiene una posizione ben precisa: i comportamenti del publisher Activision Blizzard vanno a promuovere l’esistenza di un ambiente lavorativo maschilista e tossico.
L’enorme quantitativo di informazioni raccolto dall’organo descrive gli uffici di Activision Blizzard come luoghi dove molestie sessuali e discriminazioni di carattere sessista sono pratiche quotidiane.
La ricerca descrive il lavoro in Activision Blizzard come pessimo, con una notevole disparità retributiva in base al sesso senza farsi mancare nemmeno ritorsioni di pessimo gusto sempre a sfondo sessuale. La ciliegina sulla torta è però una pratica definita come cube crawl, pratica che vede gli impiegati maschi ubriacarsi per poi strisciare all’interno dei cubicoli delle colleghe esibendosi in, testuali parole, comportamenti inappropriati.
La parte forse peggiore è legata all’inutilità dei reclami formali presentati dai lavoratori ai superiori. Questi reclami non hanno mai portato a misure efficaci per la risoluzione dei problemi e anzi, hanno portato a ritorsioni di carattere lavorativo (esclusione da determinati ambiti lavorativi, trasferimenti non richiesti, licenziamenti) prevalentemente su lavoratrici di sesso femminile.
Tutte queste misure, secondo il dipartimento per il lavoro e l’alloggio equo della California, hanno addirittura spinto al suicidio una dipendente di Activision Blizzard a causa del già tristemente noto revenge porn.
Essere una donna in Activision Blizzard, insomma, è uno schifo.
Per quanto riguarda la disparità sul lavoro è importante sottolineare come la ricerca evidenza l’esistenza del gender gap all’interno delle paghe con una importante disparità numerica nel numero di dipendenti maschili o femminili.
Anche la semplice e meritocratica “scalata al successo” è diversa tra uomini e donne con queste ultime che si trovano promozioni negate perché possono diventare madri
La comparsa di questa denuncia ed il progressivo propagarsi della notizia hanno convinto molti ex dipendenti della compagnia a condividere le loro testimonianze sui social, primo tra tutti twitter. Gli ingredienti di queste lamentele, purtroppo, lasciano ben poco sperare per il meglio: sexting non richiesto, molestie verbali e non,
Warcraft III: Reforged not only felt like a disappointing remaster, but it actually made the online experience of the original game worse for fans who have been playing it continuously for almost 20 years,
Wes Felnon – PC Gamer
In un luuuungo articolo il buon vecchio Schreier ha descritto con dovizia di particolari le diverse motivazioni interne che sono state dietro al deludente Warcraft III: Reforged, progetto estremamente atteso dai fan rivelatosi poi una vera e propria caporetto dello sviluppo videoludico.
Il titolo è uscito a fine 2020 senza diverse delle caratteristiche promesse dalla software house e con una quantità vergognosa di bug. La totale assenza di patch, aggiornamenti e correzioni è inoltre altro campanello d’allarme per una situazione tutto fuorché rosea.
Quali sono state le motivazioni dietro questo disastro in lenta esecuzione?
Secondo quanto raccolto da Schreier il problema principale è legato alle differenze di intenzioni tra Blizzard e Activision, con la prima che voleva fare un prodotto più per gli appassionati e la seconda che invece voleva un progetto da ricavi importanti. Questa visione poco chiara del prodotto ha provocato importanti rallentamenti produttivi, elementi che hanno inficiato la qualità del titolo ed hanno reso lo sviluppo di Reforged un vero inferno.
Il team interno al lavoro sul titolo, Classic Games, era inoltre intenzionato ad effettuare il passo più lungo della gamba, specie se si considerano le minute dimensioni del team di sviluppo.
La grande mole di lavoro ha accentuato i problemi organizzativi che si sono poi cronicizzati anche a causa di Rob Bridenbacker, head del team e essere umano evidentemente non troppo simpatico.
Il report di Bloomberg lo descrive infatti come aggressivo e poco professionale, poco presenti nei momenti cruciali e capace di costringere i suoi sottoposti a importanti sessioni di crunch a causa dei tempi di scadenza irrealistici. A causa dei problemi organizzativi gli sviluppatori avrebbero anche dovuto reinventarsi sotto altri ruoli, lavorando in maniera continua senza direzione per diversi mesi.
L’assenza di leadership non ha nemmeno permesso a Classic Games di applicare le correzioni che volevano durante il corso dello sviluppo, con diverse segnalazioni fatte dai membri più anziani del team di sviluppo alla direzione di Blizzard ignorate bellamente.
La cosa più dolorosa per noi giocatori è senza dubbio la voce che vede Activision Blizzard pubblicare comunque il gioco nonostante la consapevolezza della sua natura prematura, nonostante uno scarso numero di preordine.
Activision Blizzard, la stessa compagnia che ha cresciuto i suoi giocatori a suon di esce quando è pronto.
Fortuna migliore non ha avuto il team di Classic Games i cui dipendenti sono stati o licenziati o spostati di dipartimento.
In questo caso parliamo di decine di persone che, in seguito ai problemi lavorativi, hanno sviluppato esaurimento, ansia, depressione e altro altro ancora.
Le risposte del colosso alla causa legale improntata dal dipartimento governativo californiano sono state abbastanza rapide: Activision ha bollato il dossier come non del tutto vero, definendo alcune delle descrizioni li contenuti come distorte o ancora peggio false.
Ciò che è stato descritto dal DFEH non corrisponde all’ambiente lavorativo che oggi è possibile trovare in Blizzard. La compagnia si è impegnata nel modificare le procedure interne introducendo formazioni obbligatoria contro le molestie e molto altro per combattere questi fenomeni.
Il dipartimento che ha presentato la denuncia era tenuto per legge a discutere con noi azienda in buona fede, in modo da capire in maniera come muoverci ma ha invece presentato una denuncia imprecisa.
Sempre secondo la BBC il DEFH ha dichiarato di aver tentato di risolvere le cose prima di presentare una vera e propria azione legale con scarsi risultati.
Dopo il boom mediatico ricevuto dalla notizia la prima risposta ufficiale è stata realizzata da J. Allen Brack, presidente di Blizzard Entertainment che ha reagito con una mail destinata a tutto il suo staff alle accuse mosse dal DEFH e da Bloomberg. Brack ha espresso solidarietà nei confronti delle vittime, in un certo senso contraddicendo i comportamenti che invece sono al centro dell’accuso da parte delle indagini coinvolte.
Nell’email Brack spiega come nessuno all’interno dell’azienda debba affrontare discriminazione o molestie durante l’orario di lavoro, citando quanto sia importante sentirsi al sicuro durante il proprio orario di lavoro. Il presidente della compagnia ha inoltre dichiarato di aver insistito con chi sopra di lui affinché vengano presi provvedimenti nei confronti delle persone coinvolte in alcuni degli scandali descritti, quelli a loro detta più attinenti al reale.
Anche il presidente di Activision, Rob Kostich, ha commentato il fatto con un email interna dai toni più leggeri in cui ha tristemente sintetizzato la questione dicendo che i comportamenti descritti nelle varie inchieste semplicemente non rispecchiano gli ideali della compagnia.
Rsposta radicalmente diversa è stata invece data da Fran Townsed, CCO di Activision Blizzard e donna di notevole esperienza politica (era Advisor per il dipartimento della sicurezza interna durante l’epoca Bush). La mail inviata da questa ai dipendenti ha toni di denuncia verso Bloomberg ed il DEFH, andando a descrivere la denuncia come una distorta visione della realtà, scollegata dalla società e piena di dettagli sbagliati, vecchi o ancora peggio fuori contesto.
Tutte queste differenze vanno soltanto ad evidenziare un grosso problema: sembra che l’azienda stessa sia in un grave subbuglio, tanto da non avere nemmeno una linea guida condivisa da parte delle varie figure manageriali.
Dal sapore diverso è la dichiarazione ufficiale di Mike Morhaime, fondatore ed ex CEO della compagnia. Nella serie di tweet da lui realizzati Morhaime si dice pieno di vergogna per l’accaduto e terribilmente deluso da ciò che è successo.
Sembra che tutto ciò che io pensavo di rappresentare sia stato spazzato vita. E se c’è qualcosa di ancora peggio di ciò è il sapere di esperienze in grado di danneggiare persone reale e donne reali. Ho lavorato in Blizzard per 28 anni cercando di creare un ambiente sicuro e accogliente per chiunque. Un ambiente indubbiamente imperfetto, questo è sicuro, ma che provava a far di meglio giorno per giorno. Il fatto che ci siano stati così tanti maltrattamenti è per me motivo di grande delusione. La leadership di un azienda ha la responsabilità di far sentire tutti al sicuro.
Una posizione decisamente diversa da quella presentata dalle tre precedenti figure e che, in un certo senso, ha ridato linfa ad un dibattito che non crediamo destinato a spegnersi in breve tempo.
Un’altra importante figura che ha detto la sua sulla questione è Chris Metzen, ex vice presidente senior di Diablo che si è ritirato dal mondo dei videogiochi nel corso del 2016.
Metzen ha detto la sua sulla questione durante la notte di venerdì, postando su Twitter una lunga dichiarazione.
Abbiamo fallito e mi dispiace. Mi scuso per la parte che ho avuto nel non distruggere con abbastanza forza una cultura aziendale che ha poi favorito molestie, disuguaglianza e indifferenza. […] Io ho avuto il privilegio di non notare cosa stava accadendo.
This post was published on 26 Luglio 2021 18:22
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