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Ma l’E3 serve davvero ancora a qualcosa?

A un mese dalla sua conclusione, l’E3 2021 sembrava ormai un lontano ricordo o tutt’al più un evento caratterizzante dello scenario ludico di quest’anno ormai dietro le spalle, ma qualcuno ha deciso di tornare a parlarne: in una puntata del suo show Patcher Factor, l’analista di settore Michael Patcher ha affrontato la “legacy” dell’edizione 2021 dell’evento e sonoramente ripreso uno dei grandi assenti alla manifestazione, ovvero Sony, che dal 2019 ha deciso di non partecipare allo show di Los Angeles in favore di una strada di eventi propri. Purtroppo, come sappiamo al momento Sony è stata costretta a seguire questo sentiero solo con gli State of Play, e non sappiamo se in era “post-Covid 19” l’azienda nipponica avrà la forza e la volontà di imporre un grande evento annuale tutto suo.

Ma non è questo il punto.

La domanda che dovrebbe sovvenire non è infatti se Sony abbia fatto bene o male a portare avanti la sua sfida in solitaria, ma, a un mese dal più grande evento dedicato al gaming, capire davvero l’impatto e il senso di una manifestazione del genere in un panorama dominato (per forza di cose) da showcase digitali.

E3: l’occasione perduta di Sony?

Secondo Pachter, analista del settore abbastanza navigato, Sony starebbe facendo “un errore enorme abbandonando l’E3”. Questa l’analisi completa:

“Qualcuno li ha convinti che risparmieranno 20 milioni di dollari saltando l’E3, e l’E3 di quest’anno forse è stata una decisione prudente. Hanno saltato anche quello precedente. E penso che sia solo una brutta mossa. Una strategia davvero stupida. Perché non puoi comprare tutta quella stampa con 20 milioni di dollari. Avere un evento e far sì che tutti i tuoi fan si concentrino su quel singolo evento è davvero, davvero potente, e penso che chiunque stia consigliando al loro management che saltare l’E3 sia una mossa intelligente e attenta ai costi si stia sbagliando. Sono solo stupidi”.

Patcher non è nuovo a questa critica: già nel 2019, epoca dell’annuncio di Sony, aveva attaccato la mossa indicandola come una pazzia, quindi la sua sembra essere più la conferma di un’analisi che altro. Tuttavia, oggi come oggi l’idea di Patcher appare quanto meno discutibile, nel senso più alto e buono del termine. Sì, è stato certamente triste registrare l’abbandono di un gigante da quella che è stata per anni la festa assoluta del videogioco e sì, l’idea che molti hanno avuto a ragione è stata che Sony abbia peccato di tracotanza dando un’idea elitaria di sé.

Però, poi, esistono se non i fatti, per lo meno dei fattori “ambientali” che portano a ragionare su certi fenomeni alla luce di una situazione contingente come quella di una pandemia che ha eliminato ogni convention fisica, portando anche l’audience che ieri poteva permettersi di viaggiare e andare alle fiere a guardare gli eventi rigorosamente in streaming.

Sony aveva quindi indirettamente e fortuitamente precorso i tempi e capito che pandemia o no i format digitali avrebbero avuto la meglio?

Patcher ha invece ragione a parlare ancora di primato degli eventi collettivi, anche se in rete?

Ma com’è andato “l’E3 ai tempi del Covid”?

Fermi: ragioniamo di numeri, giudizi estetici/di forma e di “processi” mediatici.

In un articolo del 18 giugno 2021, il Washington Post (fra i più importanti quotidiani statunitensi, sempre attento al legame fra economia, società e politica), ha tentato di ragionare sugli esiti della kermesse online mettendone in luce tanto gli aspetti positivi quanto quelli negativi (qui l’articolo, attenzione perché WP permette solo pochi accessi mensili in modalità free).

Da un lato, ha messo in chiaro che in un momento di show online anche un E3 ha corso il serio rischio di passare come un semplice ago nel pagliaio, avendo per di più una sorta di “rivalità in casa” data dal ritorno di Geoff Keighley con il Summer of Gaming, evento che forse è riuscito a sfamare meglio la voglia di annunci e novità dei giocatori a fronte di un E3 fatto spesso di tavole rotonde che hanno sopperito all’assenza annunci bomba o, tutt’al più, sono stati coadiuvati da piacevoli aggiornamenti su progetti già annunciati. D’altro canto, non possiamo che ribadire l’osservazione del Washington Post secondo la quale gli show dell’E3 2021 siano stati assolutamente vincenti sotto un profilo strategico, e questo vale sia per uno show dal contenuto reputato da molti deludente (Nintendo) sia da uno vincente (Xbox).

Quello del rivale di Sony è stato il risultato migliore dell’E3

Qui si entra in riflessioni già fatte settimane fa, che accenniamo solo per completezza: parte degli invitati sembra aver partecipato all’E3 in maniera assolutamente impreparata (vedi lo scandalo Capcom, che nel giro di mezz’ora è riuscita a far svanire la sintonia trovata con il pubblico grazie a delle buone uscite come Monster Hunter Rise o Resident Evil Village), fatto che ha meravigliato i più (“Oh cavolo, possibile che dopo un anno di pandemia si facciano questi errori comunicativi?”).

D’altro canto, è stato anche un E3 triste che ha fotografato in maniera inequivocabile il momento di difficoltà dei partecipanti, che per arrivare a esso hanno attraversato le forche caudine della pandemia.

Resta il fatto che l’E3 2021 è già passato alla storia come uno dei più modesti della storia della manifestazione.

La chiave è in chi partecipa

Ammesso e non concesso che il primo E3 alla digitale della storia sia stata una cosa un po’ “meh” e che in generale l’industria deve crescere molto in questo ambito, è indubbio che questo tipo di evento abbia dei vantaggi, se non altro per il suo potenziale “partecipativo”, dovuto alla possibilità di accesso costante da ogni parte del globo.

D’altro canto, quel che emerge da un’analisi di quella che sembra una disparità di esiti fra un’azienda e l’altra, è molto semplice: le fortune dei prossimi E3, in un’epoca in cui il digitale si fa sempre più strada, non saranno dipese dagli organizzatori o dalle condizioni sanitarie contingenti. Semmai, dagli obiettivi dei singoli attori.

Dal canto suo, Microsoft ha capito che quel contenitore ha ancora evidentemente un profondo potere attrattivo su un pubblico che ha bisogno di un rito collettivo (“Oh, c’è l’E3, andiamo a vederlo a casa di XY!”), inserendolo in un reticolo di altre esperienze. Altri, come Sony, hanno deciso di intraprendere un’altra strada. Chi avrà la meglio? Probabilmente chi saprà piegare al meglio la contingenza.

E l’E3? Rimarrà lì, come mezzo, vetrina, evento, pronto ad accogliere chi saprà interpretare al meglio il suo spirito.

Forse.

This post was published on 19 Luglio 2021 14:15

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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