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Company of Heroes 3: l’inaspettato ritorno di un gioiello

Il reveal di Company of Heroes 3-arrivato nel pomeriggio di ieri con un teaser trailer, che ci ha portato al centro del fronte italiano durante la II guerra mondiale-è il classico caso di un’ottima notizia arrivata come un fulmine a ciel sereno: terzo episodio di una delle serie che ha segnato l’RTS negli ultimi dieci anni, il gioco arriva a ben otto anni dal predecessore.

Certo si tratta di un ritorno apprezzato da molti. La serie iniziata nel 2006 da Relic Entertainment è divenuta popolare grazie all’impostazione cinematografica del suo gameplay e per la capacità di regalare ai giocatori scontri davvero tattici, nei quali ogni riparo costituisce un’ancora di salvezza e ogni sbaglio un possibile errore fatale.

Company of Heroes 3 è atteso per il 2022, e Relic ha messo a disposizione una build di anteprima pre-Alpha del gioco, per permettere al pubblico di provare il lavoro fin qui sviluppato e dare feedback di vario tipo.

Non serve dire che molti stanno stappando lo spumante e correndo a giocare, in attesa del lancio.

Company of Heroes: non il solito RTS

Quando esordì nel 2006, tutti sapevano che Company of Heroes avrebbe avuto tanto da raccontare: arrivato nell’epoca di massimo trionfo dei giochi sulla Seconda Guerra Mondiale e in un periodo in cui l’RTS modificava il suo DNA passando dalla classica visuale ” a volo d’uccello” a una prospettiva sempre più incentrata sui movimenti tattici delle singole unità (vedi la serie Total War), CoH avrebbe dovuto applicare il modello di successo inaugurato da Warhammer 40,000: Dawn of War a uno scenario storico amatissimo da tutti i fan di giochi militari.

Gli effetti non si fecero attendere: Company of Heroes era un titolo che univa l’ebrezza di poter guidare pattuglie di fanti americani mettendo in campo tattiche raffinate a un colpo d’occhio incredibile e a uno storytelling che non aveva proprio niente da invidiare a un gioco in prima persona come Call of Duty.

Si trattava di un “cambiamento di prospettiva” centrale; se da un lato Relic non rinunciava a un impianto narrativo che in quegli anni aveva dimostrato di essere vincente-il potente racconto dell’ennesima “banda di fratelli” risucchiata nel turbine atroce dell’ultima grande guerra occidentale-dall’altro sviluppava questo spunto in una maniera originale. Da questo punto di vista molto era dovuto alla grafica-per l’epoca spaccamascella-e allo stile estetico, sporco, ricco di dettagli, “polveroso”, “crudo”.

Da un punto di vista di gameplay, come accennato prima questo si concretizzava in un’esperienza tattica profonda, in cui il giocatore era chiamato a studiare attentamente un campo di battaglia davvero ricco di insidie, a gestire risorse (sempre troppo poche), a doversi rendere conto di come utilizzare i vari tipi di truppe a disposizione per raggiungere l’obiettivo. E guidare questi manipoli non era facile, in quanto in Company of Heroes il combattimento era realistico e bastavano pochi colpi di MG42 a stendere un plotone non ben coperto.

Il secondo episodio della serie, ambientato sul fronte sovietico e incentrato sulle truppe di Stalin, venne giudicato più modesto e meno ricco di forza innovativa. Pur mantenendo buona parte delle ottime caratteristiche del predecessore il gameplay era rimasto quasi identico, tanto che IGN definì l’operazione più come un'”espansione in formato sequel che vero successore”.

E ciò nonostante avesse avuto il coraggio di affrontare un teatro di guerra non-americano e non-occidentale, anche se critici e giocatori russi non amarono la ricostruzione storica, definita come irrealistica (a essere messa sotto accusa fu la decisione di adottare una scala di gioco più ampia e quindi troppo cinematografica), esagerata e “anti-russa”, per un ritratto dei generali russi definito come inumato e sanguinario. Non a caso, alla fine il gioco venne bannato dal mercato russo.

La sorpresa migliore: il teatro italiano

Infine, un’ultima nota di interesse.

Contrariamente ad altri tipla-A blasonati che hanno trattato la Seconda Guerra Mondiale guardando a teatri reputati “principali” come l’Europa Occidentale (Normandia, campagna di Francia, Ardenne, operazione Market-Garden…), o al più a un fronte sovietico, Company of Heroes 3 sembra avere le carte in tavola per rispolverare uno scenario di guerra, quello Mediterraneo, che non manca di elementi affascinanti pur essendo spesso stato snobbato da cinema e videogioco.

Lo stesso assalto alla coste siciliane del luglio 1943, compiuto dagli Alleati, ha avuto pochissime narrazioni pop e, nel contesto videoludico, è legato per lo più a giochi minori o non riusciti delle serie di Medal of Honor e Call of Duty.

Se buon risultato ci sarà, sarà anche quello di portare l’attenzione su ciò che accaduto in Italia quasi ottant’anni fa, con compiutezza narrativa e ludica e, potenzialmente, un bel ritorno di pubblico.

E non sarebbe affatto male.

This post was published on 14 Luglio 2021 14:00

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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