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L’AI sostituisce i programmatori? Guardate questa demo di GTA

GAN Theft Auto è un progetto in cui la tecnologia GameGAN (Generative Adversarial Networks) di Nvidia viene utilizzata per addestrare un’IA a costruire la propria versione di Grand Theft Auto V in modo autonomo, e anche se la perfezione è ancora lontana il risultato è molto interessante, se non altro per la capacità dell’AI di riprodurre le auto e gli ambienti.

Ciò che è davvero importante notare è che questo non è solo un filmato simulato, ma un gameplay. Certo, si tratta di un gamplay elementare – si può solo guidare un’auto in giro – ma l’impressione di avere di fronte un kolossal campione d’incassi ricreato da un computer c’è ed è incredibile.

Anche la grafica è impressionante. Sì, c’è il marchio di fabbrica, l’aspetto da “paesaggio onirico” acquoso, dato dalla generazione da computer e non da esseri umani, ma basta anche solo dare un’occhiata dal modo in cui sono stati ricreati gli effetti visivi per far sbocciare in bocca un sorriso soddisfatto.

Un video che porta a una domanda naturale: l’AI sta per sostituire il programmatore?

Una fotografia giocabile

Prima di rispondere, un’altra domanda: di che tipo di tecnologia parliamo, di preciso?

 GameGAN è così descritto sul suo sito di presentazione:

un modello generativo che impara a imitare visivamente un gioco desiderato ingerendo la sceneggiatura e le azioni della tastiera durante la formazione. Dato un tasto premuto dall’agente, GameGAN “rende” la schermata successiva utilizzando una rete generativa avversaria attentamente progettata.

Una sorta di fotografia di un gioco, rielaborata e trasformata in una copia-specchio che ne imita il gameplay, anche in modo molto complesso:

“Il nostro approccio offre vantaggi chiave rispetto al lavoro esistente: progettiamo un modulo di memoria che costruisce una mappa interna dell’ambiente, consentendo all’agente di tornare alle posizioni precedentemente visitate con un’elevata coerenza visiva. Inoltre, GameGAN è in grado di distinguere le componenti statiche e dinamiche all’interno di un’immagine rendendo il comportamento del modello più interpretabile, e rilevante per i compiti a valle che richiedono un ragionamento esplicito sugli elementi dinamici.”

Di fatto, l’IA imita i comportamenti di un videogioco, li rielabora e li serve al giocatore come fossero un ottimo pasto da consumare, e senza che un singolo essere umano debba intervenire nel processo.

Gli esempi di questa tecnica (non solo GameGAN) sono parecchi, per quanto in parte molto più semplici rispetto a GTA V. Per esempio, nel 2018 Vice raccontava come un algoritmo al Georgia Institute of Technology riuscisse a elaborare un paio di elementarissimi videogiochi sfruttando pattern registrati durante partite ad altri giochi “realmente esistenti”. Lo stesso GameGAN, lo scorso anno, aveva sviluppato una sua versione di Pac Man dopo un periodo di training di quattro giorni.

L’AI sostituirà gli sviluppatori, quindi?

Veniamo all’annosa domanda, e all’altrettanto annosa e complessa risposta.

Lo scenario di un videogioco completamente sviluppato da una macchina è difficile immaginare al momento, in quanto parliamo di una tecnologia ancora in sviluppo e basata per lo più su un’impostazione di lavoro “empirica”, in cui l’IA riproduce una serie di input dati dal videogioco in azione.

Come detto sopra si tratta di una grande dimostrazione di potenza di calcolo, in grado di costruire qualcosa di grandioso, ma al momento non ancora in grado di costruire tutto quel che regola l’ossatura ludica di un gioco, come il gameplay o il quest system (dato che parliamo di GTA V).

Pac-Man fatto con GameGAN

Più “incoraggiante” è invece il discorso su un aspetto parallelo della questione, ovvero l’utilizzo del machine learning per potenziare la resa visiva di un gioco. Un episodio straordinario, che abbiamo documentato qualche settimana fa e ancora una volta incentrato su Grand Theft Auto V, mostrava una versione del capolavoro di Rockstar sottoposta a una cura lifting assurda, che portava la grafica del gioco a un livello estremamente definito. L’idea di un’AI che aiuti a potenziare la resa finale di un gioco, a definire meglio l’aspetto visivo, sulla base di complessi calcoli, sembra una strada al momento più realistica rispetto all’avere un computer in grado di elaborare in autonomia un sistema di gioco dando vita a un prodotto fatto e finito.

Questo, almeno in teoria, sembra ritardare tutta una serie di problemi che potrebbero nascere dall’avere un’AI-sviluppatore.

Il primo problema, molto banale e “concreto”, è che uno scenario futuro con un’AI deputata a sostituire un programmatore avvicinerebbe questo processo a quello che ha portato gli operai a poter essere sostituiti dalle macchine all’interno delle catene di montaggio, che già di per sé rappresenterebbe una questione spinosa.

In secondo luogo, introdurrebbe nella programmazione un fenomeno già in parte in atto in altre discipline creative, come la scrittura, ovvero la sostituzione del creativo con una macchina, una declinazione del problema di cui parlavamo poco fa ma se vogliamo ancor complessa in termini morali, perché a esser sostituita sarebbe la mente, e non più solo il braccio.

Non siamo a quel punto, e potremmo non arrivarci mai, ma potenzialmente lo sviluppo di un’opera d’arte digitale potrebbe metterci di fronte alla nascita di una macchina (il PC) in grado di immergerci in un vero e proprio “suo sogno navigabile” (il videogioco).

A voi piacerebbe?

Io ne avrei un po’ timore.

This post was published on 25 Giugno 2021 13:51

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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