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Six Days in Fallujah sta cercando di non essere un gioco politico, con scarso successo

Secondo l’editore di Six Days in Fallujah, Victura, l’FPS militare recentemente “risorto” (ne abbiamo parlato in questa news), basato su una vera battaglia della guerra in Iraq, non sta cercando di “dare un commento politico sul fatto che la guerra stessa possa essere stata una buona o una cattiva idea“.

Peter Tamte, a capo del publisher di Six Days in Fallujah, Victura, ha dichiarato che lo sviluppatore Highwire Games “non affronterà le questioni politiche che hanno portato al conflitto”, bensì si occuperà di “suscitare empatia” per le truppe americane, il loro lavoro per eliminare gli insorti in tutta Fallujah, e i civili che sono stati coinvolti nello scontro.

Penso che le persone ragionevoli possano essere in disaccordo con questo“, ha detto Tamte a Polygon, spiegando poi come l’obiettivo del team di sviluppo sia stato quello di raccontare le sensazioni e le esperienze dei militari americani che combatterono a Fallujah all’interno di quello che venne definito un vero e proprio esempio di assedio moderno.

“Per noi come team, si tratta davvero di aiutare i giocatori a capire la complessità del combattimento urbano.” continua Tamte. “Si tratta delle esperienze di quell’individuo che ora è lì a causa di decisioni politiche. E vogliamo mostrare come le scelte fatte dai politici influenzino le scelte che [un marine] deve fare sul campo di battaglia. Così come quel Marine non può giudicare le scelte dei politici, non stiamo cercando di fare un commento politico sul fatto che la guerra stessa sia stata una buona o una cattiva idea“.

Una dichiarazione che sembra rincorrere quelle di altri sviluppatori e attori dell’industria che negli mesi si sono spesi per evitare di entrare a gamba testa in questioni politiche (come nel caso di Tim Sweeny di Epic Games), ma che nel caso di Six Days in Fallujah potrebbero, a lungo andare, creare grandi discussioni.

L’assedio di Fallujah: un argomento scottante

Da quel che sappiamo, Highware Games e Victura sono al lavoro per costruire un prodotto il più possibile rispettoso della storia dell’assedio di Fallujah, che fra il 2003 e il 2004 divenne roccaforte di una cellula terroristica molto preparata che mise sotto scacco l’esercito U.S.A. e alcune agenzie di contractor (compagnie private di militari) per mesi.

La produzione del gioco ha richiesto l’intervista di decide di testimoni oculari fra civili, militari americani e iracheni, fatto che potrebbe far supporre che Six Days in Fallujah possa diventare un interessante esempio di videogioco storico su un evento contemporaneo. Eppure già ora vari elementi sembrano potenzialmente controversi.

Sempre nella sua intervista a Polygon infatti Tamte  spiega per esempio come per rispettare gli obiettivi del gioco (la creazione di un fps militare che omaggi le truppe U.S.A.) siano stati omessi dei fatti storici accertati, come l’utilizzo di armi non convenzionali come il fosforo bianco da parte degli americani. Un fatto all’epoca estremamente contestato dalle istituzioni internazionali e che il team di sviluppo, pur attento alla ricostruzione della storia, non sembra voler affrontare, nonostante Tamte stesso abbia affermato che uno dei temi del gioco vuole essere “il costo umano” della guerra.

“Ci sono cose che ci dividono, e includere quelle cose davvero divisive, penso che distragga le persone dalle storie umane in cui tutti possiamo identificarci“, ha detto Tamte in merito. “Ho due preoccupazioni con l’inclusione del fosforo come arma. La prima è che non fa parte delle storie che questi ragazzi ci hanno raccontato, quindi non ho una base autentica e fattuale su cui raccontarlo. Questo è il più importante. La seconda è che non voglio che cose sensazionali distraggano dal racconto di quell’esperienza“.

Il team statunitense potrebbe stare per muoversi su un vero e proprio campo minato e in una potenziale cornice di ambiguità.

Se da un lato l’obiettivo appare quello di voler descrivere l’orrore della guerra-incluso il POV di una famiglia di civili, la cui storia si alternerà con quella dei militare-dall’altro varie scelte di omissione potrebbero dare adito a polemiche che già erano nell’aria all’epoca del primo tentativo di pubblicare il gioco.

Staremo a vedere.

This post was published on 16 Febbraio 2021 17:00

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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