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The Last of Us Parte II: Druckmann parla delle accuse di crunch

Fin dal suo annuncio The Last of Us Parte II è stato al centro di numerose discussioni in merito svariati suoi aspetti, inclusi le scelte narrative del comparto creativo e alcuni contenuti ritenuti “divisivi” da parte del pubblico, divenendo uno dei giochi più chiacchierati di fine generazione. Di tutti questi argomenti tuttavia il più delicato sembra essere quello che forse contiene degli elementi realmente critici per l’immagine del capolavoro Naughty, ovvero l’accusa di crunch culture ai dirigenti del team, che ora lo stesso Neil Druckmann ha voluto prendere di petto.

Intervenendo in una puntata del podcast di Troy Baker (il celebre attore che ha prestato la voce a Joel), Druckmann ammette di non essere riuscito a dirigere i suoi dipendenti in modo da offrire loro un sereno compromesso fra attività lavorativa e sfera personale, una dichiarazione che sembra in qualche modo confermare le accuse rivolte dal reporter di Kotaku Jason Schreier qualche mese fa.

Argomentando queste accuse tuttavia Druckmann ha fatto riferimento al fatto che se di crunch time si è trattato esso è stato frutto di una “scelta condivisa” da parte del team, i cui esponenti avrebbero scelto in modo spontaneo di investire molta parte del loro tempo libero lavorando su alcuni aspetti del gioco molto complessi come, per esempio, le tante opzioni per l’accessibilità.

Una situazione spinosa

Si tratta com’è ovvio di un argomento spinoso e, in definitiva, piuttosto scomodo.

La quantità di dettagli presenti in ogni livello di The Last of Us Parte II lascia intendere come il lavoro di Naughty Dog sia stato di una qualità molto alta e appassionata, capace di raccontare decine di piccole storie al giocatore a ogni minuto passato in-game. Un lavoro svolto senza dubbio con abnegazione e impegno.

Difficile è, tuttavia, capire quale sia la verità rispetto alla situazione interna di produzioni del genere. Al momento la situazione raccontata in parte dalla stampa e in parte dalle dichiarazioni di Druckmann restituisce un quadro sfaccettato, nel quale si sommano da una parte la giusta volontà di fare luce sulle controversie e dall’altro la volontà del director di difendere la sua opera e la sua azione.

Avremo mai una risposta chiara su cosa sia accaduto in Naughty negli ultimi anni? Forse, e forse fra molto tempo.

This post was published on 17 Luglio 2020 9:36

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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