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Stadia: Google non paga abbastanza i dev indie?

Google Stadia è una delle novità videoludiche più chiacchierate dell’ultimo periodo sia per il suo proporsi come innovazione epocale sia per le numerose incertezze e questioni che la mossa di Google ha sollevato. Oltre a quelle “filosofiche”, a mettere ancor più sotto la lente d’ingrandimento Stadia è stato il fatto che dal suo lancio in poi il suo comparto giochi è cresciuto molto lentamente e soprattutto senza guardare troppo al mondo degli indie.

Proprio per quanto riguarda quest’ultimo fatto, un’inchiesta di Business Insider riportata da Kotaku dà voce a qualche malumore da parte di vari sviluppatori indipendenti: secondo il report, basato su interviste, Google non offrirebbe a questi team sostanziali incentivi economici per convincerli a lavorare su Stadia ma, peggio ancora, la sua storia non darebbe loro l’immagine di un partner affidabile.

Quanto c’è di vero?

Questione di soldi e fiducia

Il primo punto che emerge dalle interviste-che tuttavia, ricordiamolo per onestà, rappresenta solo il punto di vista degli intervistati- è infatti che l’offerta di Google non sarebbe proprio stata quella che si dice “un’occasione d’oro”, come invece accade di solito quanto una major proprietaria di un device offre a tizio o caio indie di progettare una nuova versione del loro gioco.

Le parole dei dev sono parecchio pesanti e parlano addirittura di “incentivi inesistenti”, una cosa che se confermata sarebbe abbastanza eclatante (ehi, stiamo sempre parlando del primo editore multimediale al mondo!).

In seconda posizione troviamo una motivazione che fa riflettere ancor di più, soprattutto sulla natura del progetto di Google: i dev non si fiderebbero perché vedono in Stadia uno dei tanti servizi che il colosso del web, pronto a tagliarlo in favore di altri più remunerativi nel caso le cose si mettessero male (“Cosa? Dovrei affidarti i miei piccoli col rischio di chiusura del servizio da un giorno all’altro?!”).

Il punto è che non sarebbe neanche la prima volta. In quanto “colosso”, Google non ha mai esitato a mettere in campo più “servizi” e a tagliare i “rami secchi” per favorire quelli in forze, quindi non sarebbe sorprendente.

Punto debole?

Il ragionamento è chiaro e condivisibile, soprattutto se mettiamo a confronto la politica Google con quella di colossi come Microsoft, Sony o Nintendo. In questi casi, nonostante queste multinazionali siano impegnate in più campi, abbiamo delle storie di politiche forti nel comparto gaming, che danno più fiducia al piccolo imprenditore/creativo impegnato a trovare il suo posto nell’industria, grazie anche a storie ormai pluridecennali di apertura al mercato indie da parte degli store proprietari. Viceversa, i trascorsi di Google portano a vederla come un colosso molto più spietato e pronto a pratiche più discutibili.

La semplice domanda che sembra diffondersi fra gli indie dev sembra insomma essere: Stadia potrà mai diventare una vera console oppure sarà un semplice “servizio Google”?

Fossi in mister Mountain View, non guarderei la questione con tanta superficialità. Per quanto siano i grandi publisher a dettare l’agenda, non sono pochi i titoli indie dai quali sono venuti fuori best-seller invidiabili e, soprattutto, chi ha detto che il ciclo di vita del mercato videoludico si basi solo sul Cyberpunk 2077 di turno?

Leggi anche: Google Stadia migliorerà, bisognerà solo dargli tempo (come abbiamo fatto con Steam)

This post was published on 2 Marzo 2020 14:31

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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