Generalmente quando pensiamo ad un nerd o ad un geek tutto ci immaginiamo meno che un fisico statuario o un forma fisica prorompente. Giocare ad Halo , a Civilization o a Dungeon & Dragons tutto fa meno che mettere su pettorali smaglianti, motivo per cui nell’immaginario comune la figura del videogiocatore/giocatore è sempre stata messa al fianco dell’essere umano sovrappeso/obeso.
Al giorno d’oggi, con l’espansione del mercato videoludico verso nuovi pubblici e nuovi giocatori, l’immagine del nerd sovrappeso non risulta più particolarmente rappresentativa.
I videogiochi sono entrati nel mondo della cultura popolare andando a mostrare come anche atleti o celebrità lontanissime dagli stereotipi siano anch’essi fruitori del nostro stesso divertimento, nonostante pettorali scolpiti o apparenze fisiche di altro tipo.
Il mondo stesso dello sport nel corso degli anni ha sempre più utilizzato i videogiochi per i loro scopi: c’è chi utilizza la realtà virtuale per allenare gli atleti (come i Dallas Cowboys) o chi utilizza i simulatori per preparare figure professionali come piloti d’aereo o piloti di formula 1.
Il mondo del videogioco e quello dello sport, specie se con intenzioni diverse dal puro divertimento, si sono già incontrati molto nel corso di questi ultimi dieci anni e Ring Fit Adventure è forse la perfetta summa di questo percorso. Nintendo con questo suo prodotto ha fuso il mondo dei fitness games (nome inventato sul momento) al mondo dei videogiochi canonici.
Come siamo arrivati a questo punto? Quali tappe ha percorso il mondo dei videogiochi per vedere una società come Nintendo impegnare molte sue risorse su di un progetto del genere?
Vediamolo insieme all’interno di questo articolo.
In inglese il termine utilizzato è exergaming ovvero il mischiare gli aspetti ludici del gioco con un più canonico esercizio fisico. Ad inventare questo concetto non è stata Nintendo o Microsoft o chi per loro ma è stata invece un’ imprevedibile Autodesk, oggi famosa per essere la software house dietro i software per il disegno tecnico assistito su computer come AutoCAD.
Il progetto in questione si chiamava HighCycle ed era come una cyclette 2.0 prima che il mondo dei social network e della tecnologia odierna andasse a popolare le palestre di tutto il mondo. Il sistema non fu mai portato in commercio perché di complicata realizzazione ed era composto da una bicicletta ancorata a terra e da una specie di primitivo sistema per la realtà virtuale, in grado di mostrare all’utilizzatore il paesaggio muoversi in base alla velocità della pedalata.
Molto simile a tale progetto era puffer di Atari, anche qui un ibrido tra un videogioco ed una cyclette.
In sostanza la cyclette in questione era una metodologia di input aggiunta a dei pad installati sul manubrio, creando una specie di nuovo grande controller che gli appassionati avrebbero dovuto usare per giocare ad uno sparuto di titoli. Atari durante gli anni della prototipazione ideò una serie di giochi per la sua macchina che non vide comunque la luce a causa del tracollo dell’industria, lo stesso che costrinse la compagnia americana a nascondere in un deserto americano le copie invendute del leggendario E.T.
Il primo esempio di successo riguardante questi ibridi tra attrezzi sportivi e videogiochi è sicuramente Computrainer, un sistema che mischiava gioco e allenamento attraverso l’utilizzo di un computer da collegare alla propria bicicletta.
Un sistema di resistenze magnetiche simula pendenze e discese, dando all’utilizzatore l’idea di star seguendo un percorso ben specifico che viene deciso a priori interagendo con la macchina, dando quindi spazio a percorsi virtuali o ipotetiche gare virtuali tra utilizzatori. Computerainer è sopravvissuto fino al 2017 venendo aggiornato di anno in anno da RacerMate ed è stato poi sospeso; ne esiste addirittura una versione per Nintendo Entertainment System con grafica 8-bit e interfaccia per joypad.
Sicuramente il modo più facile per far fare esercizio fisico ad un videogiocatore è quello di costringerlo ad interagire con il gameplay del titolo in questione portando a fare esercizio fisico. Durante i primi anni ottanta a dominare il mercato delle console c’era l’Atari 2600, un sistema a 4 bit che si dimostrò l’assoluto dominatore del nascente mercato delle home console vendendo milioni e milioni di console.
Il joypad dell’Atari 2600 era tutto fuorché faticoso da usare, consistendo in un semplicissimo arcade stick dotato di un singolo pulsante. All’interno della sua grande ludoteca ci sono anche un paio di titoli come Video Jogger e Video Reflex perfettamente in grado di sfruttare un controller tutto particolare chiamato foot craz.
Prodotto dalla società di software Exus, il Foot Craz aveva un prezzo al dettaglio di 99 dollari. Era un pad di plastica che aveva cinque microinterruttori incorporati, quattro che corrispondevano a ciascuna delle direzioni cardinali su un joystick Atari e uno per il pulsante del fuoco. Mentre Video Jogger non chiedeva altro al giocatore di correre sul pad per far avanzare un personaggio molto semplice all’interno di uno scenario altrettanto spartano, Video Reflex si comportava più come il buon vecchio e caro Twister, chiedendo al giocatore di premere i colori del pad in modi diversi di volta in volta.
L’insuccesso del Foot Craz fu certamente dovuto alla sua finestra di lancio, particolarmente vicina al successo del Nintendo Entertainment System. Il NES aveva dalla sua un parco periferiche piuttosto vasto, già pensato dalla dirigenza per cercare di entrare all’interno del mercato nel modo più organico possibile; tra la pistola Zapper e il robot R.O.B Nintendo ha lasciato il giusto spazio per un controller da usare… con i piedi.
Il Power Pad uscì nel 1988 in Giappone ed era una riedizione targata Nintendo di una periferica chiamata Family Trainer sviluppata tempo prima da Bandai. Inizialmente arrivato in America come Family Fun Fitness, il rilancio della periferica da parte di Nintendo diede un piccolo boost al prodotto che divenne progressivamente più popolare. La periferica era il solito tappeto di plastica compreso di pulsanti con due lati da sfruttare: il lato A aveva otto pulsanti, mentre il lato B ne aveva 12 disposti in tre file di quattro. Per motivi ancora oggi ignori, degli undici giochi compatibili con tale piattaforma, la stragrande maggioranza di essi utilizzava unicamente il lato B.
I giochi sviluppati per questa piattaforma non sono esattamente memorabili: abbiamo ad esempio Athletic World che mette i giocatori a confronto in cinque differenti eventi derivanti dal mondo sportivo senza regalare niente di spettacolare, Dance Aerobics che chiedeva al giocatore di ripetere determinate mosse viste prima a schermo o World Class Track Meet che imposta tutto il suo gameplay sul footwork e sulla corsa.
Inutile dire che la periferica non era particolarmente responsiva ed è lontanissima da quelli che oggi conosciamo come canoni di divertimento; questo unita alla mancanza di pubblicazione del parco titoli negli Stati Uniti hanno determinato l’insuccesso generale del prodotto.
Nintendo ci riproverà poi venti anni dopo, vedremo come.
Se pensiamo a controller che richiedono sforzi fisici per essere attivati e proviamo a pensare ad un qualcosa che abbia avuto successo, è quasi matematico pensare ad un singolo nome: Dance Dance Revolution, Konami, nel 1998, nel tentativo di aumentar il suo parco bemani decise di puntare sul ballo invece che sull’imitazione di strumenti già esistenti, trasformando i piedi del giocatore in un controller vero e proprio.
Il gameplay di Dance Dance Revolution è quanto di più basilare ci si può aspettare: è necessario ballare delle canzoni battendo a tempo, con i piedi, dei tasti che è possibile trovare a terra. Quattro pannelli di frecce rappresentanti le quattro direzioni cardinali corrispondono alle frecce che troviamo a schermo. L’impostazione è sostanzialmente la stessa di Beatmania, altro gioco musicale made in Konami, soltanto che per cliccare i tasti è necessario utilizzare i piedi invece che le mani e le dita.
La cosa che maggiormente sorprende a posteriori del prodotto è la sua genesi: il producer Yoshihiko Ota a capo di un manipolo di sviluppatori non ballerini è riuscito a creare un videogioco in grado di rispondere armonicamente ai movimenti del corpo, creando strati di difficoltà aggiuntivi sia a schermo che a livello fisico; per poter giocare le canzoni di difficoltà più elevata all’interno di Dance Dance Revolution il giocatore avrà l’obbligo di appoggiarsi alle barre laterali presenti nel cabinato o avrà la necessità di girare il corpo per riuscire a centrare determinate combinazioni. Inutile dire che il successo di DDR all’interno della storia dei videogiochi è stato enorme e che, al giorno d’oggi, può vantare numerosissimi seguiti ed un nutrito numero di emuli.
Dance Dance Revolution è un gioco che ha già fatto parlare molto di sé per la sua capacità di portare il corpo a sforzarsi in modo importante. Già un paio di anni fa uno streamer di Twitch aveva portato la sua esperienza sul caso alle luci della ribaltà: ventitré chilogrammi persi nel giro di due anni attraverso Dance Dance Revolution ed una dieta (che ricordiamo, è indispensabile per perdere peso in modo intelligente).
Il videogioco in questo caso è stato più una continua fonte di stimoli e di motivazioni per permettere al suo utente di perseguire l’obbiettivo della perdita di peso.
Il vero turning point di tutta la faccenda è arrivo durante il 2008 quando Nintendo, in piena febbre del successo data dalla Wii, ha tirato fuori il Wii Fit. Dopo aver sdoganato definitivamente l’utilizzo dei motion controller all’interno di un mercato bulimico, fatto di sparatutto in prima persona e grafiche tendenti al fotorealismo, il colosso di Kyoto cerco di portare il tutto ad un livello successivo tirando fuori un nuovo controller, in grado di permettere all’intero corpo del giocatore di interagire con un software.
L’idea del Wii Fit nacque quasi in contemporanea allo sviluppo della console, da un brainstorming capitanato direttamente da Shigeru Miyamoto in persona (creatore di Super Mario Bros e The Legend Of Zelda). La balance board, grazie ad un quartetto di sensori, è in grado di misurare la pressione apportata in ogni punto della sua superficie e di calcolare il peso corporeo; tutte caratteristiche che saranno ampiamente utilizzate all’interno del software sviluppato da Nintendo. Mischiando yoga, aerobica e minigiochi sportivi, Wiifit permette al giocatore di migliorare il proprio equilibrio e la propria percezione nello spazio, facendo pose o facendo attività in grado di aumentare le proprie competenze in tale ambito.
Forte di ventitré milioni di copie vendute in tutto il mondo, Wii Fit ha avuto addirittura dei sequel ed un sacco di videogiochi ispirati ai concetti dell’originale; al giorno d’oggi sono oltre 100 i giochi in qualche modo compatibili con la periferica di Nintendo. I prodotti in questione non hanno mai brillato dal punto di vista prettamente ludico ma sono stati in grado di aprire un nuovo modo di intendere videogiochi.
La migliore prova, a livello puramente tecnologico, di questo nuovo paradigma per il game design è rappresentato senza dubbio da Kinect, una telecamera per il motion sensing rilasciata da Microsoft per l’Xbox 360 nel 2010 e arrivata anche nella nuova generazione. Il Kinect è in grado di tracciare un soggetto nello spazio attraverso le tre dimensioni, finendo per essere utilizzato male da molti giochi ma bene per attività con il 3D scanning.
Nonostante il marketing dietro e la grande quantità di giochi che sono stati rilasciati, Il Kinect al giorno d’oggi viene ricordato ancora una volta come una delle peggiori periferiche ad essere state messi in piedi dalla compagnia di Redmond. I software ufficiali (come Kinect Training) potevano vantare di un buon livello qualitativo, in grado di far sudare le sette proverbiali camicie a qualsiasi tipo di giocatore, ma la maggioranza dei software di terze parti e la quasi totalità dei giochi ad avere un qualche tipo di integrazione con il kinect soffrivano di pesanti problemi tecnici a livello di tracciamento e giocabilità; a poco sono serviti titoli in-brand sponsorizzati da Jillian Micheals o da videogiochi con il marchio di UFC
Dopo aver tastato il terreno attraverso Wiifit e ciò che ne consegue, Nintendo aveva chiaramente capito le potenzialità dietro la moltitudine di sensori in dotazione ai suoi motion controller. La compagnia ha deciso di sfruttare le caratteristiche della sua nuova console, la Nintendo Switch, per tirare fuori un prodotto in grado di accalappiare altri giocatori.
Il risultato di questo processo è Ring Fit Adventure, plausibilmente figlio di tutti i processi creativi che ci sono stati dietro Nintendo Labo e titolo che si pone a metà tra un videogioco classico ed un simulatore di attività fisica. Ciò che distingue Ring Ffit Adventure da Wii Fit o da altre cose è la sua struttura prettamente ludica, lontana dalla collezione di minigiochi o dalla simulazione pura. Ring Fit Adventure è un gioco di ruolo con un comparto narrativo da segire fino alla fine ed un gameplay che mette sempre al centro le caratteristiche della periferica centrale, il già citato Ring Fit.
Il giocatore per attaccare gli avversari dovrà praticare degli squat o dovrà muoversi per la mappa correndo sul posto; piuttosto che lasciare il gameplay in balia dei tasti, Nintendo ha avuto la bell’idea di inserire quanto più di ludico ci sia all’interno di un programma di allenamento. Nintendo stessa ha pesantemente sottovalutato il suo prodotto, al punto da doversi scusare più volte con giocatori e negozi per la carenza di scorte. A aqualche mese dal suo rilascio nei negozi stanno venendo fuori le prime storie legate a trasformazioni fisiche.
Migui Minaj, ad esempio, ha raccontato di essere riuscito a migliorare la sua condizione fisica accoppiando una dieta equilibrata a Ring Fit Adventure nel giro di trenta giorni. Nel futuro potremmo avere delle situazioni simili a quelle lette nei mesi passati, con gente che si è allenata anche dieci anni di fila.
Ring Fit Adventure, in sostanza, si pone nei confronti dell’industria come un punto d’arrivo per un determinato tipo di giochi ed ha tutte le potenzialità del caso per aiutare il giocatore a migliorare la propria condizione fisica.
Dalle cyclette interattive agli ibridi tra gioco di ruolo ed esercizio ginnico ci sono voluti trent’anni, fra altri trenta che altro avremo?
This post was published on 5 Gennaio 2020 20:32
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