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Minecraft e il vaticano: l’alleanza inaspettata contro il gaming tossico

Il gaming tossico è ormai una delle grandi malattie che sta infettando il nostro mondo da videogiocatori.
Comune a diverse communities, odiato anche dagli stessi giocatori, il fenomeno ha purtroppo segnato l’immagine stessa del gioco online creando anche dinamiche di difficile eradicazione. Un fenomeno talmente forte da costringere a intervenire in merito gli stessi produttori di videogiochi, ma anche sociologi e psicologi. Ebbene, oggi è arrivato anche interessamento di qualcun’altro: Va-ti-ca-no.

Dai su, non fate quelle facce e sentite che storia…

Don gamer?

Tutto parte dall’idea di un gesuita statunitense, Robert Ballecer, frate con un passato da studente di informatica nella Sillicon Valley, che ha avuto l’idea di creare un server di Minecraft nel quale coltivare un ambiente di gioco “confortevole”. L’obiettivo, di fatto, era quello di portare avanti un’arena al sicuro dai comportamenti nocivi.

Si è trattato di un esperimento, come raccontato da Ballecer, che ha scatenato conseguenze contrastanti: è lo stesso promotore a raccontare della titubanza iniziale dei giocatori e di come solo in seguito l’accoglienza dei giocatori di sia fatta più convinta. Col passare del tempo, infatti, i partecipanti sono andati oltre i pregiudizi legati al fatto che Ballacer fosse un religioso e hanno iniziato a valutare positivamente la mission dell’inziativa, ovvero la socializzazione fra giocatori.

Al momento il server è ancora in fase beta, quindi il tutto è in divenire. Non ci resta che osservare l’evolversi della situazione e valutare come la vicenda andrà a finire, ma intanto la notizia ha già fatto “il botto”, in più sensi.

Robert Ballacer, alias frate gamer.

Dal cortile al server è un attimo!

Meravigliarsi per una notizia del genere è comprensibile, ma fino a un certo punto. Due i motivi, collegati fra loro.

Da una parte perché, come già detto, il gaming tossico è purtroppo diventato un hot topic e un’emergenza sentita. Secondo uno studio citato da Kotaku lo scorso luglio, basato su una popolazione di gamers adulta, il 74% del campione preso in esame era stato fatto oggetto di comportamenti riconducibili a trolling o a vera e propria discriminazione per motivazioni razziali o sessuali. Una percentuale davvero molto alta se pensiamo all’età media certo abbastanza alta.

D’altra parte, a non dover stupire è il tentativo della chiesa di intervenire in contesti sociali “a rischio”: ambiente tecnologico a parte, non si tratta che dell’applicazione di una serie di istanze di miglioramento delle comunità tipica di alcuni ambienti cattolici “di base” da almeno due secoli. Il fatto però che l’evoluzione di queste pratiche guardi al web e alle sue varie declinazioni significa che la Chiesa sta compiutamente guardando agli ambienti virtuali come a estensioni della nostra realtà.

“Gaming tossico”, olio su tela 2019. Rende bene l’idea, eh?

Società in rete

Fino a che punto gli ambienti di gioco online finiscono di essere spazi di divertimento e diventano qualcos’altro?

Domanda superflua: prima ancora di essere prodotto o opera di intrattenimento, questo tipo di gioco è un potente “ambiente di comunicazione” dove possono nascere amicizie, interessi condivisi, dissapori e, ovviamente, fenomeni negativi. Queste dinamiche hanno un peso sulla “realtà”? Altra domanda ovvia: al di là degli allarmismi della stampa non specializzata e un bel po’ sensazionalistica, è certo che fenomeni come quelli fotografati da Kotaku possano avere un impatto sulla vita offline.

L’immagine che restituisce questo stato di cose è quella di un vero e proprio “specchio” delle organizzazioni umane nel virtuale, uno stato di cose che a quanto pare la Chiesa sta dimostrando di voler cavalcare.

Con che esiti?

Progressismo o campo da occupare?

Non è la prima volta che il videogiochi riceve le attenzioni di ambienti ecclesiastici, e per motivazioni “positive”. Solo per fare un esempio citiamo un interessante articolo di Famiglia Cristiana risalente all’uscita di GTA V (2013) che ne tesseva le lodi in quanto opera narrativa digitale potente ed emozionante che meravigliò molti all’epoca.

L’impressione è che ci sia una silenziosa strategia per tentare di governare dei fenomeni e inserirsi all’interno di un mondo digitale sempre più ramificato e parte integrante del nostro sistema sociale. Il timore che ciascuno di noi può avere è ovviamente quello di un’appropriazione inedita di un medium, portata avanti anche per obiettivi “di indottrinamento”, ma il dato di fatto al momento è un altro: il videogioco potrebbe molto presto essere considerato dalle istituzioni religiose un terreno strategico e con forte valenza culturale, come lo è stato il libro o il film nel passato.

E questo la dice lunga sulle potenzialità di questo medium.

>>Leggi anche: Storie belle: giocatori non udenti insegnano la lingua dei segni con VRChat<<

 

 

 

 

This post was published on 2 Dicembre 2019 12:51

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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