La notizia è di poche ore fa: Freebird Games ha appena annunciato Impostor Factory, il nuovo gioco della celebre saga To The Moon. Il videogame in questione è, di fatto, il terzo capitolo della serie, successivo a Finding Paradise. Come tutti gli appassionati sicuramente ricorderanno, il titolo è passato alla storia non per il suo eccelso comparto grafico, ma per la sua narrazione delicata, appassionante e, soprattutto, capace di toccare le corde più profonde dell’animo umano.
Sotto questo aspetto, quindi, il franchise dello studio di sviluppo indipendente rientra in una categoria assai ristretta di videogame, capaci di trattare temi non semplici in maniera straordinariamente diretta e, in particolare, di far emozionare il giocatore, mettendolo a confronto con tutta una serie di sensazioni tanto forti quanto tremendamente umane.
Nelle righe che seguono, cercheremo di analizzare le ragioni che spingono un videogiocatore a preferire un titolo come To The Moon, ed andremo ad elencare i videogame che, più di tutti gli altri, sono riusciti ad emozionare ed emozionarci.
Diciamocelo chiaramente: in quanti avrebbero creduto che un videogame indipendente avrebbe riscosso un successo di tale entità da spingere i suoi creatori a lavorare non ad uno, ma a ben due sequel? Eppure, nonostante lo scetticismo, To The Moon è riuscito a convincere proprio tutti, sia critica di settore che pubblico.
La sua grafica pixellata, modellata con RPG Maker, è riuscita ad appassionare tantissimi giocatori, di pari passo alla sua trama magnificamente narrata, capace di emozionare e di inumidire gli occhi anche ai cuori più glaciali.
È notizia di oggi che Freebird Games ha ufficialmente annunciato Impostor Factory, la terza incarnazione della serie To The Moon, con il trailer che vi lasciamo in allegato. Il videogame dovrebbe arrivare su PC entro il 2020 e, consultando la sua scheda su Steam, possiamo trovare le seguenti informazioni.
Impostor Factory è un gioco di avventura basato sulla narrazione, che è categoricamente fuori dagli schemi.
La dott.ssa Rosalene e la dott.ssa Watts avranno un lavoro particolare: dare alla gente un’altra possibilità di vivere la propria vita, fin dal suo inizio.
Ma questa non è la loro storia. Probabilmente.
Si tratterà, invece, della storia di Quincy. Lasciate che vi racconti una storia su di lui.
Un giorno, Quincy fu invitato a una party elegante, in una dimora sospettosamente isolata. Quindi accettò l’invito e si reco lì; se il palazzo era sospetto e appartato, era anche elegante e aveva un party.
In effetti, si è rivelato essere così elegante che, nel suo bagno, era presente una macchina del tempo. Quincy poteva lavarsi le mani e viaggiare nel tempo mentre era lì. Immaginate che risparmio di tempo!
Ma, ovviamente, le persone inizieranno a morire, perché è quello che fanno. E da qualche parte lungo la strada, le cose diventeranno un po’ Lovecraftiane, con dei tentacoli coinvolti.
Ad ogni modo, quanto finora detto è circa 1/3 di ciò che il gioco tratta davvero.
Funzionalità chiave:
- Una storia che vi farà maledire lo schermo di gioco
- Un mix accogliente tra elementi di gioco d’avventura ed estetica classica dei giochi di ruolo
- Dialoghi che faranno male da leggere, ma che centreranno il punto
- Un gameplay senza filler e perdite di tempo
- Long Cat
Ma poniamoci un’altra domanda di fondamentale importanza: su che cosa si basa il successo di giochi come To The Moon? Rispondere al quesito ora posto non è affatto facile, soprattutto in un’epoca come la nostra, segnata dalla corsa al 4K più “reale”, del frame rate più stabile e del fotorealismo a tutti i costi.
To The Moon si è posto in perfetta antitesi con i canoni estetici del videogioco moderno, ribadendo una lezione tanto semplice quanto importante: per toccare il cuore di gamer, spesso bastano pochi ingredienti. Il titolo di Freebird Games era sviluppato con un motore grafico chiaramente ispirato ai titoli per SNES, con un gameplay essenziale e senza troppe libertà; eppure, il suo successo è sotto gli occhi di tutti.
Parlare di emozioni e sentimenti è però un compito semplice solo all’apparenza. Basti pensare al successo di Life is Strange, capace di trasporre tutta una serie di problematiche adolescenziali (troppo spesso sottovalutate), il cui prequel Before The Storm non riuscì però a bucare lo schermo, pur vantando due dei personaggi principali del primo capitolo.
Spesso, molto spesso, i videogame rischiano di scadere nella banalità, soprattutto quando si tratta affrontare temi spinosi o difficili da affrontare. Tuttavia, in alcuni casi, anche un team ristretto può riuscire nell’impresa in cui tanti rinomati studi di sviluppo falliscono. È il caso di That Dragon, Cancer che, ispirato alla storia personale di uno dei suoi creatori, ci mette nei panni di un padre alle prese con un figlio malato di cancro, con il compito di accompagnarlo nei suoi ultimi giorni di vita.
Potrà sembrare un’eresia, ma riuscire a far emozionare una persona (non obbligatoriamente un videogiocatore) è un compito sempre più difficile. Ogni strada sembra essere già battuta e, a meno che non si parli di geni creativi come Kojima (e del suo ispiratissimo Death Stranding), il rischio di fare flop è sempre dietro l’angolo.
Spieghiamoci: non esiste la ricetta segreta per creare il gioco perfetto. In ogni caso, l’ingrediente essenziale consiste nell’avere qualcosa da dire. Aveva qualcosa da dire Ovosonico, capace di narrare il dolore della perdita di un partner con grande maestria in Last Days of June; aveva qualcosa da dire Detroit: Become Human, narrandoci un futuro in cui il razzismo non è scomparso, ma ha solo cambiato volto; così come aveva qualcosa da dire l’immenso The Last Guardian, trasponendo con grande delicatezza il rapporto tra animale domestico e padrone.
Sebbene ci siano anche esempi lampanti di tripla A capaci di colpire chi li gioca (The Last of Us è il caso più lampante), sembra quasi la gran parte delle “emozioni in pixel” provenga dagli sviluppatori indipendenti che, non potendo contare su una grossa “potenza di fuoco“, sono costretti a “guardare altrove“, rispolverando il potere di una narrativa ben congegnata, di pochi effetti speciali, e di tanto, tantissimo “cuore“.
Sarà forse per questo che un videogiocatore moderno, tra un Call of Duty ed un Battlefield, non può prescindere da un Undertale, un To The Moon o un Dear Esther: perché, una volta arrivato ai titoli di coda, non sarà più lo stesso giocatore di prima.
This post was published on 29 Novembre 2019 17:46
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