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Breve guida a tutti i prodotti che Valve ha lasciato morire (o quasi)

C’è una diceria diffusa nel mondo della tecnologia che vede Google regina assoluta dei prodotti avanguardistici che finiscono per cadere in un magico dimenticatoio dopo giusto qualche mese. È stato così per Google +, per i Google Glass e molti hanno paura di vedere tale percorso accadere anche per la recentissima Google Stadia (le cui criticità hanno destato preoccupazioni). Nonostante tutto ciò Google, grazie al successo straordinario di alcuni suoi prodotti (Youtube, il motore di ricerca Google, Google Ads e via dicendo) può tranquillamente continuare a vivere a cambiare il mondo. a domanda che ci poniamo in questo caso è però un’altra: c’è un corrispettivo nel mondo dei videogiochi?

La risposta è si, questa è la storia di Valve.

Al giorno d’oggi Valve è principalmente conosciuta nel mondo dei videogiochi per essere la società dietro un prodotto, Steam, che ha quasi monopolizzato il settore della vendita di videogiochi digitali. Oltre a ciò Valve ha nel suo curriculum anche due tra i videogiochi più giocati di sempre (Dota 2 e Counter Strike: Global Offensive), un florido settore esportivo (legato ad esempio al torneo The International di Dota 2) e brand di valore totale come Half Life o Portal.

Come ogni bella rosa anche qui ci sono delle spine da tenere in considerazione: queste spine si chiamano Steam Controller, Artifact Steam Machine. Tre grandi fallimenti che accomunano il modus operandi di Valve a quello di Google senza particolari problemi.

Nel corso di questo articolo vediamo il perché di queste parole.

Valve dice addio allo Steam controller

Lo steam controller è una delle idee geniali di Valve che tanto ha fatto parlare di sé quanto ha fatto arrabbiare la gente per problemi di usabilità. Al momento della stesura di questa notizia, lo Steam Controller è disponibile su Steam per 5 euro più spese di spedizione (che qui in Italia ammontano a poco più di una decina di euro) per un novanta percento di sconto sul suo prezzo originale.

Leggendo la descrizione presente sulla pagina dedicata al controller è possibile anche apprendere una notizia che è quasi triste: questa che stanno vendendo è l’ultima tornata di joypads poiché le quantità in vendita sono limitate. Secondo quanto poi raccolto dai ragazzi di The Verge, Valve non ha intenzione di continuare la produzione del controller, trasformando questo sconto in una vera e propria svendita, di quelle che trovate pubblicizzate in giallo fluorescente dal vostro negozio di fiducia.

C’è della tristezza in una notizia del genere perché, dal punto di vista oggettivo, lo Steam Controller aveva qualcosa da dire al mondo dei videogiochi. Questo joypad può tutt’ora vincere il premio come uno dei controller più customizzabili presenti sulla faccia della terra con una comunità piccola ma agguerrita di appassionati in grado di sfornare configurazioni di ogni tipo per una ludoteca sterminata, arrivando a moddare il controller stesso addirittura per poter risolvere le difficoltà di persone con disabilità senza dover per forza scomodare il chiacchieratissimo Xbox Adaptive Controller.

Sempre oggettivamente parlando è difficile parlare dello Steam Controller senza prendere in esame le sue limitazioni: i pad tattili, ad esempio, non sono mai risultati particolarmente confortevoli nelle mani dei giocatori nonostante la sopracitata versatilità e questo ha allontanato moltissimi dall’acquisto del pad. Un prodotto sperimentale che vede nei knuckle controller di Valve Index un simpatico figliastro in grado di avere migliore fortuna.

Secondo quanto dichiarato da Kotaku è difficile che Valve si impegni nella realizzazione di una seconda versione di tale controller; è molto più probabile che la compagnia si impegni invece nel mettere insieme un sistema di controllo per la realtà virtuale privo di problemi, specie se consideriamo il recente annuncio di Half Life: Alyx.

Chi si ricorda di Artifact?

Un’ altra delle idee geniali di Valve è sicuramente Artifact, il più grande flop dell’azienda dall’apertura della stessa dal punto di vista videoludico. Lanciato in sostanziale ritardo rispetto alla concorrenza, il digital trading card game basato sull’ambientazione ed i personaggi di Dota 2 ha dalla sua caratteristiche interessanti.

In primis un nome altisonante, Richard Garfield (creatore di Magic The Gathering), dietro al progetto; in secondo luogo il titolo poteva avvalersi di un gameplay complesso e incredibilmente profondo, basato sulla coesistenza di tre differenti board allo stesso tempo da gestire attraverso le proprie risorse. Il terzo e ultimo punto era dato dall’esistenza del marketplace di Steam, il luogo perfetto per permettere ai giocatori di imitare la vita reale scambiandosi a vicenda carte. Quest’ultimo punto era davvero una caratteristica mai vista prima all’interno dei DTCG, con possibilità economiche per Valve enormi grazie alle commissioni che la società si prende per ogni scambio effettuato sulla piattaforma.

Purtroppo, nonostante un inizio dirompente con oltre sessantamila giocatori, il titolo (complice anche una barriera in entrata chiamata prezzo d’acquisto) è lentamente morto con un numero di giocatori in perenne discesa; una traiettoria verso l’oblio. Nel giro di un anno il titolo ha finito per racimolare poche centinaia di giocatori abituali.

Al giorno d’oggi Artifact è un titolo semideserto, popolato da giocatori la cui abilità è elevata e sostanzialmente tossico nei confronti dei nuovi arrivati.

Per Garfield stesso l’insuccesso di Artifact è arrivato con tre fattori che si sono sommati:

    • assenza di strumenti per la community
    • modello economico incapace di inspirare fiducia nel pool di giocatori
    • assenza di senso di progressione all’interno del gameplay online (caratteristiche invece molto accentuata in titoli come Magic The Gathering Arena e Heartstone).

Al giorno d’oggi Artifact continua a vivere nel quasi anonimato,come una specie di brutto anatroccolo made in Valve; chissà in quanti aspettano la trasformazione del piccolo nero papero in un bellissimo cigno e se quest’ultima è davvero possibile…

Quella volta che Valve trasformò i pc in consoles.

Steam Machines è un nome che fa male se si è appassionati di PC Gaming. A quel nome corrispondeva una promessa, quella di rendere il pc gaming più accessibile dal punto monetario grazie a delle macchine equiparabili alle console. Steam Machines è forse il progetto di Valve che meno di tutti è riuscito ad esprimere le sue potenzialità nonostante un concept senza dubbio interessante.

La fine delle Steam Machines risale all’Aprile del 2018, quando l’azienda tolse l’accesso diretto alla sezione dell’iniziativa dalle sue applicazioni.

Le Steam Machines non erano altro che computer destinati al gaming dotati di sistema operativo SteamOS (una distribuzione Debian GNU/Linux) che assicurava massima compatibilità ai titoli presenti sulla piattaforma. Questo perché Valve aveva ingaggiato software house come Aspyr Media o Feral Interactive nell’ardua impresa di effettuare porting di titoli windows only. L’obbiettivo delle Steam Machines era quello di rendere semplice ed accessibile il pc gaming a tutti quelli che non avevano particolare dimestichezza con tale mondo, evitando procedure come l’assemblaggio o la risoluzione di problemi di compatibilità.

In sostanza queste macchine aspiravano ad essere una specie di standard per il mondo del computer gaming e si ponevano contro il dominio della tecnologia made in microsoft all’interno del mercato computer. Per poter giocare ai videogiochi pc, grazie alla steam machines, non era più necessario affidarsi a Windows e alle Directx (almeno nelle intenzioni di Gabe). Al giorno d’oggi, nello Steam che utilizziamo quotidianamente, c’è ancora la modalità Big Picture che era la perfetta interfaccia per chi non aveva ne mouse ne tastiera da attaccare al televisore.

Una delle motivazioni per cui le Steam Machines non riuscirono a stare al passo con i tempi è legata alla limitata potenza di cui disponevano inizialmente. Queste macchine avevano si potenze simili a quelle di una console ma dovevano far girare titoli che invece erano esosi proprio per la natura pc-limited, motivo per cui molti utenti si trovarono particolarmente confusi dopo l’acquisto del prodotto. Per cercare di limitare i danni Valve e altre aziende come Alienware iniziarono a commerciare versioni più potenti delle Steam Machines con componenti all’avanguardia, facendo lievitare il prezzo di molto e allontanando altre fasce di possibili acquirenti.

Mentre al giorno d’oggi un simile prodotto sarebbe plausibile grazie alla rinnovata potenza delle schede grafiche di piccole dimensioni (ricordiamo che le versioni mini delle 1060/1070 hanno prestazioni identiche alle loro controparti maggiori), all’epoca ciò non era possibile e questo ha sicuramente danneggiato la commercializzazione del tutto. Le Steam Machines erano decisamente avanti per il momento in cui erano uscite.

Altri due fattori che possono aver sicuramente reso difficile lo sviluppo di un florido mercato basato sulle steam machines sono l’arrivo di Microsoft nel settore del PC Gaming e l’arrivo della realtà virtuale.

L’azienda di Bill Gates, sfruttando Windows 10 e la universal windows platform ha praticamente fuso un mondo console con quello PC, offrendo grazie anche all’arrivo dei recenti abbonamenti Xbox Game Pass quello che il modo più economico in assoluto di approcciarsi al mondo del PC Gaming. Questa specie di fusione tra il mondo PC ed il mondo delle console ha sicuramente pesato sul fragile equilibrio in cui si trovavano le steam machines, creando di fatto un concorrente difficile da sconfiggere.

L’approccio di Valve al mondo della realtà virtuale sicuramente rientra tra i motivi per cui le Steam Machines hanno avuto problemi a reggersi sulle loro gambe poiché, la nascita di SteamVR e il boom di tale mercato ha tolto forza lavoro e risorse ad un settore che già sembrava essere claudicante di suo fin dall’inizio. Con gli sviluppatori impegnati a lavorare sugli standard per la realtà virtuale, Valve ha dovuto per forza di cose togliere finanziamenti e programmatori a quelli che lavoravano all’ottimizzazione del software delle steam machines, rallentandone l’evoluzione.

Al giorno d’oggi la compagni ancora rilascia ogni tanto qualche funzione beta per il suo sistema operativo SteamOS ma, di fatto, ha fermato la produzione delle Steam Machines per come inizialmente concepite.

Il futuro di Valve tra store avversari e Index.

Se siete arrivati alla fine di questo articolo è plausibile che abbiate dentro la vostra pancia delle farfalle che vanno roteando su sé stesse, in preda ad un certo magone. Se questi sono i presupposti degli ultimi tre grandi prodotti di Valve, dobbiamo avere paura per Valve Index?

Risposta breve: si e no. Come abbiamo già visto non sarà sicuramente Half Life: Alyx a trasformare la realtà virtuale in un dispositivo a portata di tutti come è stato per gli smartphone. È importante che tale mondo abbia ricevuto un grande titolo tripla A a fare da apripista e la speranza è che nel corso dei prossimi anni anche altre grandi software house sviluppino prodotti ad altissimo budget per tali piattaforme, dando ulteriori motivi alla compagnia per foraggiare la sopravvivenza del suo visore per la realtà virtuale

Le prossime sfide che Valve si troverà ad affrontare vedono la compagnia di Gabe Newell avere a che fare con un futuro di cui non sono più assoluti monopolisti. Se Epic Games Store continua a crescere e si raffina a livello di interfaccia e servizi, Valve avrà contro di sé per la prima volta dalla nascita di Steam, un vero e proprio concorrente che può vantare grandissimi fondi per portare avanti un discorso fatto di continui miglioramenti.

Dove ci sono grandissimi miglioramenti c’è concorrenza spietata e, dalla concorrenza spietata, solitamente quelli ad avere i migliori vantaggi sono i consumatori aka noi.

This post was published on 28 Novembre 2019 16:16

Graziano Salini

Perennemente alla ricerca di legami tra argomenti distanti tra loro, con una certa predilezione per musica e videogiochi. Faccio il possibile per fare in modo che ci siano meno errori di concetto possibili sugli articoli di Player.it, grande fan degli errori grammaticali invece, quelli fanno sempre ridere. Quando non sto amministrando questo sito lavoro mi occupo di spiegare cose difficili in maniere semplici su altri siti, su tematiche molto meno allegre dei videogiochi.

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