Forse complice l’annuncio di Half Life: Alyx (qui il nostro approfondimento), la tecnologia VR sembra essersi imposta con forza all’interno del dibattito fra produttori e sviluppatori in questa in questa settimana di fine novembre. L’arrivo della prossima generazione scalda gli animi, e tutti i big si sfidano alla ricerca di una posizione di forza. Ieri è stato il turno di Phill Spencer, che ha sottolineato un secco “no” a una strategia Xbox incentrata sulla realtà virtuale, al quale sono seguite reazioni dalle altre parti in campo. Perché questa mossa? Spencer è impazzito? Ci ha visto giusto? O forse, semplicemente, è segno di una maturazione del mercato?
Il responsabile del comparto console del gigante californiano ha detto senza mezzi termini che il VR non può essere considerato un tassello fondamentale della next gen Xbox, e la motivazione è stata chiara.
Spencer ha fatto riferimento a tre paroline sempre molto apprezzate dalle fan-base in questi ultimi anni: ascolto-della-base.
Il costante monitoraggio delle richieste degli utenti avrebbe infatti evidenziato come la clientela media di Xbox non si sarebbe detta troppo interessata a un pesante implemento della tecnologia sulla nuova console. Per Spencer infatti la realtà virtuale sarebbe considerata come qualcosa di secondario, se non addirittura di non vantaggioso in quanto “isolante” e, per questo, lontano dal poter diventare il fulcro dell’esperienza di gioco.
In parole povere, per Spencer i giocatori non sarebbero attratti dal vr, e una sua rincorsa da parte di Microsoft sarebbe un vero e proprio spreco di tempo.
Duretto mr. Spencer, eh? Insomma, si tratta di un bel posizionamento en tranchant non solo perché taglia fuori Microsoft dal confronto sul vr (un confronto nascente che, siamo certi, si scalderà nei prossimi mesi) attraverso parole sprezzanti e vagamente ironiche, ma soprattutto perché lascia presagire come Xbox tenterà di gettare lo sguardo su altri campi, magari meno affollati. Le parole di Spencer, d’altro canto, non sono rimaste inascoltate né ignorate.
Passate solo poche ore dall’intervista, dal Sol Levante è arrivato un tweet dal sapore a dir poco velenoso. L’autore è Shuhei Yoshida, a capo di SIE Worldwide Studios, network di sviluppatori di videogiochi per le console Sony. Il contenuto? Riprendendo le dichiarazioni di Spencer, l’imprenditore giapponese ha “semplicemente” affermato come Sony agisca per realizzare “ciò che nessun cliente richiede”, di fatto confermando una strategia di Sony incentrata sul VR. Ricordiamo a tal proposito che i suoi piani in questo settore non si limitano certo al lancio di PlayStation 5, anzi: già in queste settimane prenatalizie il colosso nipponico non ha esitato a mostrare i muscoli con una serie di spot a tema per promuovere il suo PlayStation VR, il visore virtuale uscito nel 2016 per PlayStation 4. A quanto pare qualcuno, sull’altra sponda del Pacifico, non aspettasse altro che un posizionamento opposto al suo da padre del rivale storico…
L’impressione, in questa fine 2019, è che la guerra fra i giganti assuma sempre più le proporzioni di una guerra fredda, e soprattutto di una guerra di nervi.
Al di là dei giudizi personali su una tecnologia che forse non ha ancora avuto modo di mostrare pienamente le proprie potenzialità su schermo, l’impressione è che essa sia un tassello fondamentale di quella che sarà di sicuro una guerra senza esclusione di colpi. Da qui, una considerazione generale.
La prossima console war sarà piena di sorprese, grazie alla vastità di diverse applicazioni e opzioni tecnologiche che ognuno degli attori potrebbe mettere in campo. Il risultato potrebbe essere quello di schieramenti che scelgono di declinare in maniera molto diversa la propria offerta, chi portando avanti un’idea di gaming molto tradizionale (Microsoft), chi sfidando la sorte e spendendo milioni nel settore innovazione (Sony). Certo si tratterà di un duello fatto di frecciatine, prese in giro e spettacoli a volte poco edificanti. Forse, però, i benefici potrebbero essere vari e imprevedibili.
Se infatti le parti in campo sapranno differenziare a sufficienza la loro offerta per intercettare pubblici diversi e coltivare diversi “tipi di giocatori”, i timori di una eccessiva standardizzazione fra piattaforme potrebbero essere infatti scongiurati. Il risultato potrebbe essere uno scenario di prodotti, titoli e esperienze videoludiche ancor più vario di quello che abbiamo oggi. Uno scenario che permetta all’acquirente di orientare i suoi acquisti avendo davvero un’idea chiara di quali tipi di giochi e di esperienze vi troverà, e non solo per la grafica migliore.
This post was published on 27 Novembre 2019 12:49
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