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Storie belle: giocatori non udenti insegnano la lingua dei segni con VRChat

Se vista con occhio critico, VRChat è senza dubbio una delle piattaforme digitali più originali fra quelle pensate per il social gaming. Simile a Second Life nell’idea (creare un mondo alternativo nel quale i giocatori si incontrano e vivono un’esperienza comune), ha però il vantaggio di maggior profondità coinvolgimento grazie all’uso dei supporti per la realtà virtuale. Forse per questo non sorprende così tanto il meraviglioso uso che una community di giocatori non udenti ha voluto farne: insegnare ad altri la lingua dei segni, la loro lingua, il loro principale mezzo espressivo.

Benvenuti in “Helping Hands”!

Nata nel 2018 e cresciuta nel giro dell’ultimo anno, Helping Hands (questo il nome della community) è un’idea dell’utente Papa Thelius, inzialmente concepita come spazio di connessione e alla socializzazione fra giocatori non udenti e poi divenuta un luogo virtuale deputato alla “sensibilizzazione”. Una mission particolarmente azzeccata per un videogioco che fa del suo core la possibilità di esprimersi anche attraverso il proprio corpo.

L’atmosfera di Helping Hands è quella di un gruppo di persone che vuole condividere la propria esperienza di diversamente abili nel modo più immediato e inclusivo possibile anche a persone non affette dalla loro problematica, esattamente come avviene nei corsi di LIS “in carne e ossa”.

Per far ciò che questo accada, ogni elemento della comunicazione fra gli utenti è sotto forma di segno, a cominciare dal proprio nome utente. Inoltre, a rendere ancor più “didattico” l’ambiente interviene infine una sorta di tavola riassuntiva attraverso la quale i giocatori possono imparare i diversi segni, in modo da far sì che nessun partecipante non abbiano problemi di comprensione.

Bello, vero?

Una lezione di LIS in VR Chat!

Realtà virtuale (nel vero senso della parola)

Viste le sue caratteristiche fondamentali (tanto “semplici” quanto peculiari), il progetto di Papa Thelius e del suo gruppo non poteva trovare un habitat più adatto di VRChat.

Quello delle comunità virtuali e delle “seconde realtà” non è certo un fenomeno innovativo. In fondo quello di Helping Hands è soltanto uno fra gli ultimi esperimenti di socializzazione digitale che i vari eredi dello storico Second Life hanno fatto nascere. Tuttavia, l’applicazione dei visori e degli altri supporti in contesti del genere rende la questione molto più stuzzincante, non tanto per questo uso particolare, quanto per l’applicazione generale.

Da un certo punto di vista, allo stato attuale i giocatori sono portati a vedere nel VR una modalità di gioco secondaria e tendenzialmente di nicchia che fa l’occhiolino all’utenza attraverso degli “effetti speciali” (anche se forse qualcosa sta cambiando, come dimostrato da questa notizia). Casi come questi dimostrano tuttavia le sue reali potenzialità.

Da una parte siamo semplicemente contenti che esistano giocatori con la volontà di utilizzare la dimensione ludica in questo modo, dall’altra ci rendiamo conto di quanto fenomeni come questo rendano vicina alla realtà un “realtà virtuale” come lo avevano immaginato i padri della fantascienza anni ’70 e ’80: uno spazio alternativo nel quale le persone si incontrano, parlano, si scambiano esperienze.

E ciò crea vere e proprie questioni sociologiche.

Schiaffo in faccia ai luoghi comuni

Quello che abbiamo davanti è quindi certamente un uso eccezionale del gioco digitale (anche se per il tipo di prodotto la dicitura “gioco” può essere fuorviante o andare stretta) e a un vero e proprio atto di umanità da parte di una cerchia di giocatori.

Realtà che si sono fatte carico di portare avanti “pratiche sociali” talmente interessanti e positive da lasciar sperare che esse non rimangano casi isolati. La speranza infatti è ch in futuro siano addirittura utilizzate in maniera più strutturata da istituzioni o enti per lavorare in alcuni ambiti di intervento sociale. Prendiamo il caso di Helping Hands. Perché un’associazione dedita all’inserimento dei non udenti nella società non dovrebbe utilizzare simili contesti per far conoscere questioni difficili da affrontare fra i più giovani?

Fra i tanti meriti del videogioco, e soprattutto del multiplayer, c’è il fatto di essere trasversale, ampiamente diffuso, capace di funzionare come vero mass media e oltretutto di lavorare sul coinvolgimento. Può abbattere barriere, può lavorare sui ragazzi e diventare fonte di confronto, soprattutto in contesti basati sulle community.

Non sappiamo se esempi come quello di Helping Hands siano i luoghi giusti nei quali ricominciare a parlare di valori positivi fra i giovani (anche perché il confine fra sensibilizzazione e indottrinamento è spesso labile e per questo pericoloso). Forse, però, vale la pena far notare alle istituzioni che anche lì ci sono cittadini, e che non sono tutti nerdoni rimbambiti col joystick in mano.

Per avere un esempio pratico a dimostrazione del grande lavoro di questi ragazzi vi rimandiamo al video di Syrmor

>>Leggi anche Il tappeto vibrante di Microsoft, il VR del futuro trasforma il tuo salotto in una sala giochi<<

This post was published on 20 Novembre 2019 13:20

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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