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I generi videoludici che hanno caratterizzato gli anni 2010 – 2019

Cosa è successo durante il decennio 2010-2020?
Minecraft ha fatto in tempo a morire per poi rinascere nuovamente, una modalità riempitiva di un titolo è finita per diventare una macchina da soldi, Kingdom Hearts 3 è uscito, Bioware ha fatto in tempo a combinare un sacco di pasticci ed abbiamo visto giochi indipendenti spezzare i nostri dolci cuoricini con una manciata di pixel ed un sacco di frasi ad effetto. Durante tutto ciò Playstation 3 e Xbox 360 hanno lasciato spazio alle Playstation 4 e Xbox One mentre Nintendo ha rimediato agli errori della sua Wii U consegnando al mondo la prima console per metà portatile e per metà casalinga, sua maesta Nintendo Switch.

Nel frattempo su computer abbiamo visto, grazie alla potenza di calcolo in più, la nascita di un intero nuovo modo di intendere il gaming: la realtà virtuale. Numerose aziende si sono sfidate tirando fuori visori sempre di maggiore qualità, con tanto di Valve (in ritardo netto sulla concorrenza) aggiungersi al mercato con un prodotto ad hoc, il tutto lasciando orfani i giocatori di videogiochi arrivati al terzo capitolo.

Tale decennio insomma è pieno di cose per cui farsi ricordare: tra queste, durante quest’articolo, citeremo nello specifico tutti quei generi videoludici che, durante gli anni passati, sono arrivati sulle luci della ribalta accalappiando proseliti un po’ dovunque.

Vediamo insieme cosa è successo di divertente durante quest’ultima decina di anni nel mondo dei videogiochi.

I soulslike.

Il genere forse più importante all’interno del mercato dei tripla A è stato sicuramente quello dei Soulslike capitanato dalle produzioni di From Software e poi declinato secondo mille formule diverse da software house sparse per tutto il mondo. L’origine del soulslike è, a dir la verità, antecedente all’inizio del decennio e vede in Demon’s Souls (esclusiva Playstation 3 del 2009) il primo titolo del genere; il successo e la popolarità però sono arrivati con quel masterpiece conosciuto da tutti come Dark Souls, vero e proprio trendsetter per il mondo dei videogiochi.

I soulslike si sono fatti riconoscere in tutto il mondo come action rpg caratterizzati da sistemi di combattimento impostati sulla gestione della stamina e delle risorse curative limitate, con sistemi di combattimento ragionati ove i pattern contano più dei riflessi. In tutto ciò i soulslilke si sono fatti ampiamente riconoscere all’interno del mondo dei videogiochi per un livello di difficoltà più alto di quello della media dell’epoca, cosa che ha generato un curioso tam tam mediatico fatto di nostalgici dei cabinati finalmente in grado di trovare sfida nei giochi odierni.

Seguendo le orme di Dark Souls e Demon Souls tali videogiochi si sono fatti riconoscere nel mondo dell’intratenimento digitale per delle trame sussurrate al giocatore, da scoprire attraverso la deduzione e l’attenzione grazie a worldbuilding di qualità. Il primo titolo della saga, il seminale Demon’s Souls, aveva dalla sua anche un curioso gameplay multiplayer in bilico tra il classico PVP dei picchiaduro e il multiplayer asimettrico poi esploso ultimamente grazie a videogiochi come Death Stranding.

Il genere nel corso della sua storia è stato ibridato con le cose più disparate: From Software stessa, dopo tre action rpg di grande qualità, ha mischiato il genere con una versione molto light del gioco di ruolo dando alla luce Bloodborne (da molti ritenuto uno dei migliori videogiochi della storia) e con gli action game più tecnici, dando invece i natali allo splendido Sekiro: Shadows Die Twice che abbiamo avuto l’onore di recensire quest’anno. Altri studios hanno mischiato il genere con i diablolike (Nioh), con i metroidvania (Hollow Knight, sopratutto per la narrativa) o con i Roguelike (Dark Devotion).

I Battle royale.

Che cos’è un battle royale?
Un battle royale è un action game in prima o terza persona caratterizzato ambientati all’interno di un ambiente chiuso che progressivamente si restringe. Le partite, popolate da cento giocatori divisi in squadre (o in solitudine) vedono un unico vincitore: l’ultimo a rimanere in vita. Per primeggiare sugli altri il giocatore dovrà fare affidamento sulla fortuna e sulle sue abilità esplorative, al fine di recuperare le risorse necessarie al predominio sugli avversari; queste ultime, randomiche, abbassano il livello di sfida e concedono anche al giocatore meno abile il suo momento di gloria.

Se il soulslike è il nuovo genere preferito dai giocatori veterani, quello che sicuramente ha più mosso i portafogli è sicuramente il genere dei Battle Royale.
I videogiochi battle royale, nati da mod di DayZ e Arma 2, sono esplosi durante il 2017 con l’arrivo di PlayerUnknown’s Battleground. L’enorme successo di PUBG ha però trovato un avversario dalla valenza incredibile che, da solo, è riuscito a generare un fenomeno di massa di una portata epocale, pari solo alla venuta dei pokémon nel mondo moderno.

 

Fortnite Battaglia Reale, inizialmente nato come modalità alternativa per il survival game Fortnite Salva Il Mondo, è al giorno d’oggi uno dei videogiochi più redditizi dell’intera industria con centinaia di milioni di giocatori sparsi su tutte le piattaforme possibili ed immaginabili. Il titolo presenta un’innovativa gestione della narrativa e degli aggiornamenti, con un sistema stagionale, che grazie al coraggio di Epic Games ha generato picchi di audience incredibili: è bastato spegnere il gioco con un buco nero per un paio di giorni che far sì che chiunque sulla faccia della terra ne parlasse in un modo o nell’altro.

Il genere comunque possiede numerosi titoli di successo medio che hanno detto la loro: Apex Legends, il battle royale lanciato da Electronic Arts a inizio anno, è uno dei videogiochi con il successo più esplosivo della storia mentre Call Of Duty: Black Ops 4 con la sua modalità Battle Royale ha attentato per qualche mese al predominio di Fortnite per venir poi abbattuto dall’intelligenza e dalle disponibilità economiche pressoché infinite dell’azienda di Tim Sweeney.

Giochi di carte collezionabili digitali.

Un’altro dei generi più remunerativi dal punto di vista monetario nati durante il corso di questo decennio è quello dei giochi di carte collezionabili digitali, capitanati da Heartstone di Blizzard Activision. A partire dal 2014 ogni azienda ha tentato con più o meno successo di imitare l’alchimia messa insieme da Blizzard, fondendo immediatezza con profondità grazie a meccaniche di gioco accattivanti e ad interfacce utente in grado di comunicare rapidamente i segreti del titolo.

Da Gwent: The Witcher Card Game a The Elder Scrolls: Legends, passando per curiosi ibridi come Slay The Spire, il genere di GCCD ha macinato milioni di dollari grazie alla declinazione delle bustine in formato digitale; l’anima di questi titoli rispetto alle versioni cartacee degli stessi vedono la nascita di gameplay molto più basati sui turni che sulle interazioni, il tutto al fine di semplificare leggermente un azione di una profondità altrimenti complessa da gestire.

L’unico a spezzare questa maledizione è stato Magic The Gathering: Arena, la versione digitale di quello che è il più popolare gioco di carte collezionabile della storia. Sviluppato internamente da Wizard Of The Coast, il titolo sta ottenendo numeri e fama tali da quasi fagocitare il suo padre fisico, con gran sorpresa di tutti gli appassionati. Il titolo è integerrimo e mantiene tutta la sua abissale profondità anche all’interno del mondo digitale, regalando migliaia di ore di divertimento.

I giochi Survival.

Minecraft nacque nel 2009 come videogioco prettamente creativo e vide, solo qualche anno dopo, la nascita di una modalità sopravvivenza presa quasi pari pari da DayZ, una già citata mod di Arma II basata sulla sopravvivenza del giocatore all’interno di un mondo ostile.

I videogiochi survival sono videogiochi action multiogiocatore dove il giocatore si deve arrabattare con le risorse che trova per riuscire a sopravvivere in un mondo ostile.
Trovare cibo e acqua sono le basi per poter raggiungere la giornata successiva, avere un rifugio è la necessità primaria a cui dover sostentare se non si vuole passare la notte a fuggire dagli avversari. Trovare materia prima per migliorare la propria condizione instaura nel giocatore una spinta al miglioramento che difficilmente si può arrestare.

Videogiochi come DayZ hanno fondato delle basi poi raffinate da titoli come Rust, Ark: Survival Evolved, The Forest e così via. Nel corso degli anni il genere si è ibridato con i più svariati generi, ottenendo esperimenti in terza persona come quello di Don’t Starve o esperienza single player prive di altri giocatori come in The Long Dark.

I looter shooter.

Come i soulslike, anche i looter shooter vedono la loro origine poco prima dell’arrivo del nuovo decennio quando Gearbox Software rilasciò sul mercato il primissimo capitolo di Borderlands, un ibrido tra action rpg diablolike e sparatutto in prima persona che metteva al centro della formula ludica una quantità spaziale di armi a disposizione. Questo concetto è stato poi reiterato negli anni successivi con successo da altre software house in differenti contesti, il tutto mantenendo un gunplay divertente e interessante dall’inizio alla fine.

Bungie, ad esempio, ha lavorato anni per tirare fuori uno dei videogiochi più costosi della storia: Destiny, un looter shooter fantascientifico che ha fatto divertire milioni di giocatori; Ubisoft con il suo The Division ha tentato di reiterare la formula del looter shooter all’interno di un TPS cover based in un mondo post-apocalittico, anche qui racimolando giocatori e il plauso del pubblico.

La più grande novità che i looter shooter hanno portato all’interno del mondo dei videogiochi però non è da ricercare nel gameplay ma nella quantità di contenuti. Il supporto che le software houses danno a questi titoli allunga enormemente la longevità generando prodotti in grado di durare migliaia di ore con contenuti aggiunti a cadenza semestrale. Cercare di tenere l’attenzione del giocatore sul titolo è il focus principale degli sviluppatori e, pertanto, nel corso degli anni questi videogiochi si sono trasformati in veri e propri time sink con contenuti anche off-genre per cercare di tenere chi di dovere incollato al pad.

I simulatori di camminata (o walking simulator)

I simulatori di camminata sono forse il genere videoludico più bistrattato tra quelli apparsi durante il decennio che si sta avviando alla conclusione. Guardato dagli hardcore gamer con disprezzo, in realtà il genere dei walking simulator è forse quello che più ha dato al mondo dei videogiochi dal punto prettamente artistico grazie a titoli in grado di stupire il giocatore attraverso una potente commistione di narrativa e tecnica. Il genere dei Walking Simulator è particolarmente apprezzato dagli studi indipendenti grazie alla limitate risorse tecniche necessarie per la realizzazione di un tale titolo, abbassando di molto la barriera in entrata nel mondo dello sviluppo dei videogiochi.

Il genere ha visto in Dear Esther e The Stanley Parable le sue prime due iterazioni all’interno le primo decennio degli anni duemila. A partire dalla release commerciale di Dear Esther durante il corso del 2012 il mondo dei videogiochi si è andato riempiendo di epigoni più o meno interessanti, con videogiochi in grado di pescare a destra e a manca dalle influenze più disparate. The Witness di Jonathan Blow, ad esempio, mischia il genere con il mondo dei puzzle game ed è uno dei videogiochi più interessanti del decennio mentre Gone Home cerca di guardare al nostro passato prossimo alla ricerca di un atmosfera impareggiabile con cui armeggiare.

Nel mondo dei tripla A i walking simulator sono stati poco razziati per idee ludiche: l’unico caso famoso di videogioco ad alto budget ispirato al genere è il recente Death Stranding, definito da molti un simulatore di consegne e passeggiate, che non nasconde determinate sue ispirazioni per tali idee ludiche.

I clicker games.

Sicuramente tra tutti i generi sopracitati, questo di cui andiamo a parlare ora è il meno popolare ed il più bistrattato perché lontanissimo dal concetto di gameplay che comunemente si intende. Il clicker game concentra tutto il suo gameplay in un processo di min-maxing che parte da un semplice click del mouse: clicckando con il mouse si potranno ottenere risorse da investire in potenziamnenti per il successivo click, in grado di generare ancora più risorse.

Il genere, cominciato con il prototipo di Cookie Clicker sviluppato da Orteil ad Agosto 2013, ha pian piano appassionato centinaia di migliaia di giocatori in giro per il mondo grazie alla sua semplicità e al grado di relax che esse genera. Il gioco cerca di far presa sulla naturale ricerca dell’ottimizzazione che il cervello umano sembra prediligere, mettendo il giocatore a contatto con montagne di statistiche al fine di raggiungere un giardino zen fatto di pochi click.

Questi videogiochi richiedono pochissima interazione da parte del giocatore e hanno i progressi nascosti dietro ore ed ore di attesa, motivo per cui si sono guadagnati l’appellativo di Idle Gamer. Anche questo genere nel corso della sua corsa nel mondo dei videogiochi si è ibridato con le più disparate forme di divertimento: Vostok Inc, ad esempio, è un ibrido tra uno shmup open world ed un clicker game mentre Idle Champions Of The Forgotten Realms prende il gameplay di Coockie Clicker e lo mischia con il fantasy di Dungeon And Dragons.

Gli auto battlers.

Passiamo ora all’ultima grande aggiunta, specie dal punto di vista prettamente cronologico: il genere degli auto battlers games. Questo genere videoludico, venuto fuori attraverso una modalità custom di Dota 2, ha in realtà origini lontanissime: c’era una volta a Pokémon Defense, una mod di Warcraft 3: Reign Of Chaos che sostanzialmente proponeva un primissimo prototipo di un gameplay estremamente riflessivo in cui differenti giocatori si sfidano su di un terreno di gioco posizionando pezzi dal diverso comportamento, in modo non troppo dissimile dagli scacchi.

Questo gameplay, già di per sé molto profondo, è stato poi potenziato a dismisura nelle varie iterazioni del genere. Da Dota 2 Auto Chess siamo passati a Chess Rush, videogioco mobile sviluppato dagli stessi di D2AC per conto di Tencent. Valve stessa ha proposto la sua versione del gameplay auto battler con l’arrivo di Dota 2 Underlords, spin off del moba che approfondisce ancor di più la formula proponendo meccaniche legate ai leader e alla scelta degli oggetti.

Ovviamente Riot non è rimasta a guardare ed ha tirato fuori abbastanza rapidamente la sua versione dell’auto battler: Teamfight Tactics ha ottenuto subito un successo imponente, risultando il titolo più popolare tra quelli del suo genere su Twitch; come se non bastasse anche Blizzard ha tirato fuori dal cilindro una modalità auto battler per il suo Heartsone, aggiungendosi di fatto al genere con una versione semplificata del gameplay fatto di sinergie, pedine e rotazioni.

Qual è il genere da voi lettori preferito tra questi citati?
Ce ne siamo dimenticati qualcuno? Fatecelo sapere nei commenti!

This post was published on 9 Novembre 2019 17:19

Graziano Salini

Perennemente alla ricerca di legami tra argomenti distanti tra loro, con una certa predilezione per musica e videogiochi. Faccio il possibile per fare in modo che ci siano meno errori di concetto possibili sugli articoli di Player.it, grande fan degli errori grammaticali invece, quelli fanno sempre ridere. Quando non sto amministrando questo sito lavoro mi occupo di spiegare cose difficili in maniere semplici su altri siti, su tematiche molto meno allegre dei videogiochi.

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