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Modern Warfare e Autostrada della morte: ma quale revisionismo storico?

Levata di scudi e indignazione popolare per la missione Autostrada della morte presente nella bellissima campagna single player di Call of Duty: Modern Warfare (qui la nostra recensione), provocate però non dall’eccessiva violenza (e ci mancherebbe pure), ma dal fantomatico revisionismo storico che quella porzione di gioco avrebbe fatto su un fatto realmente accaduto.

Durante la Guerra del Golfo, la superstrada che porta da Kuwait City a Bassora, in Iraq, fu bombardata dagli americani, morirono anche tantissimi civili, fu sparso così tanto sangue innocente da far assumere a quel tratto il soprannome di Autostrada della morte. Se volete saperne di più, vi basterà andare su Wikipedia o dove preferiate, il nostro non è un sito di storia e non siamo qui per tenere una lezione.

Anzi, una lezioncina servirebbe, ma non di storia contemporanea, bensì di buonsenso. La missione di Modern Warfare è stata tacciata di aver fatto revisionismo storico filo-americano, di aver manipolato la storia per fini narrativi e, chissà, anche politici, addebitando quella strage ai russi… ma è proprio così?

In realtà, sarebbe bastato giocare con attenzione la modalità single player, e in particolare la missione incriminata, ascoltando bene il briefing e i dialoghi dei personaggi, sarebbe bastato guardarsi intorno e cercare di capire in che contesto muoviamo i nostri passi durante quella parte di campagna, per rendersi conto che il revisionismo storico, molti, ce l’hanno nel cervello.

Non viene effettuata alcun tipo di alterazione della realtà dei fatti e questo non lo stiamo dicendo noi, ma il narrative director del gioco, Taylor Kurosaki, che forse, e sottolineiamo forse, conosce meglio di chiunque altro le dinamiche di Modern Warfare e il suo plot. Kurosaki ha rilasciato un’intervista a Gamespot in cui spiega ciò che molti non hanno colto giocando alla missione Autostrada della morte (nonostante non fosse difficilissimo).

Farah e suo fratello si preparano alla battaglia che metterà a ferro e fuoco l’Autostrada della morte… di nuovo. Perché l’attacco mostrato nel gioco non ha nulla a che fare con quello americano svoltosi durante la Guerra del Golfo, siamo su una timeline diversa.

Kurosaki: “La missione è successiva all’attacco americano”

Il regista narrativo di Modern Warfare afferma che l’autostrada era già stata citata con quel nome prima che la missione si svolgesse lì, suggerendo che il gioco non stava riscrivendo l’evento, ma solo attingendo da esso.

Vi incoraggio a tornare indietro e giocare dall’inizio la missione, durante la quale riceverete il briefing della suddetta. Farah parla di questo luogo come Autostrada della Morte prima che la missione abbia luogo. Quindi il nome Autostrada della Morte non è ciò che è scaturito da quella missione. Lo era già. E poi se guardate lo storytelling ambientale, ci sono già veicoli bombardati e tutti i tipi di cose che si riferiscono a episodi precedenti.

Più chiaro di così, si muore. La missione Autostrada della morte si pone su un’altra timeline rispetto ai fatti reali, l’attacco dei russi che affronteremo giocandoci è successivo a quello americano e non influenza, quindi, il nome di quell’evento, il quale è già avvenuto e ha già portato i locali a denominare il tratto di superstrada con quel terribile epiteto.

Kurosaki continua poi dicendo che non c’è alcuna intenzione di bollare nessuno come buono o cattivo.

Il motivo per cui l’Urzikstan è un paese immaginario è perché stiamo trattando temi che si sono ripetuti negli ultimi 50 anni in paesi e località in tutto il mondo. Non stiamo facendo assimilazione di un particolare paese o di un conflitto particolare. Questi sono temi che si ripetono più e più volte, nel nostro gioco non descriviamo nessuna parte come buona o cattiva.

Farah è molto arrabbiata e fa bene. La disinformazione dilaga anche nel mondo dei videogiochi e ha trasformato una missione di Modern Warfare in una meschina opera di revisionismo storico, di manipolazione della realtà storica. Il videogioco di Infinity Ward non ha mai voluto prefiggersi questi obiettivi.

Quando a straparlare sono le testate

Ora veniamo al vero punto della questione: finché sono i giocatori senza alcun tipo di dovere divulgativo o di creazione di contenuti (giornalisti, youtuber, etc.) a straparlare e condividere idee di revisionismo storico, il problema tutto sommato non si pone, non fanno danno alcuno. Il disastro avviene quando sono le testate regolarmente registrate a pubblicare articoli che insinuano la presenza di chissà quale disegno politico dietro a una missione di un videogioco che, meglio farlo presente, qualcuno non se ne sarà accorto, tratta la tematica della guerra. Una tematica molto delicata se si vuole affrontate in modo non convenzionale, come ha fatto magistralmente Spec Ops: The Line.

Modern Warfare non arriva a quelle vette, ma si difende benissimo ed è davvero triste che debba difendersi anche dal giornalismo che non si informa. Lo ripetiamo con ancora più convinzione: sarebbe bastato guardare l’ambientazione PRIMA della missione, sarebbe bastato ascoltare le parole di Farah, uno dei personaggi più importanti del titolo, PRIMA della missione, sarebbe bastato chiedersi il perché di quel nome se i russi non hanno ancora attaccato, sarebbe bastato averci giocato.

Siamo sicuri che giocare ai videogiochi per una testata giornalistica videoludica non sia diventato un optional?

This post was published on 1 Novembre 2019 10:01

Michele Longobardi

Laureato in Lettere moderne, scopro la passione per il giornalismo quasi per caso. I videogiochi sono il mio più grande amore e così decido di coniugare le due cose. Il giornalismo videoludico diventa la mia forma finale. Per me i videogiochi sono una forma d'arte e guai a dirmi il contrario. Appassionato di tutto ciò da cui sgorga sangue: cinema horror (registi preferiti Argento e Romero), letteratura gialla e dell'orrore (autori preferiti Christie, Poe e Lovecraft) e ovviamente i videogiochi del genere (Silent Hill e Resident Evil sopra ogni cosa). Il mio videogioco preferito di sempre è Fahrenheit che ho finito un numero non precisato di volte, da lì scaturisce la mia ammirazione per tutti i lavori di David Cage. La mia "carriera" videoludica è segnata da un marchio da cui non sono mai riuscito a staccarmi: PlayStation! In circa 20 anni di gaming, ho completato più di 800 titoli.

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