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Come fa un videogioco a durare venti anni? Il tentativo di Dreams

Quale tipologia di prodotti d’intrattenimento riesce a durare maggiormente nel tempo dando al proprietario un miglior rapporto “qualità prezzo”?
I videogiochi, solitamente più riutilizzabili anche nel breve periodo di un film, un album o buon libro, arrivano a durare decine e decine di ore ed in certi casi riescono anche ad arrivare al centinaio. Ci sono differenti esperienze multigiocatori in grado di protrarsi avanti per migliaia di ore, attaccando il giocatore allo schermo grazie a misture certosine di complessità di gameplay e aggiornamenti costanti.

World Of Warcraft, ad esempio, è il più importante MMORPG sulla piazza ed ha sul gruppone qualcosa come quindici anni d’età, sparsi in diverse espansioni; League Of Legends, il più popolare tra i moba in circolazione, ha invece ha solo otto anni d’età dalla sua mentre c’è gente che ancora gioca a Ultima Online in via non del tutto ufficiosa a ventidue anni dalla sua release.

Ecco, UO è un esempio di videogioco che è più o meno ha superato il ventesimo anno d’età; quanti altri ne possiamo citare all’interno di un articolo?
Qualche MMORPG vecchio come il cucco o qualche gloria eterna del videogioco come Tetris e/o Street Fighter 2?
Come fa uno sviluppatore a tirare fuori un prodotto che finirà per durare venti anni?
Esiste una formula che può portare ad un risultato simile con una certa costanza?

Ovviamente queste son tutte domande senza risposta ma, se guardiamo allo stormo di rinvii che abbiamo visto annunciare durante il corso della scorsa settimana, possiamo tirare fuori qualche elucubrazione in merito senza doverci obbligatoriamente fasciare la testa.
Creare contenuti troppo rapidamente porterà il giocatore ad allontanarsi mentre non supportare il titolo in modo adeguato lo farà scappare ugualmente.

Che succede se invece a creare i contenuti sono i giocatori? È forse questa una tattica utilizzabile per prolungare la permanenza del giocatore all’interno del titolo?
Nel corso di un intervista fatta a Kareem Ettourney, co-founder e art director di Media Molecule, sono venute fuori una serie di informazioni e dichiarazioni molto interessanti riguardanti la strategia della software house per dare a Dreams un respiro di vita in grado di arrivare ai venti anni, sfruttando un’idea piuttosto curiosa.

Dreams ed il diritto di pubblicare dovunque.

I piani per Dreams di Media Molecule parlano chiaro: il giocatore avrà la possibilità di rilasciare commercialmente le sue creazioni su qualsiasi tipo di piattaforma, non limitandosi alla Playstation 4 nonostante il titolo sia esclusiva.

Si, perché se non lo sapevate, Dreams non è altro che il nuovo titolo dei creatore di Little Big Planet già da noi trattato in una succosa anteprima. Esattamente come in Little Big Planet, all’interno del titolo grande attenzione è risposta nei confronti dell’ atto creativo con imponenti editor che lasciano al proprietario del joypad una libertà quasi assoluta; tutto ciò però presenta un’ importantissimo twist che esula dal discorso prettamente ludico.

I videogiochi che girano attraverso il motore di Dreams possono essere esportati su altre piattaforme, altre console e altri mondi; a differenza di LBP il nuovo titolo di Media Molecule è stato pensato come un qualcosa in grado di espandersi all’infuori dell’ecosistema pensato da Sony.

L’intervista a Kareem Ettourney infatti recita più o meno così:

“La risposta è si, vogliamo che le persone sognino in grande con i loro progetti. Stiamo lavorando per far sì che qualsiasi cosa venga prodotta attraverso l’uso di Dreams diventì legalmente utilizzabile all’infuori dello stesso. Al momento all’interno del nostro progetto abbiamo features per l’esportazione limitate, possiamo giusto tirare fuori dei video e poche cose simili ma abbiamo dei piani. Vogliamo fare in modo che nel futuro venga data al giocatore la possibilità di rilasciare dei giochi interi realizzati attraverso Dreams, qualcosa che possa andare a finire su altre piattaforme e altri mondi.

Il primo passo per poter arrivare in un simile mondo è quello di lasciare al giocatore tutti i diritti necessari per la creazione di una proprietà intellettuale. Abbiamo già rilasciato numerosi permessi e autorizzazioni a svariati membri della community del nostro titolo perché siamo stati inondati di richieste d’utilizzo per portfoli e showreels; la gente sta usando Dreams per dei lavori di graphic design, per realizzare copertine di album e così via.”

Diventare lo youtube dei videogiochi.

Durante le prime battute della conferenza in cui è stata realizzata l’intervista, il co-founder di Media Molecule si è fatto uscire fuori una dichiarazione che lascia ben intendere il respiro del progetto: Dreams, nella più rosea delle sue aspettative, sarebbe finito per diventare lo youtube dei videogiochi, un flusso ininterrotto di intrattenimento. Ad ogni nuovo accesso il fruitore si sarebbe trovato davanti una nuova serie di videogiochi da provare, nuovi materiali con cui sperimentare con tanto di algoritmo che finisce per consigliare in base ai gusti dell’utente, le creazioni più interessanti.

Questo obbiettivo è stato raggiunto anche grazie all’esperienza accumulata dalla software house con il suo precedente progetto. Gli strumenti di Little Big Planet erano tutto sommato limitati ma hanno comunque permesso a differenti giocatori di entrare nel mondo del game design in modo meno drastico, facendoli arrivare in ogni caso ad ottenere un lavoro. Molti dei membri di Media Molecule vengono direttamente dalla community di LBP secondo le parole del suo co-fondatore.

Le limitazioni dell’editor di Little Big Planet sono state le linee da superare per rendere Dream un prodotto attuale ed in grado di affrontare la modernità. Un esempio simile è stato portato avanti da videogiochi come Fortnite e Dota 2 che si reggono anche sulle modalità custom realizzabili dagli utenti, un qualcosa che fidelizza in modo importante la community e che hanno generato anche idee di gameplay esportate poi in prodotti di notevole successo (come vedremo dopo).

L’attualità nel game design è, almeno secondo Media Molecule, la possibilità per i giocatori di tirare fuori una quantità infinita di divertimento da un ambiente sandbox. Per cercare di evitare la cockpit syndrome gli sviluppatori hanno cercato di mettere insieme un’interfaccia che non ostracizza il giocatore dalò suo utilizzo ma che incentivi la sperimentazione; per fare questo Dreams guarda indietro, agli anni ottanta. Per il co-founder dell’azienda era necessario dare all’utilizzare un feedback immediato e non riempire il tutto con bottoni, widgets o sliders; gli strumenti di Dreams sono basati sui numeri e sul trial and error e sono stati razionalizzati con in mente la versatilità e la potenza dei motori più blasonati.

L’interfaccia di Drems è ispirata alla penna e al pianoforte, due degli strumenti più potenti e semplici  tra quelli comunemente a disposizione dell’umanità durante la vita quotidiana. Questi due strumenti sono sensibili e autoeducano il suo utilizzatore sin dal primo impatto: la penna può fare linee di differente spessore a seconda della presa, esattamente come il pianoforte può generare suoni di differente intensità in base alla pressione dei tasti; riportare questa tipologia di pensiero su di un editor videoludico è stato un compito di grande difficoltà.

A venire in aiuto della compagnia sono arrivati tutti i sensori di movimento collegati al Dualshock 4 e sopratutto al tracking tridimensionale per mano singola del Playstation Move, uno strumento non particolarmente popolare all’interno dei videogiochi convienzionali ma che vede in Dreams un utilizzo molto interessante. La combinazione di questi metodi di input rende l’editor del titolo di Media Molecule una meravigliosa per gli occhi e per il tatto, qualcosa che permette al giocatore di creare interi scenari utilizzando giusto qualche minuto del proprio tempo.

Difficoltà ad espandersi.

Il prodotto di Media Molecule è un perfetto entry point per il mondo del game design all’interno della community console più grande del pianeta.
Al momento tutto ciò che è creato all’interno di Dreams è automaticamente legato ad una fruizione completa solamente all’interno dell’universo di Playstation 4.

Per cambiare le cose, almeno come vorrebbe Media Molecule, c’è bisogno di espandersi e di crescere; c’è bisogno di permettere ai creatori di contenuti di pubblicare i propri titoli ovunque, esattamente come youtube ha permesso ai suoi creatori di contenuti di monetizzare il tutto attraverso i programmi di advertising. Per Kareem Ettourney la natura esclusiva di Dreams non è un problema irrisolvibile. Sembra che Sony e la software house abbiano intenzione di portare il tutto su PC e MAC, rendendo il tutto un motore grafico alla pari di Unity o Unreal Engine 4 (con le dovute limitazioni tecniche).

Per fare questo passo quello che sembra servire è del pubblico extra; Dreams per potersi espandere e abbracciare l’intero mondo videoludico ha bisogno di colpire più duramente il mercato raggiungendo un maggior numero di persone. Questo permetterà alla software house di muoversi verso un espansione totalizzante, portando le possibilità creative del tool dove necessario e migliorando ciò che c’è da migliorare, il tutto per far durare l’avventura di MM venti lunghissimi anni, un utopia pura se andiamo a pescare quella che è l’attualità del medium.

“La maggioranza del business Playstation si basa su videogiochi che hypano il pubblico, escono, colpiscono il mercato e nel giro di una prima settimana fanno la maggioranza dei ricavi. Se un gioco è di grandi proporzioni può sopravvivere per due o tre generazioni con i rispettivi sequel e stop, la magia finirebbe lì. Non è quello che vogliamo con il nostro Dreams, noi vogliamo raggiungere un pubblico e crescere, in modo da poter dare la possiblità a chiunque di creare delle versioni pro dei propri “sogni”. Ovviamente dobbiamo considerare un sacco di fattori per raggiungere ciò.”

Di autochess e altri successi.

Qualche riga sopra abbiamo citato esempi di videogiochi che sono riusciti ad ottenere un grande successo grazie anche alla presenza di modalità custom realizzabili attraverso degli editor interni: videogiochi come Dota 2, Minecraft, Fortnite o League Of Legends. Queste modalità custom sono figlie degli editor di livelli presenti all’interno dei titoli madre, robe come l’editor di Warcraft 3 o di Doom (di cui abbiamo parlato all’interno di una articolo) e ad oggi hanno un valore tutto nuovo, legato alla diversa fruizione del videogioco.

La natura completamente open-ended di Minecraft fa si che il prodotto di Mojang esuli dal discorso ma videogiochi come Fortnite devono il loro successo anche alla presenza dei custom games. Essi fungono da tutorial, da modalità alternativa, da possibilità per i content creator e fanno risparmiare in modo intelligente il tempo agli sviluppatori che monetizzano in ogni caso. Alle volte queste modalità possono venir collegate ad account patreon o simili per permettere agli sviluppatori di ottenere un qualche riscontro monetario dal proprio lavoro, come nel caso di molte delle modalità Custom di Dota 2 che associano contenuti speciali agli abbonamenti.

Sempre Dota 2 è stato l’utero per forse l’esempio più esaltante degli ultimi anni in ambito di Custom Games: Dota AutoChess è una modalità custom realizzata da un gruppo di sviluppatori cinesi che mischia il mondo degli scacchi a quello dei moba per un gameplay innovativo ed estremamente divertente, in grado di arrivare a capitalizzare un terzo della playerbase totale del titolo.
Prima delle standalone release da parte di Riot, Tencent e Valve di, rispettivamente, Teamfight Tactics, AutoChess e Dota Underlords, il titolo si prendeva fino a trecentomila giocatori, una bella fetta del milioncino che attivamente invece veniva segnalata da Steam come in partita su Dota 2.

Tale modalità, animata da un sistema di microtransazioni completamente avulso dalle modifiche di gameplay e invece legato al mondo delle customizzazioni estetiche, è riuscito a racimolare cifre estremamente importanti nonostante tutti i crismi del caso dovuti alla presenza di percentuali ritirate da Valve stessa. Lo youtuber Polhka fece mesi fa un’interessante video sulla questione.

Con tutti questi dati in mano la proposta di Media Molecule e Dreams risulta sicuramente molto meno strampalata del previsto: fare successo attraverso la realizzazione di games within games è plausibile ed ha una case history con numerosi successi. Gli scogli da oltrepassare sono quelli dell’esclusività del titolo e della natura non aperta dell’ecosistema su cui ancora viaggia ma, a quanto pare, anche questo può essere risolvibile con una community in grado di interpretare il ruolo della massa critica.

Mentre aspettiamo quel momento andate a dare un’occhiata all’anteprima del titolo che è stata realizzata dal nostro Amerigo o al video che riporta sette interessanti contenuti realizzati con Dreams.

This post was published on 28 Ottobre 2019 20:52

Graziano Salini

Perennemente alla ricerca di legami tra argomenti distanti tra loro, con una certa predilezione per musica e videogiochi. Faccio il possibile per fare in modo che ci siano meno errori di concetto possibili sugli articoli di Player.it, grande fan degli errori grammaticali invece, quelli fanno sempre ridere. Quando non sto amministrando questo sito lavoro mi occupo di spiegare cose difficili in maniere semplici su altri siti, su tematiche molto meno allegre dei videogiochi.

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