“Diario di Rorschach, 22 ottobre 2019.
Gran soddisfazione la nuova serie tv HBO. Buone recensioni dalla critica. Fan in visibilio. Nessun commento stupido o paragone con Game of Thrones. Persino Moore sta zitto e ci lascia godere il nostro secondo rinascimento. Buone stelle su di noi. Tutto va per il verso giusto. Mica come con il videogioco prequel al film del 2009, con protagonisti me e il Gufo. No, quello è meglio dimenticarlo…”.
Presentata per la prima volta al pubblico allo scorso San Diego Comicon, la serie HBO di Watchmen, in onda in questi giorni da una parte e dall’altra dell’Atlantico, sta convincendo abbastanza critica e pubblico rinvivendo la fortuna di quella che è considerata la massima espressione del fumetto occidentale: una miniserie in 12 uscite che nel 1987 rielaborò in maniera definitiva l’immaginario superoistico americano inserendo gli archetipi di quella tradizione narrativa in un contesto crudo e realistico, come solo il nostro mondo sa esserlo.
Un’operazione narrativa meravigliosa, in grado di rifondare il medium, alzare l’asticella della narrativa fantastica e dar vita a un vero e proprio universo di narrazioni (con buona pace dell’autore della sua sceneggiatura, Alan Moore, assolutamente contrario a ogni “commercializzazione” del soggetto). Fra le sue derivazioni, la serie sequel in onda in queste settimane, che porta avanti la storia fino ai giorni nostri e sviluppa la sua ambientazione distopica in un modo spericolato (stiamo parlando di un romanzo grafico considerato Il Nome della Rosa del fumetto contemporaneo) e fumetti spin-off, prequel e sequel usciti negli anni scorsi attirando le critiche dei puristi e, soprattutto, dello stesso Alan Moore.
Prima di tutto questo, però, c’era un film del 2009, nato in piena rinascita del cinecomic (fra i Batman di Nolan e i primi film Marvel), diretto da Zack Snyder (L’Uomo d’Acciaio, 300, Batman v Superman) che trasponeva in maniera praticamente perfetta il romanzo, sia dal punto di vista grafico che dei contenuti. Un’opera spesso considerata come un esperimento riuscito ma comunque manieristico, che purtroppo sconta il facile confronto con la controparte letteraria. Perché c’interessa? Perché, come spesso accade, anche nel caso di Watchmen, il film, e major sfruttarono l’occasione per realizzare una oggi dimenticata trasposizione videoludica.
Uscito a marzo 2009, in conomitanza col film, Watchmen-The end is nigh, era un picchiaduro a scorrimento con una modalità cooperativa in locale che ci vedeva vestire i panni di due dei protagonisti delle opere originali, i mitici Rorschach e Gufo Notturno, e ambientato in un 1977 alternativo (ben dieci anni prima gli eventi dell’opera originale di Moore e Gibbons) nel quale gli eroi in maschera vengono utilizzati dal governo per distruggere i focolai di rivolta popolare e contestazione politica portati dal Vietnam (nota bene: se non avete mai letto Watchmen e dunque al momento seguite il nostro racconto con un po’ di difficoltà smettete di leggere e correte a comprare la graphic novel, ora, immediatamente).
Il plot del gioco era molto watchmenoso: sullo sfondo delle contestazioni politiche, i nostri due (anti)eroi si ritrovavano a dover far luce su un intricato complotto politico, fra omicidi, depistaggi, figure ambigue uscite da un film sullo scandalo Watergate, che portava il giocatore a rendersi conto di avere a che fare con alcuni dei più inquietanti misteri della storia americana.
Una bella prova di sceneggiatura, supportata dalla caratterizzazione dei due personaggi e forte di un background di tutto rispetto, oltre che da alcuni lati di gameplay decisamente ispirati: dallo stile di combattimento dei due personaggi, peculiare e caratterizzato, alla forte ambiguità di fondo nella loro relazione (e ricordiamo che il gioco era affrontabile anche in modalità multiplayer),il tentativo di ricreare l’atmosfera originale era riuscito e affrontato in maniera elegante.
Sulla carta, nelle mani di uno studio abbastanza “tosto” e con spirito innovatore, il primo e sinora unico titolo tratto da Watchmen poteva essere un piccolo gioiellino di storytelling in grado di sfruttare una licenza vincente per realizzare un prodotto interessante. Andando a prendere gli articoli d’epoca, tuttavia, salta all’occhio come il gioco soffrisse della classica sindrome da gioco-spin off di un’opera cinematografica; una grafica non all’altezza, un apparato di gioco non ottimizzato e legato a delle meccaniche definite “superficiali” lo resero purtroppo un gioco non molto apprezzato dalla critica specialistica, che gli imputava una realizzazione approssimativa.
La domanda più semplice che possiamo farci è se non fosse un esito impossibile da evitare, e se non fosse meglio a volte per il videogioco ricordarsi che entrare nei territori delle licenze può essere pericoloso e persino dannoso per i propri progetti, ma ci rendiamo conto di quanto ciò sia un’utopia.
Pensiamo a consolarci con il Watchmen di HBO, usandolo per riscoprire un classico (post)moderno della letteratura fantastica.
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This post was published on 22 Ottobre 2019 12:42
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