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Come Aladdin tornò a volare su Agrabah!

Quando noi giocatori/nerd di vecchia data eravamo piccoli, ingenui e con la voglia matta di goderci i cartoni animati con mamma e papà, l’uscita dei film d’animazione Disney era un momento sacro che si svolgeva in due tempi: l’uscita al cinema in sé, con tutta la magia della sala e delle meravigliose immagini che scorrevano di fronte ai nostri occhi e, magari qualche giorno prima, l’arrivo a casa di un videogioco ispirato al film, che permetteva di vivere le avventure dell’eroe di turno da un altro punto di vista. Giornate spensierate, che sembrano lontanissime e ormai dimenticate, anche a causa del fatto che questi giochi finiscono per perdere attrattiva quando cresciamo come giocatori, avvinti da altri tipi di opere (cosa logica e scontata). E’ quindi con molta meraviglia che accogliamo la notizia di un ritorno imprevisto sul mercato: Aladdin, gioco Disney/Virgin Interactive del 1993, si prepara a (ri)vedere la luce in una versione final cut davvero sfiziosa… e non sarà l’unico gioco di questo tipo!

Tutti sul tappeto volante!

L’edizione di cui ci accingiamo a parlare è stata annunciata come Disney Classic Game: Aladdin, e la sua uscita è prevista per il prossimo 29 ottobre in un’edizione da collezione comprendente anche Il Re Leone, altro titolo storico. La notizia della riedizione di Aladdin è, però, una notizia molto più interessante da un punto di vista videoludico, e vedremo presto il perché.

Sulla carta, nella sua versione 1993, Aladdin era il classico platform a scorrimento su licenza nel quale eravamo chiamati a guidare il protagonista del classico d’animazione in una serie di livelli che seguivano, in una certa misura, gli eventi del film. Come possiamo immaginare si tratterà di un’edizione rimasterizzata, capace di portare il materiale d’origine a nuova vita, anche se gli autori hanno tento a precisare che non si tratterà di un semplice remake. Che vuol dire questo? Semplice: il team ha deciso, in pratica, di “aprire” in vecchio gioco e “riprogrammarlo”, da un lato rimanendo fedeli al materiale e allo stile originale e, d’altro canto, rielaborandolo aggiungendo delle piccole sezioni che non erano presenti nell’originale.

Per esempio, nell’intervista che IGN gli ha rivolto, il senior producer Stephen Frost ha dichiarato che l’esperienza di gioco si arricchirà di piccole chicche come la possibilità di entrare in porte prima inaccessibili, visitando in questo modo stanze del tesoro inedite, ma anche di esplorare le aree già presenti nel gioco originale in modo innovativo, come arrampicandosi su stendini e tetti. In generale, Frost ha lasciato intendere che avremo una maggior libertà di movimento e di interazione, che permetteranno al giocatore di raggiungere punti dei livelli che una volta non erano accessibili.

Tutto interessante, certo, ma la domanda che potrebbe venire a un giocatore/lettore medio non dentro il mondo dei giochi Disney è “Perché farlo”?

La prima versione di Aladdin (1993).

Un gioco importante (a modo suo)

Una prima risposta che potremmo darci, un po’ intellettualoide, è che in effetti questo “piccolo” gioco Disney su licenza riserva in realtà qualche sorpresa in termini di storia del medium.

Sviluppato dalla divisione videoludica dell’etichetta discografica britannica, Disney’s Aladdin è stato il primo gioco di successo svilupato mediante Digicel, una tecnologia capace di scansionare e riprodurre a codice le animazioni disegnate a mano. La cosa, trattandosi di un titolo basato su un film d’animazione, non dovrebbe certo sorprenderci, tuttavia ci immerge all’interno di un’epoca videoludica che ha segnato degli sviluppi tecnologici davvero inediti fino a quel punto. Pur avendo cessato le attività nel 2003, infatti, Virgin Interactive ha rappresentato per molto tempo una compagnia capace di esplorare i confini fra racconto cinematografico di animazione e videogioco e di farlo in un momento in cui l’enterteinment per famiglie diventava diffuso grazie alla prima diffusione massiva dell’home video e dei gadget brandizzati. Un’azione che, a conti fatti, ha aiutato la Disney a realizzare i primi esperimenti di “narrativa transmediale” sui quali basare un’accurata strategia di marketing e massimizzazione dei ricavi.

Insomma, a suo modo Aladdin è stato un gioco fondativo, sia dal punto di vista tecnologico che (in modo quasi consequenziale) commerciale. Ma, oltre che celebrativa, la rielaborazione di Frost e compagnia sembra quasi avere il valore di una piccola riappropriazione su un successo che la storia sembrava aver dimenticato.

Aladdin: the final cut, in uscita fra qualche giorno!

Il valore di un’impresa

Al di là dell’aspetto commerciale (che lo qualificherebbe come un’operazione basata sul fattore nostalgia) e di quello celebrativo (“ehi, abbiamo fatto un gioco entrato nella storia, onoriamolo!”), a colpire è il fatto che il team abbia voluto compiere un’operazione di “coraggiosa rifinitura” del gameplay, sfruttando nuove capacità tecniche in modo da sviluppare aspetti del gioco che all’epoca non potevano essere implementati (impressione data dalle stesse parole di Frost, che parla del progetto come di una sorta di “patch del day one fuori tempo massimo”).

Una prospettiva divertente, che porta a riflettere anche sul valore emozionale, sull’attaccamento e anche sulla voglia di forzare alcune logiche commerciali che sembrano immutabili (come quelle che possono legare un gioco su licenza al film dal quale è tratto, con tutte le conseuenze di strategia commerciale che ne conseguono) per riappropriarsi del proprio lavoro e, quasi, a “ultimarlo”.

Cosa ne ricaviamo noi? Semplice: un gioco col quale siamo cresciuti, ma migliore di come ce lo ricordavamo.

>>Leggi anche: BioWare conferma: ci sarà un nuovo Mass Effect<<

 

This post was published on 18 Ottobre 2019 16:05

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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