Diciamocelo in faccia: uno dei motivi che spesso può portarci a non voler giocare online se non con gruppi di gioco “fidati” è il fatto che in caso contrario ci si potrebbe ritrovare in community con utenti non proprio carini nei modi, in grado di offendere al primo nostro colpo andato a segno andando molto sul personale. Un problema vasto, che colpisce l’ambiente del gaming come, in generale, la quasi totalità degli ambienti digitali partecipati. Microsoft sembra essersi resa conto del problema, e sembra aver voluto ricorrere ai ripari inserendo nei sistemi comunicativi integrati nel gioco dei particolari filtri che bloccato l’hate speech.
Soluzione opportuna?
“Oh, piano con le parole!”
Stando alle notizie di Engadget, una prima versione della misura è entrata in vigore dalla giornata di ieri (al momento solo per gli iscritti al programma Xbox Insider, pensato come community di testing per gli upgrade dei software) e prevede che gli utenti possano attivare dei filtri che blocchino automaticamente i contenuti offensivi all’interno dei messaggi ricevuti. L’idea di ricevere un insulto mentre giocate a Gears 5 vi fa passare la voglia di prendere in mano il controller? Perfetto: basta attivare il blocco e rilassarsi, perché il sistema non vi farà recapitare messaggi ingiuriosi nei vostri confronti.
Beh, non proprio nessuno, perché la misura prevede in realtà quattro diverse modalità d’uso del blocco, che vanno da un “friendly mode”, che blocca automaticamente la maggior parte degli attacchi verbali, a “non filtrato”, per coloro che invece non temono il confronto duro durante le proprie partite, passando per le modalità “media” e “matura”, che fanno lavori di selezione molto più approfonditi all’interno delle conversazioni identificando contestualmente i contenuti effettivamente offensivi.
Nei piani di Microsoft, quindi, l’utente dovrà avere controllo controllo del mezzo e utilizzarlo nella maniera più adatta alle sue esigenze, e al contempo sembra voler evitare misure troppo restrittive dando un certo margine di tolleranza per i contesti più goliardici. Secondo quanto emerso, il sistema suporterà 21 lingue e, una volta testato e migliorato, sarà probabilmente lanciato ufficialmente in tardo autunno.
Insomma, Microsoft vuole davvero mettere un argine a un problema sentito, e che sembra portare sempre più danni.
Le parole sono importanti
Come accennavamo nell’introduzione, l’esistenza di contesti di gaming online “tossici” è una realtà che tutti i giocatori hanno potuto anche solo sfiorare almeno una volta nella loro vita. In un certo senso possiamo dire che la degenerazione di alcuni contesti ludici è una costante (purtroppo), che si presenta in una larga rosa di comportamenti: si va da un certo atteggiamento brusco nei confronti degli altri giocatori fino al coniamento di veri e propri linguaggi denigratori che colpiscono costantemente alcune minoranze.
Ed è qui che forse troviamo il motivo delle barricate di casa Microsoft: l’odio può, purtroppo, diventare un tristissimo collante sociale per alcuni gruppi di giocatori, premessa a una terribile diffusione a macchia d’olio di certe pratiche. Secondo una ricerca del Guardian citata da Rivista Studio, magazine culturale online, l’utilizzo di offese razziste od omofobe fra giocatori si è fatta sempre più sistematica e caratterizzata da veri e propri episodi di bullismo. Eh già: nei contesti veramente tossici (e, speriamo di cuore, ragionevolmente isolati dalla maggioranza di persone educate e con la testa sulle spalle che ogni giorno spendono ore davanti ai videogiochi) una sola parola detta al microfono con un accento ispanico o afroamericano per scatenare dinamiche distruttive.
Un fenomeno che ha portato già in passato a provvedimenti simi a quello di Microsoft anche singoli studi, come nel caso di DICE per Battlefield V, che corse ai ripari inserendo un filtro del genere nel suo sistema di gioco.
Ora, sappiamo qual è la domanda che vi state facendo: un provvedimento del genere è efficace?
Basta una regola a cambiare il mondo?
Saltiamo i preamboli: è lecito avere dei dubbi in merito, sia per la misura in sé che per i motivi che ne hanno portato all’adozione.
Intendiamoci, è virtuoso che un’azienda del genere metta dei blocchi, o a tentare di metterne, per far sì che l’ambiente di gioco rimanga al sicuro da uno dei flagelli delle community digitali contemporanee, e siamo sicuri che molti ne approfitteranno per evitare di trasformare le proprie partite in occasioni di frustrazione.
Il problema è che di fatto una soluzione del genere potrebbe rappresentare una sorta di resa a una situazione divenuta ingovernabile attraverso una sorta di “occhio non vede, cuore non duole”. Va bene aiutare il giocatore a non imbattersi nei discorsi d’odio, a non vederlo, ma l’odio continuerà a esistere, gli utenti più incattiviti continueranno a usare linguaggi aggressivi nelle chat. D’altro canto, però, il problema rimane irrisolvibile al momento. Più la rete si perfeziona, più i sistemi di comunicazione si fanno sofisticati, più fenomeni come l’odio in rete si fa forte e diffuso, e (purtroppo) non crediamo proprio che gli sviluppatori o i publisher possano far qualcosa per evitare certi atteggiamenti, troppo radicati e forti.
Che la soluzione sia allora quella di voltarsi dall’altra parte e far finta di niente, magari per sentire la coscienza un po’ meno pesante?