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Niente Oscar della scrittura per i videogiochi nel 2020

Per chi mastica un po’ di buona cinematografia americana, anche seriale, avrà sentito parlare spesso della Writers Guild of America, ossia la più grande associazione di categoria per sceneggiatori negli U.S.A., che riunisce al suo interno i due principali sindacati del campo, nonché organizzatrice del Writers Guild of America Award, una sorta di “premio Oscar” della sceneggiatura stelle-e-strisce. Un’associazione prestigiosa, in grado di dare la giusta visibilità ai professionisti impegnati in uno dei mestieri chiave dell’industria dell’intrattenimento contemporanea, e che negli ultimi anni ha dato un segnale di grande apertura includendo fra i premi anche uno per le migliori sceneggiature videoludiche (fra i premiati titoli come l’ultimo, fantastico, God of War o The last of us). Ebbene, a quanto pare qualcosa è cambiato: in una nota ufficiale, l’associazione ha comunicato che dal 2020 la categoria non sarà più rappresentata… e i motivi sono a dir poco problematici.

Nessun iscritto, nessuna rappresentanza

Per chi scrive, un discreto estimatore della componente narrativa del videogioco, la notizia di questa mattina è stata un fulmine a ciel sereno: com’è possibile che una cosa del genere accada proprio in un periodo che ha dimostrato senza dubbio quanto le produzioni videoludica odierne abbiano spesso fra i punti di forza quelle che nel gergo specialistico della critica potremmo chiamare sceneggiature di ferro?

Sia che parliamo di storie lineari come quelle del già citato The last of us o dei giochi story driven di Telltale, sia che la nostra mente vada a complessi open-world ambientati e strutturati attorno a un mondo ricco di personaggi e storie da raccontare, appare più che evidente come molti team di sviluppo basino il loro successo soprattutto su professionisti della scrittura in grado di rendere i loro prodotti soprattutto delle meravigliose “software racconta-storie”.

Perché, allora, escluderli da un premio così prestigioso? Beh, la dirigenza ha dato una spiegazione a dir poco ambigua: secondo varie testate, fra le quali DualShockers, la ragione sarebbe che non ci sarebbero abbastanza rappresentanti della categoria all’interno dell’associazione (e dunque della giuria), e che il premio verrà reinserito solo quando essi aumenteranno e si andrà di nuovo a creare quella che viene chiamata una “massa critica” di sceneggiatori di videogiochi iscritti alla WGA.

Il principio è, quindi: “Sì, sappiamo quanto anche le sceneggiature dei videogiochi possano meritare un premio, e anche che l’anno prossimo avremo sicuramente dei giochi importanti da questo punto di vista (qualcuno ha detto The last of us-Part 2?), ma dato che non abbiamo molti autori di videogiochi iscritti, chi di noi può valutare la validità di queste sceneggiature?”.

La cosa, neanche a dirlo, non è piaciuta a molti.

2018: Horizon Zero Dawn vince il prestigioso premio per la miglior sceneggiatura di un videogioco

“Un passo avanti, sette indietro”

Com’è facile prevedere, vari sono stati gli sceneggiatori di videogiochi che hanno reagito alla presa di posizione della WGA con quella che potremmo definire a dir poco un “convinto sdegno”.

Un esempio? Ve ne diamo due, e di quelli che pesano come macigni, a cominciare da quello di Chet Faliszek. Chi è Chet Faliszek? L’autore di Half-Life e Portal, che ha twittato

“Non ho mai aderito alla WGA e mai lo farò. Per vincere questo premio devi essere un membro.” E di seguito ha spiegato anche il perché: “Quando ci hanno chiesto di unirci, in modo da poter vincere questo premio, ci hanno detto che avremmo dovuto contribuirvi pagando l’iscrizione, ma non avremmo potuto votare, perché la scrittura dei giochi non è vera scrittura”.

Ora, capite bene che, se questa situazione fosse vera, un tweet del genere lascerebbe intendere non una misiera disputa sull’essere o meno iscritto a un sindacato, ma una profonda spaccatura in seno alla categoria, almeno all’epoca dell’invito all’adesione a Faliszek: significherebbe infatti un certo atteggiamento snobista verso la scrittura del videogioco da parte degli stessi sindacati di settore. Certo, le ripetute attestazioni di valore da parte della WGA verso il videogame potrebbero far pensare che si tratti di acqua passata, ma quando ti ritrovi a leggere Mary Kenney, sceneggiatrice di Insomniac, commentare la questione dell’annullamento del premio con un rassegnato

un passo avanti [l’inclusione della categoria], sette indietro [l’esclusione per assenza di “massa critica”]

allora la questione comincia a confermarsi come pesante, perché significa che questi professionisti vedono il loro lavoro non considerato, e questo è a dir poco paradossale.

“Sì, hai una sceneggiatura molto valida, mi hai fatto piangere e disperare con i tuoi bei personaggi, ma non sei un videogioco e non so valutare se sei scritto bene”… ma che diavolo dite?!

La scrittura è sempre scrittura

Insomma, da una parte abbiamo un ente che con motivazioni quasi burocratesi esclude degli scrittori da un premio dedicato alla scrittura perché teoricamente non avrebbe a disposizione una massa di figure in grado di giudicare i loro lavori (ma non si tratta comunque di sceneggiatori?), dall’altro autori che magari dopo anni di gavetta fra pubblicazioni di romanzi o racconti e screenplay per film e serie tv hanno deciso di mettere a disposizione il loro talento per un’altra arte, e che giustamente vorrebbero sentirsi rappresentati.

Il segnale che questo quadro dà è allarmante.

Se anche l’industria americana, che negli ultimi decenni ha provato quanto il videogioco possa essere un campo creativo con la stessa dignità delle altre forme d’arte, tende ancora a dispute e distinguo di questo tipo sulla base di iscrizioni ad albi, non riconoscendo che la scrittura di qualità è un valore applicabile sia al cinema e alla serialità che al videogioco, e cosa ancor più grave, affermando implicitamente che esistono delle differenze fra l’una e l’altra, significa che dobbiamo avere ancora molti dubbi circa la maturità dell’industria dell’intrattenimento e che, forse, cantavamo vittoria troppo presto quando esultavamo dicendo “Fico, il videogioco è ormai accettato universalmente!”.

Ed è desolante, considerando le lacrime talvolta versate per la morte di un personaggio al quale ci siamo affezionati o le sessioni di gioco a bocca aperta constatando quanto un dialogo fosse ben scritto o una fazione ben caratterizzata.

 

>Volete una prova di quanto i confini fra espressioni letterarie siano sottili? Leggete allora: Elden Ring: quando gli scrittori approdano nei videogiochi  <<

This post was published on 4 Ottobre 2019 12:24

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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