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Perché dovremmo essere felici di un porting di Grand Theft Auto III

Se dovessimo citare alcuni dei videogiochi più importanti della corrente storia del medium sarebbe davvero difficile non prendere in esame la trilogia di Grand Theft Auto che va da Grand Theft Auto III a quella pietra miliare assoluta che porta il nome di Grand Theft Auto San Andreas. Non sono i primi open world in assoluto ad aver calcato il terreno dei videogiochi, ne in versione bidimensionale ne tridimensionale ma sono di sicuro alcuni dei videogiochi dalla maggiore portata culturale della sesta generazione videoludica .

Perché parlarne ora ed oggi? Perché Nibel, una delle entità da cui provengono moltissime notizie di primissimo pelo del mondo dei videogiochi, ha fatto notare ai suoi followers su Twitter di come l’australia abbia rilasciato una valutazione per rilasciare una qualche versione di Grand Theft Auto III sul territorio dei canguri. Il titolo è già presente su Playstation 4 da tempo, motivo per cui sarebbe lecito aspettarsi un porting di qualche tipo su Xbox One o ancora più incredibilmente su Nintendo Switch (visto l’apertura del colosso di Kyoto ad altri giochi).

Tra tutti i porting possibili immaginabili quello dei Grand Theft Auto usciti per Playstation 2 non sono esattamente i più richiesti dalla community di videogiocatori che in questi giorni abita il globo, eppure in tal caso parliamo di una serie di titoli che andrebbero giocati per un motivo ben specifico: sono la colonna portante di moltissime delle meccaniche che attualmente incontriamo in modo quotidiano nel mondo dei videogiochi ed hanno, in un certo senso, scritto i videogiochi di dieci anni dopo con la loro devastante influenza. Grand Theft Auto III, nello specifico, è stato una prima volta per moltissimi giocatori; una prima volta per i mondi tridimensionali liberamente esplorabili, una prima volta su console per dei videogiochi con una violenza tanto realistica bene in vista, una prima volta per la formula vincente che consacrerà Rockstar all’olimpo dei videgiochi di estremo successo.

Grande Theft Auto III o quando Rockstar provò a cambiare il mondo.

Prima di Grand Theft Auto III i videogiochi a proporre al giocatore dei mondi tridimensionali ove potersi immergere in totale tranquillità erano pochini e tutti caratterizzati da un qualche grande problema. La saga di Elder Scrolls su PC, con Daggerfall aveva messo nelle mani del giocatore un mondo infinitamente vasto ed esplorabile, dove la generazione procedurale la faceva da padrona. Rockstar ci provò nel 1998 su Nintendo 64 portando Body Harvest, una specie di iterazione tridimensionale della formula dei primi Grand Theft Auto bidimensionali con alieni, automobili e astronavi; niente per cui gridare al miracolo eh, ma all’epoca risultava già una delizia nei confronti del resto dei videogiochi, ancora attaccati all’idea di quadri e livelli a se stanti.

Dopo Body Harvest Rockstar iniziò a lavorare alacremente ad un nuovo capitolo della sua principale fonte di denaro dopo la dipartita di Lemmings arrivando a mettere insieme le risorse necessarie per portare il mondo di Grand Theft Auto all’interno della terza dimensione. Il titolo fù sviluppato utilizzando il motore grafico Renderware sviluppato da Criterion Games e fin da subito fù chiaro per la software house che il punto cardine da centrare fosse la creazione di un videogioco in grado di portare la libertà e la diversità dei Grand Theft Auto all’interno di un nuovo mondo di gioco, stavolta in tre dimensioni e più vivo che mai. Per fare questo la software house cerco di usare al massimo delle sue capacità il potere dell Playstation 2 la capienza dei supporti dell’epoca, i DVD al massimo del possibile.

Nel disegnare il mondo di gioco Dan Houser tentò di descrivere una rappresentazione tradizionate di uno spaccato che va dal midwest alla costa orientale dell’america, prediligendo poi qualcosa di diverso: Liberty City, già città protagonista del primo Grand Theft Auto. La città in questo capitolo si ispira con ancora più forza a New York City, dividendosi in tre macro isole per una questione di struttura ludica. La software house, per cercare di incentivare i giocatori ad uscire dalla condizione di miserie criminale in cui sono posizionati all’inizio della narrativa, lascia i giocatori nel complesso industriale al soldo di un piccolo gruppo criminale, chiedendo a gran voce una scalata al potere senza precedenti.

Il melting pot è devastante, nella Liberty City di Grand Theft Auto III arrivano sprazzi di Chicago, sprazzi di Detroit e Philadelphia; citazioni a film come Heat o a serie tv di importanza capitale come I Sopranos. In un’ intervista Dan Houser (una delle menti dietro al titolo) dichiarò che la triade su cui si è formato il titolo è composta dal film Goodfellas (Quei Bravi Ragazzi di Martin Scorsese), da Super Mario 64 e da The Legend Of Zelda; un videogioco come strambo ibrido tra un film di mafia ed un gioco di ruolo.

Non solo di 3D si vince.

La trama del gioco fu sviluppata in parallelo al game design e fu pensata per essere in grado di mettere in mostra le varie meccaniche su cui il gioco è basato. La narrativa doveva dimostrarsi coesa e in grado di trascinare chi gioca ad un’isola all’altra senza apparenti problemi, in modo da lacsciare nel giocatore la voglia di osservare le tante piccole storie che si inanellano per formare il tessuto narrativo finale. Per House la trama doveva andare oltre il topos del supereroe contro il supercattivo e doveva avere un grande respiro cinematografico; l’effetto fu raggiunto in due modi: le basi d’ispirazione furono i film sulla criminalità organizzata americana di Martin Scorsese mentre il flusso di gioco e narrazione venne mantenuto intatto dalla costante collaborazione tra designer e scrittori, obbligati ad avere una riunione a settimana.

Il titolo fu il primo di Rockstar ad avere personaggi animati attraverso la motion capture, tecnologia all’epoca non ancora pienamente esplorata dal mondo dei videogiochi. Questo fu in ogni caso limitato dalla quantità di potenza di calcolo disponibile sulla console dell’epoca, non in grado di replicare perfettamente le movenze cinematografiche desiderate dagli sviluppatori. Qui, dopo Metal Gear Solid, sono state fatte numerose prove di ibridazione tra tecniche cinematografiche e mezzi videoludici, con una telecamera virtuale dagli abili movimenti al fine di sviluppare nel giocatore un vasto range di emozioni differenti. La scelta di utilizzare un protagonista silente che non vedrà nemmeno il suo nome rivelato sino alla comparsata dello stesso in Grand Theft Auto San Andreas è dovuta alle altre sfide affrontate dalla software house durante il processo di sviluppo; collateralmente la presa di posizione di Rockstar ha anche permesso al giocatore di vedere nel protagonista un avatar della propria persona, accentuando per come possibile l’immedesimazione all’interno del titolo.

Un intero paragrafo di lodi andrebbe speso per parlare delle radio presenti in Grand Theft Auto III, enorme pout pourrì di musica su licenza messa insieme per l’occasione che rappresenta un passo avanti mastodontico rispetto alla musica originale usata nei precedenti capitoli della saga. Per il titolo sono state registrate tre ore e mezza di materiale ed un intero micro team interno alle trenta persone usate per il progetto si è dedicato alla creazione delle playlist; cercando di riflettere l’astmosfera gangster del titolo le autoradio il titolo introdusse una stazione unicamente dedicata alla musica classica, con particolare attenzione a compositori italiani come Puccini o Verdi; le altre radio sono incentrate sulla riproduzione di canzoni di musica elettronica, reggae, funk e pop. Un’ intera radio, chiamata Playback 95.6 si preoccupa di mandare in onda pezzi provenienti dalla colonna sonora di Scarface, suggerendo ancor di più l’ubicazione temporale del titolo all’inizio degli anni duemila.

Al comparto prettamente musicale bisogna aggiungere una vera e propria novità rispetto ai capitoli precedenti: i talk show e gli spot pubblicitari dissacranti scritti dal direttore del progetto Dan Houser riconsegnano al giocatore un’atmosfera stralunata e richiamano continuamente una certa tipologia di produzioni americane che al giorno d’oggi sono motivo di scherno ma che all’epoca, venivano prese seriamente da gran parte della popolazione. Grand Theft Auto III finiva per ironizzare tutto fin da subito, sottolineando la fortissima vena ironica che al giorno oggi accompagna la saga nei suoi capitoli più recenti.

Strapotere ludico.

Il primo impatto dei giocatori con Grand Theft Auto III all’epoca è stato a dir poco epocale. Per la prima volta sulla console di casa, in un’epoca in cui i pc ancora erano lontani dallo strapotere tecnico, si poteva giocare con un mondo intero; era possibile guidare ogni automobile, uccidere ogni personaggio non giocante, affrontare una grandissima varietà di missioni, impersonare tassisti o autisti d’ambulanza; molto più di quello che solitamente era possibile trovare in ambito videoludico.

Nacque così il videogioco open world sandbox, ovvero un videogioco con un level design composto da livelli quanto più aperti possibili in cui al giocatore viene lasciata una libertà quasi totale riguardante i metodi da utilizzare per completare le missioni. Sebbene in questo primissimo titolo tridimensionale della saga la struttura delle missioni era lontana dalla complessità attuale, si potevano già annusare in giro per alcune situazioni e alcune mappe metodi alternativi per la risoluzione dei conflitti, specie ad una seconda o una terza run. Questa caratteristica è stata poi portata al suo limite dai videogiochi successivi, con un Grand Theft Auto V che con tre personaggi giocabili ha raggiunto chiaramente il suo apice.

Di Grand Theft Auto III al giorno d’oggi ricordiamo anche la violenza e la mancanza di freni inibitori con missioni che mostrano tematiche delicate sparate in faccia come se fossero proiettili di un fucile, con un rispetto pressoché nullo per il giocatore più sensibile. Tale caratteristica è stata pesantemente ostracizzata all’epoca dalle associazioni riguardanti la salvaguardia dei giocatori più piccoli, come ricorda Wired in un suo speciale.

Il successo del titolo è stato il primo mattone fondante dello strapotere assoluto di Rockstar negli anni seguenti, registrandosi come il gioco più venduto di tutto il 2001 all’interno degli stati uniti. Secondo le statistiche raccolte da Rockstar durante il Marzo 2008, tra tutte le console su cui il titolo è diventato disponibile sono state vendute oltre 14.5 milioni di copie, diventando il quinto miglior gioco della serie per vendite. Questo successo strabordante ha poi permesso a Rockstar di aumentare notevolmente le risorse  per lo sviluppo di Grand Theft Auto Vice City che, giocando sulla nostalgia conquistò un numero ancora maggiore di giocatori; Vice City poteva anche vantare una colonna sonora di primissimo ordine, con un numero ancora maggiore di canzoni su licenza acquistare per l’occasione, il tutto per presentare al giocatore uno spezzone di anni ottanta che nessun’altro videogioco prima d’ora era riuscito a riassumere all’interno di un videogioco.

L’unica cosa che Grand Theft Auto III non portò all’interno della saga era la passione per la ricostruzione storica, caratteristica che fu pesantemente accentuata dai successivi due capitoli riguardante dei periodi storici molto precisi o delle subculture estremamente ben delineate all’interno del tempo. Con Grand Theft Auto V questi riferimenti di tipo storico culturale hanno smesso di essere il perno centrale del titolo, anche a causa di una decisione di Rockstar di trasformare il brand in un qualcosa di più arcade e meno dedito alla ricostruzione di particolari costrutti sociali.

Giusto per parlare di parallelismi con il popolarissimo quinto capitolo della saga: Grand Theft Auto III, per come era stato pensato originariamente da Dan Houser, sarebbe stato il primo capitolo della saga di GTA ad avere tra le meccaniche quella del gioco online. A causa di problemi tecnici tale feature non è stata mai implementata e il primo esempio di gioco online è arrivato solo anni e anni dopo con il quarto capitolo della saga, mentre il multiplayer offline è stato osservato in Grand Theft Auto San Andreas. Nel 2001, all’epoca di rilascio del titolo, Playstation ancora non aveva le infrastrutture necessarie al gioco online, ne aveva ancora rilasciato l’hardware necessario che arriverà soltanto tre o quattro anni dopo. L’idea fu accantonata del tutto per Grand Theft Auto Vice City mentre fù sperimentata ma non completamente implementata in San Andreas, nonostantante ci siano delle build del gioco che ancora contengono al loro interno di dati riguardanti un’eventuale modalità online da poter giocare con i propri amici.

Ecco perché, se non avete ancora messo mano a Grand Theft Auto III cercate di recuperare, almeno per i vezzi storici; se al giorno d’oggi siamo pieni di videogiochi open world non fatte con il giusto criterio è anche colpa del successo strabordante di questo titolo e della sua Liberty City.

This post was published on 28 Settembre 2019 9:30

Graziano Salini

Perennemente alla ricerca di legami tra argomenti distanti tra loro, con una certa predilezione per musica e videogiochi. Faccio il possibile per fare in modo che ci siano meno errori di concetto possibili sugli articoli di Player.it, grande fan degli errori grammaticali invece, quelli fanno sempre ridere. Quando non sto amministrando questo sito lavoro mi occupo di spiegare cose difficili in maniere semplici su altri siti, su tematiche molto meno allegre dei videogiochi.

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