Se durante una discussione con gli amici viene fuori un discorso riguardante la nazione europea con il maggior successo nel mondo dei videogiochi le risposte più plausibili sono tre o quattro. Da una parte abbiamo la Francia, nazione dotata di un colosso mondiale del settore come Ubisoft e di tante piccole o medie software house (Dontnod o Arkane Studios) a far da portabandiera per la nazione della baguette; dall’altra abbiamo l’Inghilterra che funge da punto di collegamento tra il mondo americano e quello europeo, avendo anche dietro di sé una foltissima storia fatta di programmatori venuti fuori a videogiochi indipendenti nei garage: Psygnosis, Jeff Minter, Core Design e soci parlano chiaro.
Se torniamo sulla terraferma è impossibile non prendere in esame la Germania, nazione madrina di software house come Piranha Bytes (Gothic, Risen, Elex) o di figure storiche come Manfred Trenz (Great Giana Sisters o Turrican vi dicono niente?) o di Crytek, portatrice della next gen su PC una decina di anni fà con la coppia Far Cry e Crysis. Mentre paesi come Italia, Grecia, Spagna o Portogallo fanno parlare di sé senza fare grandi numeri, c’è un’altra nazione Europea che può vantare enormi risultati nel mondo dei videogiochi e che non compare ancora su questa lista: la Svezia.
In Svezia, durante il 2018, i videogiochi hanno generato ricavi per 1.87 miliardi di euro, il trentatré percento in più rispetto all’anno passato e praticamente il doppio rispetto a quanto l’industria era in grado di tirare fuori cinque anni fa. Questi sono i numeri usciti fuori durante la 2019 Game Developer Index, un’ indagine compiuta dall’ente commerciale locale Dataslepsbranschen; dati che mostrano un industria in perenne fioritura che è al suo decimo anno consecutivo di crescita
Il numero delle compagnie svedesi legate al mondo dei videogiocih è anche salito dell’undici percento rispetto alle 382 del 2018 e finendo per essere quasi il doppio delle 213 che abitavano le fredde lande scandinave nel corso del 2014; le venticinque più grandi aziende di questo settore, da sole, contribuiscono alle tasse del paese baltico per 113 milioni di euro dando lavoro a quasi ottomila persone, più del doppio delle persone che cinque anni fa lavoravano all’interno dell’industria.
Sempre secondo il report sembra che l’industria svedesa stia anche migliorando dal punto di vista del gender split, ovvero le percentuali che indicano il numero di lavoratori maschi e femmine all’interno dell’industria. Al momento il 79% dei lavoratori dell’industria in Svezia è di sesso maschile mentre il restante 21% è di sesso femminile; cifre che sono ancora lontani dall’uguaglianza ma che risultano in netto miglioramento ai numeri presenti nel paese cinque anni prima.
Nel 2018, in sostanza, un quinto dell’industria videoludica svedese era composta da lavoratori di sesso femminile.
Grazie ai suoi numeri l’industria svedese nel nei nove mesi che abbiamo appena vissuto nel 2019 ha accumulato venticinque casi di investimento e/o acquisizione, per oltre 240 milioni di euro, con numeri che la mettono tra le prime nazioni all’interno del continente europeo.
La Svezia è al giorno d’oggi una delle nazioni più importanti d’Europa per quanto riguarda lo sviluppo di videogiochi grazie a dei numeri importanti e a software house che in un modo o nell’altro hanno imparato a dire la loro all’interno del panorama mondiale sfornando titoli e brand in grado di far pesare da qualche parte l’ago della bilancia.
DICE ad esempio, la software house responsabile per il chiacchieratissimo Frostbite Engine che anima la maggioranza dei videogiochi di Electronic Arts (tra cui anche quelli che vanno parecchio male, come descritto in un libro scritto da Jason Schreier) , nasce in Svezia; la compagnia nel corso della sua storia ha anche dato i natali ad una delle saghe di sparatutto in prima più importanti della recente storia videoludica: Battlefield. DICE è anche la responsabile per quel piccolo capolavoro visivo di Mirror’s Edge e del suo seguito, senza dimenticare per essere stata la responsabile per la morte di Medal Of Honor, altra saga storica di sparatutto in prima persona deceduta in seguito allo strapotere di Call Of Duty.
Se DICE non dovesse bastare potete prendere in esame Starbreeeze che, nonostante un grande numero di problemi economici negli ultimi tempi, nel corso della sua storia ha saputo far parlare di sé dando il via ad una serie di brand più o meno forti: i due giochi di The Chronicles Of Riddick, ad esempio, rientrano a pieno titolo nella categoria migliori tie-in mai realizzat ed i giochi di The Darkness sono tranquillamente alcuni degli sparatutto in prima persona più intelligenti e divertenti che nel corso degli anni dieci abbiamo visto sulle nostre console di fiducia. La software house ha fatto parlare di sé anche nel mondo dei titoli indipendenti, realizzando Brothers: A Tale Of Two Sons , considerato in modo quasi unanime uno dei migliori videogiochi indipendenti usciti nel corso dell’ultimo decennio per la capacità di mettere fianco a fianco due giocatori e di farli empatizzare vicendevolmente con ciò che si presenta a schermo.
Se ciò non dovesse bastare possiamo prendere in esempi anche software house più settoriali per così dire. Paradox Games, ad esempio, è svedese ed è l’assoluta leader di settore per un genere (quello dei grand strategy games) che possiede nicchie di dimensioni rispettabili; sua la serie di Europa Universalis, sua la serie di Crusader Kings e di Victoria, sue le vagonate infinite di DLC per potenziare il gameplay di un titolo (o per completarlo in modo quasi criminale). Anche Machinegames è svedese e tale è la paternita degli ultimi videogiochi basati sul brand di Wolfenstein, capaci di ridare linfa vitale a uno dei nomi più storicamente importanti della storia videoludica in modo particolarmente coerente, senza stravolgere niente di ché. Volendo è possibile anche parlare di Avalanche Games, software house nota per i suoi videogiochi Open World che tra un Just Cause, un Mad Max, una collaborazione per Rage 2 ha avuto anche il tempo di tirare fuori un flop notevole come Generation Zero?
Videoludicamente parlando invece l’azienda più importante di tutta la nazione è senza dubbio THQ Nordic AB, colosso nato dalla fusione di THQ con Nordic Games che nel corso degli ultimi mesi ha fatto parlare di sé in seguito ad un grandissimo numero di acquisizioni. Sue le responsabilità dietro titoli come Darksiders 3, Kingdom Come Deliverance (pubblicato da Deep Silver che è di proprietà di THQ) e moltissimi altri, suo il ruolo di seconda azienda in Europa dietro al colosso francese di Ubisoft.
Tutte queste aziende però impallidiscono di fronte ai due veri grandi campioni del settore, due nomi davanti cui generalmente la gente si inchina perché a livello di ricavi sono direttamente su di una lega differente. Di chi stiamo parlando ? Di Mojang, ovvero la software house (una volta one man army composta da Markus Persson) dietro il fenomeno Minecraft e di King, software house che ha generato quel blob mangiatempo e soldi che risponde al nome di Candy Crush.
Nel 2014 Microsoft annunciò di essere intenzionata ad acquistare Mojang per la modica somma di 2.5 miliardi di dollari e quello fù la definitiva conferma riguardo il devastante successo dei videogiochi indipendenti; per il Seattletimes quella fu anche la conferma della validità dell’industria videoludica svedese. Secondo le statistiche almeno una persona ogni dieci al mondo aaveva giocato, per una volta nella sua vita, ad uno dei moltissimi titoli sviluppati nella nazione: da Candy Crush, a Battlefield passando per i titoli più sardonici come Goat Simulator.
La capitale del gaming svedese è senza dubbio la capitale Stoccolma che dall’alto dei suoi 930mila abitanti include moltissime delle aziende sopra descritte. Il centro nevralgico dell’industria è senza dubbio il quartiere di Södermalm, poco più a sud della città vecchia e ora location principe per palazzoni e vecchi capannoni industriali.
È qui che hanno sede aziende come Paradox, Avalanche o Rovio (autori di Angry Birds), in grattacieli modesti o in vecchie fabbriche dismesse sparse per la zona.
Mojang stessa ha la sua sede storica al primo piano di una vecchia fabbrica di tabacco, sede che non è cambiata nemmeno dopo l’abbandono dei membri fondatori in seguito all’acquisizione di Microsoft. Tale acquisizione è soltanto una delle mille che ha influenzato in qualche modo il mercato svedese e sono risultate generalmente positive per i team di sviluppo, con aziende come DICE che sono letteralmente lievitate.
Tale opinione è portata avanti sopratutto da Oskar Burman, veterano dell’industria (membro di Avalanche per molto tempo e al momento general manager di Rovio) che afferma il successo praticamente universale di tutte le varie acquisizioni internazionali che ci sono state nella storia dei videogiochi made in Svezia. Per gli svedesi è stato possibile anche fare carriera, l’esempio forse più lampante è quello dell’ex CEO di DICE, Patrick Söderlund, diventato chief design officer per Electronic Arts per dodici anni prima di tornare alla posizione di CEO per una software house più piccola.
Uno dei motivi per questo successo è stato, a furor di popolo, l’elevata presenza della lingua inglese nel percorso educativo di tutti i bambini. L’inglese nelle scuole svedesi è diventato obbligatorio a partire dagli anni sessanta abbattendo quindi la barriera linguistica che poteva separare gli appassionati dal mondo di internet e dell’informatica stessa. La conoscenza dell’informatica è stata sicuramente semplificata anche dalla presenza dei computer all’interno del tessuto sociale, processo incentivato dallo stato stesso con sussidi alle famiglie ad-hoc durante il corso degli anni novanta; l’interconnessione del territorio attraverso connessioni internet ad alta velocità è merito anche di grandi investimenti centrali partiti con l’arrivo degli anni duemila.
Per Peter Zetteberg parte del merito andrebbe anche alle famiglie svedesi e alla cultura genitoriale, molto più morbida e lasciva di quella estera che ha permesso a molti bambini di scoprire presto la passione per il game design e l’informatica, ricevendo incentivi e libertà d’azione; cose che anche da noi risultano quasi aliene, con culture diverse che sottolineano la bontà di diversi percorsi lavorativi.
Difficile pensare all’adozione di un simile paradigma all’interno dell’ambiente italiano viste le sostanziali differenze tra le due nazioni a livello di cultura e di impostazione; è interessante in ogni caso osservare l’esempio svedese per poter imparare qualcosa. Secondo l’attuale CEO di Mojang, il segreto per poter avere delle software house di successo è quello di avere qualcosa di successo da condividere, qualcosa in grado di diventare d’ispirazione; di questo siamo abbastanza certi che la Svezia ne sia più che piena.
This post was published on 17 Settembre 2019 9:30
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