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Venerdì Oldies | Anodyne

In Anodyne per poter accedere a uno dei dungeon obbligatori necessari per il completamento del titolo è necessario scambiare quattro chiacchiere con un pescatore posizionato sopra di un pontile per poi vederlo suicidarti in un gorgo che inizierà a tingersi di un colore rosso acceso. La curiosità umana da li in poi ci guiderà all’interno del gorgo stesso, imbrattato del sangue del pescatore e location completamente esplorabile.

Sotto la superfice dell’acqua rossastra si dipanerà un mondo nebbioso e silenzioso, musicato da melodie di vapore acqueo e ammoniaca che sembrano quasi voler soffocare nel loro incedere a tentoni. Il mare rossastro è abitato, similarmente alle altre location del titolo, da strambe tipologie di creature: da una parte troviamo dei funghi senzienti che sembrano soffrire di un qualche tipo di depressione maggiore, incapaci di provare emozioni forti e destinate unicamente ad esplodere (non metaforicamente) nel loro silenzio; dall’altra troviamo dei colossi che rassomigliano ai Bounding Demons che abitano la Lost Izalith di Hidetaka Miyazaki.

Il sogno senza fine del protagonista Young sembra però essere privo di certi dettagli: tutte le indicazioni all’interno del mondo di Anodyne sono date da roccie o da esseri viventi stramboidi, ogni cartello segnaletico sembra non essere sopravvissuto allo scorrere del tempo e le leggi della fisica e del buon senso alle volte non rispettano ciò che abbiamo imparato a riconoscere nel corso della nostra vita. Come succede nei sogni che facciamo tutte le notti, tra una stanza d’albergo ed un circo abitato da leoni fiammeggianti ed acrobati esistono luoghi come una città abitata da strane piramidi o un buio labirinto in grafica otto bit.

Senza soluzione di continuità apparente ma con l’audacia di un continuo rimescolare, Anodyne inizierà a proporre nel corso della sua mezza dozzina di ore di gioco una grande quantità di situazione e ambientazioni oniriche giocando con le aspettative del giocatore e mettendo in piedi un’atmosfera di pregio e qualità. Nel corso di questo venerdì oldies entreremo nel vivo del sogno messo in piedi da Sean Han Tani e Marina Kittaka, ovvero del duo che compone il 100% di Analgesic Games.

Crasi.

Se proviamo a fare un riassunto di Anodyne utilizzando giusto due riferimenti videoludici si ha davanti una coppia di videogiochi molto diversi tra loro ma entrambi particolarmente ficcanti. Le atmosfere, le ambientazioni, le musiche ed in generale il sottotesto tecnico artistico sembrano richiamare a più volate quel piccolo capolavoro indipendente che risponde al nome di Yume Nikki, uno dei più importanti videogiochi indie di tutti i tempi. Le aure trasognate ed oniriche infatti si riscontrano in molte delle ambientazioni del titolo, caratterizzate da situazioni e colori surreali, richiamano le avventure di Madotsuki nel suo mondo ad occhi chiusi.

Il gameplay di Anodyne è invece figlio di The Legend Of Zelda: Link’s Awakening con dei dungeon da esplorare, dei nemici da abbattere, dei boss da affrontare ed una miriade di enigmi, enigmini e via dicendo. Niente di particolarmente difficile, sia chiaro, ma le influenze provenienti dal capolavoro di Miyamoto sono estremamente evidenti in tante piccole scelte e addirittura in alcuni easter eggs sparsi quà e la per i più curiosi. Anodyne non raggiunge le complessità del suo paparino su Game Boy spogliandosi di orpelli come gli oggetti utilizzabili e tenta di rimanere sul semplice, dando al protagonista Young giusto una scopa e qualche potenziamento.

Questo lascia la maggioranza del divertimento sulle spalle del level design e qui il titolo di Analgesic Games finisce per traballare un pochino a causa di una struttura piuttosto strana. Anodyne è tutto fuorché difficile e risulta incredibilmente rilassante da giocare, complice anche una colonna sonora di cui parleremo poi. I dungeon sono lineari e presentano una grande quantità di enigmi ambientali dalla risoluzione abbastanza lapalissiana: premi tale interruttore, schiva tale ostacolo, costringi tale mostro a comportarsi in un determinato modo per premere un pulsante e così via; il loop ludico in cui rapidamente si entra chiede semplicemente al giocatore di risolvere ogni stanza e trovare la fine di ogni labirinto, senza preoccuparsi di oggetti da utilizzare o di particolari enigmi da abbattere.

Tutto è semplice, pulito, quasi cristallino.

Questa caratteristica del titolo, questa semplicità così marcata, è una lama a doppio taglio: Anodyne è  adatto a giocatori alle prime armi ma rischia di venire presto a noia perché la formula principe di ogni dungeon rimarrà immutata dall’inizio alla fine; ogni location vi chiederà di trovare chiavi risolvendo enigmi, di aprire porte al fine di raggiungere un boss da abbattere con qualche ramazzata, nulla più, nulla meno. A questo è necessario sommare un sistema di progressione non particolarmente invitante, che obbliga il giocatore ad un completismo spicciolo chiedendogli di raccogliere tutte e 36 le carte per poter raggiungere il finale del titolo.

Obbligare il giocatore al completismo non è mai una grande scelta e lascia un gusto amarognolo quando, per poter ottenere gli ultimi pezzi di carta, si deve fare moltissimo backtracking osservando una mappa comoda ma incompleta, senza segnalazioni riguardanti gli ostacoli affrontati. Se nel 1993 di Link’s Awakening era legittimo creare un simile tipo di supporto al gameplay, venti anni dopo avere una mappa così spoglia è semplicemente scomodo.

Culto estetico.

Anodyne controbilancia queste sue leggerezze in ambito ludico, plausibilmente figlie del suo status di opera prima, con un comparto tecnico artistico delizioso che rende perfettamente onore sia a Yume Nikki che a The Legend Of Zelda Link’s Awakening. La palette di colori viaggia tra i pastelli ed i colori saturi disegnando prima le amene rive di un lago, poi un luogo fuori da tempo abitato da creature a forma di poliedri; le atmosfere del gioco devono molto alle dense coltri di colori che filtrano la luce e che pitturano tante piccole scene pregne di temperature, colori e sapori.

Il titolo è realizzato completamente in una splendida pixel art che guarda da vicino l’opera di Miyamoto su gameboy, con modelli molto semplici e ben caratetrizzati utilizzando caratteristiche fisiche o costumi. I personaggi del gioco, nel loro numero sparuto, sono tutti estremamente riconoscibili ed hanno un minimo di carisma che ce li farà ricordare blandamente; discorso simile per i nemici, qui disponibili in grandi quantità con qualche picco di design legato a degli inquietantissimi zombie o a degli spiriti assassini che abitano una città in procinto di diventare fantasma.

Un discorso completamente a parte andrebbe fatto per il comparto narrativo del titolo, decisamente ambivalente. Ad un occhio disattento Anodyne potrebbe apparire come un indie game completamente composto dal gameplay e dotato di una trama messa li per fare contenuto ma, all’atto pratico, abbiamo a che fare con un mondo semplicemente tratteggiato che nasconde dietro alcuni dei suoi personaggi delle riflessioni di un certo tipo.

La community che si è generata intorno al titolo di Analgesic Games ha cercato di interpretare il titolo utilizzando il tema del viaggio interiore, viaggio compiuto da Young (o da noi stessi) verso la fuga definitiva da una fanciullezza in cui ogni cosa si può schivare giusto restando dentro la propria camera un po’ di più, socializzazione compresa. In tal ottica hanno senso scelte come quella di legare al game over definitivo (ovvero il no al continue) alla fuga dall’ambiente della propria camera/ambiente materno vivendo la propria depressione sulle vie della propria città, senza essere scesi a patti con quelle che sono le proprie turbe relazionali.

Queste ultime sono quelle che, nel finale, vengono a galla e mostrano un carattere combattuto e propensione alla relazione e all’estroversione repressa da chissà quanto. Anodyne nasconde tutti questi temi all’interno di frasi criptiche e di silenzi sparuti, disegnando nel contempo un mondo avulso da quello che realmente viviamo nel quotidiano.

Le ultime parole di questo venerdì oldies le leghiamo alla colonna sonora del titolo, un piccolo capolavoro di micromusic eterea e sognante quanto basta grazie a melodie memorabili e ad un senso di dispersione che ben si adatta alle nebbiolina che sembra essersi posata su ogni location del titolo. In Anodyne le melodie sembrano li da sempre, priva di una ritmica vivace e create per accompagnare l’avventura di Young dall’inizio alla fine, regalandoci quà e la delle piccole perle come quella della bossfight finale.

Anodyne, in sostanza, è un titolo indipendente che non aspira al rango di capolavoro ma che sa difendersi con abilità dalo scorrere del tempo grazie ad un comparto tecnico/sonoro che aspira all’immortalità. Il gameplay del titolo è pieno di tanti piccoli problemi ma sa divertire, specie se si considera la durata limitata di cui questo titolo dispone. Al momento è possibile recuperare l’opera prima di Analgesic Games su praticamente quasi ogni piattaforma: Playstation 4, PC, Nintendo Switch

This post was published on 20 Settembre 2019 9:30

Graziano Salini

Perennemente alla ricerca di legami tra argomenti distanti tra loro, con una certa predilezione per musica e videogiochi. Faccio il possibile per fare in modo che ci siano meno errori di concetto possibili sugli articoli di Player.it, grande fan degli errori grammaticali invece, quelli fanno sempre ridere. Quando non sto amministrando questo sito lavoro mi occupo di spiegare cose difficili in maniere semplici su altri siti, su tematiche molto meno allegre dei videogiochi.

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