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Il Gwent arriva su iOS, ma da dove viene il gioco di carte di The Witcher?

Il Gwent, ormai famoso gioco virtuale di carte collezionabili nato come costola di The Witcher 3, è diventato in poco tempo un piccolo-grande tormentone arrivando a creare una cospicua community attorno a sé, e questo successo sembra non arrestarsi, se è vero che Apple ha annunciato una versione iOS del medesimo in uscita sugli store il 29 ottobre, collegabile al proprio account GOG (e, dunque, destinato all’interoperabilità fra piattaforme), come già preannunciato mesi fa.

Non male per quello che era nato come un mini-gioco inserito all’interno di un epico action-rpg open world come modo per “colorare” il mondo di gioco, poi divenuto talmente popolare da portare allo sviluppo di uno stand alone.

Ripercorriamo la storia di questo piccolo fenomeno, dagli albori fino a oggi.

Pronti? Cominciamo!

Un gioco nel gioco

Come molte componenti del videogioco, anche il Gwent è uno dei tanti elementi di contorno della saga di Andrej Sapkowski solo accennati nei romanzi, ma approfonditi e fatti diventare parte del gioco dai programmatori di CD Projekt Red grazie al loro approccio “totale” al mono di Geralt nel terzo capitolo della serie.

Inserito come attività collaterale all’interno del viaggio dello Strigo per i Regni Settentrionali, esso aveva un triplice valore. Per prima cosa, come già accennato, doveva contribuire a rendere il mondo di gioco vivo e vivace, facendo di varie sue location veri e propri punti di ritrovo di giocatori d’azzardo capaci di mettere alla prova il nostro strigo. In secondo luogo dava al giocatore un’ulteriore possibilità di far crescere il proprio avatar affrontando una serie di sfide epiche con alcuni giocatori maestri, dando al tempo stesso al gioco una dinamica di ricerca di collezionabili.

Infine, Gwent permetteva a suo modo di celebrare la lore del brand, mettendo letteralmente nelle mani del giocatore mazzi che presentavano personaggi, fazioni e creature incontrate nel corso dei tre episodi di gioco, porgendo un significativo tributo a una trilogia che stava giungendo al termine.

Tre ingredienti che davano a questa componente del gioco un ruolo strategico nella fidelizzazione di un pubblico in parte già di sé portato per i giochi di carte collezionabili, quali erano i nerd che costituivano lo zoccolo duro degli acquirenti del titolo. Qualora infatti già non bastasse il vivere un’avventura epica nei panni di un guerriero, la voglia di collezionare tutte le carte e arricchire i propri mazzi rendeva l’esperienza di gioco ancora più longeva.

Una dinamica perfetta. Perché non espanderla ad altri prodotti?

Un successo inaspettato

L’esperimento funzionò, e man mano che i giocatori prendevano confidenza con il videogioco e completavano le prime run crescevano commenti entusiasti in merito al mini-gioco, tanto da far nascere piccole community online dedite al Gwent. In effetti la semplicità del gioco e la sua spettacolare resa artistica lo rendevano un passatempo estremamente godibile e piacevole, che allungava l’esperienza di TW3 praticamente all’infinito.

Perché allora non cavalcare il successo, facendo del mini-gioco un prodotto a sé? Sembrava in effetti un passo inevitabile. Il problema era capire il “come” farlo; alcuni, come colui che sta scrivendo, credevano che il passaggio di CD Projekt al lancio di un vero e proprio gioco di carte fisico, sulla falsariga dei vari Magic, fosse solo questione di tempo, ed erano portati a crederlo anche sulla base dell’inclusione di ben due mazzi all’interno della copia fisica di Hearts of Stone, prima espansione del kolossal videoludico.

Nei mesi successivi, tuttavia, le cose presero una piega diversa. Il lancio di un Gwent in versione browser game (oltretutto passando per una versione beta, segno di voler fare le cose per bene) fece capire che l’obiettivo di CD Projekt era un altro. Ancor più ambizioso.

Fra free to play e sperimentazione

Gwent venne lanciato per PC il 23 ottobre 2018 e per console il 4 dicembre dello stesso anno, accolto da plausi e dalla quasi istantanea creazione di community di gioco molto nutrite. Il suo business model, basato in parte sul comprare mazzi di carte da gioco alternativi e in parte sull’alimentazione costante di un pubblico che può diventare, all’occorrenza, acquirente di nuovi prodotti, ne hanno fatto un cavallo vincente all’interno della strategia del team polacco, portandolo anche a sviluppare una sorta di story-mode molto originale attraverso l’uscita di Thronebreaker, un’espansione che inseriva le dinamiche di Gwent all’interno di un gdr a turni su storyline collaterale del mondo di The Witcher, ovvero quella della regina di Rivia e Liria, Meve.

 

Meve, regina di Lyria e Rivia, protagonista assoluta di Thronebreaker

Un vero e proprio mix di gdr a turni e gioco di carte collezionabili che permetteva di vivere l’epopea dei Regni Settentrionali da un altro punto di vista e generalmente acclamato.

Vedendola a posteriori, all’alba del lancio del gioco base su iOS la storia di Gwent è un perfetto esempio di come sfruttare una licenza in maniera creativa, non convenzionale e capace di intercettare diversi pubblici senza perdere di vista il proprio core (ovvero la creazione di prodotti incentrati su una lore sviluppata e profonda), arrivando persino a inventare formule di business di successo e persino nuovi generi sospesi abilmente fra narrazione e competitività.

Non male per un’idea partita come un’attività collaterale vero per un open world, vero?

>>Leggi le ultime news dal prossimo gioco CD Projekt: Cyberpunk 2077 tra contenuti aggiuntivi e l’annuncio della modalità multiplayer<<

This post was published on 13 Settembre 2019 11:55

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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