Un vecchio adagio dice, più o meno, che nessuna rivoluzione arriva senza spargimento di sangue, e questo è particolarmente vero nel caso delle politiche di rinnovamento aziendale di molti grandi marchi, pronti a interventi brutali laddove lo ritenga opportuno. Un discorso che, secondo le ultime parole di James Bell, vice presidente di GameStop, sembra valere anche per la sua azienda, impegnata in un ambizioso piano di ristrutturazione aziendale con l’obiettivo di rinnovare parte della propria politica aziendale. Una ristrutturazione che rischia di fare qualche vittima: secondo le ultime notizie, GameStop si prepara a chiudere fra i 180 e i 200 negozi.
Come riportavamo qualche settimana fa, GameStop sembra voler ricorrere a mezzi estremi per salvare la sua azienda, sempre più in difficoltà a causa di molteplici motivi, a giudizio di molti derivanti dal suo business model sia dagli enormi cambiamenti del mercato e dell’industria del videogioco: in uno scenario non roseo, nel quale le perdite sembrano molte più delle entrate, l’azienda ha infatti optato per una sorta di rielaborazione della sua offerta.
Secondo una nota uscita lo scorso luglio, infatti, Gamestop era al lavoro assieme a R/GA, lo studio di design partner ufficiale della linea di negozi, per rielaborare la forma stessa dei diversi punti vendita e, quindi, anche parte della filosofia con la quale l’azienda si proponeva al pubblico.
In un domani che a questo punto sembra molto vicino, Gamespot sembra infatti voler votare i suoi punti vendita a una funzione di gaming house che funzionerebbero come una sorta di punto vendita di community di videogiocatori, e non più come freddi store basati sul semplice rapporto commerciante-cliente.
Un piano ambizioso, che da una parte gioca sul lancio di nuove proposte verso un mondo, quello del gaming, teoricamente aperto all’innovazione (anche se in questo caso c’è più di un dubbio sull’accoglienza di queste proposte), dall’altro su una revisione della struttura fisica dei negozi, che dovrebbero essere trasformati in enormi club di incontro.
E qui arriva il problema: non tutti i punti vendita sembrano adatti allo scopo…
Secondo le notizie più recenti, Bell avrebbe confermato che un numero al momento imprecisato fra i 180 e i 200 negozi in tutto il mondo verranno chiusi. Laconico anche il commento motivatorio: le fonti infatti utilizzano un termine che suona forte: si parla di negozi “poco efficienti”, una definizione dall’accezione solo apparentemente di semplice comprensione.
Da una parte, dato ciò che sappiamo circa il piano di GameStop, sembrerebbe quasi automatico motivare il passo successivo dell’azienda come la semplice ricerca di uno standard medio nei negozi che soddisfi le nuove necessità: spazi grandi e adatti a una sorta di “vita sociale”, elementi che sembrano basilari per permettere il raggiungimento di certi obiettivi.
Insomma, banalmente non tutti i GameStop saranno così grandi, no?
Certo, forse è così, eppure concedeteci una qualche dietrologia in merito. “Poco efficienti” vuol dire significa “non adatti allo scopo”, ma potrebbe significare non in grado di rendere al cento per cento. Potrebbe significare, magari, che si tratta di punti vendita in posizioni non strategiche, sia da un punto di vista geografico che demografico. E significherebbe, soprattutto, “sacrificabili“.
Significherebbe, insomma, che a un paio di mesi dall’inizio della ristrutturazione dell’apparato aziendale di GameStop si starebbe concretizzando un timore sempre presente in situazioni del genere: una spietata razionalizzazione del personale e delle politiche, con l’obiettivo di tentare di far quadrare i bilanci.
Tralasciamo per un attimo l’ovvietà, ovvero il fatto che se questi piani andranno in porto essi potrebbero portare a migliaia di licenziamenti, fatto che dovrebbe senza dubbio far riflettere sul modo in cui grandi dinamiche aziendali possono incidere sulla vita di molte persone e discutere di certi modelli aziendali che continuano a mostrare i propri limiti (con i quali difficilmente faranno i conti).
Il problema è un altro, ed è soprattutto di GameStop.
Se, come sarà, queste chiusure porteranno licenziamenti a catena, ciò vorrebbe dire che il progetto di una nuova GameStop (intesa come multinazionale) sarebbe legata a una sorta di “peccato originale” già alla sua nascita, tale da rendere qualsiasi tentativo di riqulificazione o rigenerazione interna fallato in partenza. Ci immaginiamo i titoli? “GameStop riparte, ma lascia a casa migliaia di persone”?
Viviamo in tempi strani, stranissimi, sospesi fra pratiche industriali durissime e discutibili e una rinnovata attenzione al sociale e alle rivendicazioni, e nella quale la brand reputation si misura tenendo conto dei passi falsi e delle incoerenze dei brand. Basta una contraddizione, o anche una minima titubanza su una materia, per alzare un polverone su un’azienda.
GameStop gioca una partita difficile e rischiosissima, in grado tanto di decretare una sua ripartenza quanto di sotterrarla per sempre. Siamo certi che se ne renda conto?
This post was published on 12 Settembre 2019 13:53
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