Livelli segreti, codici da inserire che svelano in anticipo il finale dell’avventura, altri che potenziano magicamente il nostro eroe: la Storia del videogioco è una storia costellata di opere estremamente stratificate, nelle quali i programmatori hanno talvolta inserito contenuti, sezioni e possibilità scopribili solo dai giocatori più esperti e accorti. Una caratteristica del nostro passtempo preferito che sembra ormai quasi del tutto accantonata oggi, in una generazione di giochi basati su altri standard, ma che ha segnato buona parte del percorso di crescita del videogioco. Pronti a (ri)scoprirla? Bene, andiamo!
A portarci a riflettere su questo aspetto del videogioco sono notizie curiose che sembrano arrivare dalla riscoperta di titoli di generazioni fa come, per esempio, un interessante articolo di Kotaku che spiega che, nella versione mobile del classico GTA: San Andreas (okay, forse classico è troppo poco: diciamo pure leggendario) esistessero dei codici segreti poco conosciuti che permettevano al giocatore di ottenere dei vantaggi anche superiori a quelli presenti nella versione per console e PC.
Per esempio, l’articolo riporta come giocando questa versione sia stato possibile recuperare alcuni codici che probabilmente giacevano da anni all’interno del codice, ma che pochi oltre agli sviluppatori erano riusciti a sbloccare, principalmente per la difficoltà di inserimento: pare infatti che alcuni di queste password fossero elementi alfanumerici molto difficilmente digitabili su tastiera da PC o mediante controller da console, ma facilmente accessibili attraverso il tastierino di uno smartphone.
Fra questi codici (che, ricordiamolo, facevano parte del software originale, e non del porting), si trovavano per esempio la possibilità di usare degli equipaggiamenti che abitualmente sarebbero stati sbloccati solo in determinate sezioni del gioco o di saltare alcune missioni, senza dubbio utili ad affrontare il gioco in una posizione di vantaggio, ma utili soprattutto agli sviluppatori in fase di playtest.
Come? Pensavate di conoscere ogni segreto di San Andreas?
Ppfff, illusi.
Il caso di GTA: San Andreas non è certo l’unico di un videogioco che ancora a distanza di tempo riesce a mantenere tanti segreti al suo interno, specie per quel che riguarda i codici.
Tanti sono infatti i titoli che, grazie all’azione divertita e annoiata di giocatori casuali che riscoprino e stressano vecchi prodotti o di veri e propri archeologi videoludici che rimettono mano a vecchi giochi per scoprirne i misteri, sembrano celare ancora all’interno password ancora non scoperte. Un articolo di Grunge.com, per esempio, ci ricorda come lo sbloccare il Konami code, difficile combinazione di tasti fosse una delle sfide più interessanti da affrontare nella serie Contra, o all’interno del primo Zelda fosse possibile sbloccare una difficoltà di gioco più ardua attraverso l’inserimento del nome della principessa all’interno slot del nome del giocatore.
I casi, da questo punto di vista, sono tantissimi, e molti sono ancora per lo più non-indagati. Se pensiamo alla mole di titoli rilasciati, nonché sul fatto che spesso questi codici erano concepiti per essere accessibili dai programmatori, che disponevano di periferiche differenti da quelle dei giocatori normali, allora possiamo cominciare a farci un’idea della vastità del fenomeno.
A questo tipo di segreti, poi, dobbiamo sommarne anche altri, primi fra tutti i livelli segreti, sezioni dei videogiochi ufficialmente non accessibili a una prima occhiata, ma presenti: stanze segrete accessibili andando a sbattere contro vicoli ciechi (come in Super Mario), giochi paralleli e alternativi a quelli ufficiali sboccabili solo al termine della prima run (come in Castlevania), dettagli visibili solo dopo aver compiuto determinate azioni (Resident Evil 2, dove rimanendo immobili accanto a una scrivania si veniva in possesso di un video inedito che aggiungeva elementi alla storia).
Il punto è: perché inserire questi contenuti?
A un esame pratico di cosa sia o non sia un videogioco, inteso come software in grado di far sì che un giocatore viva un’esperienza interattiva, non c’è forse miglior elemento dell’analisi di codici e segreti per farne capire la complessità di un’opera videoludica da un lato e le potenzialità a livello ludico-narrativo da un lato.
Nel caso dei codici, questa consapevolezza può essere data dal prendere atto che essi non sono concepiti come mero strumento per permettere al giocatore di diventare un Dio, ma come elemento dato agli sviluppatori di navigare all’interno del gioco per testarlo e analizzarlo prima del rilascio. D’altro canto, il segreto dà ancor più l’idea di quanto tentare di considerare il videogioco una sorta di derivativo del cinema sia abbastanza ridicola. In una dimensione nella quale il videogiocatore è portato a scavare in ciò che ha davanti sullo schermo, indagando anche in merito agli “spazi vuoti” di un livello, ecco che d’un tratto emerge preponderante una caratteristica che solo il gioco digitale può avere: una tensione all’interattività, alla ricerca e alla sfida che solo esso può avere.
La domanda allora diventa: un gioco senza segreti, senza vie alternative e senza codici che permettano di svelare altro oltre a ciò che il giocatore vede (e perdonateci la radicalità) si può ancora definire videogioco?
This post was published on 2 Settembre 2019 17:42
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