Nato come studio di localizzazione specializzato nell’adattamento dei videogiochi di ruolo occidentali e tramutatosi in studio creativo in grado di portare l’action rpg europeo a un livello pari o superiore a quello americano, CD Projekt Red è ormai una delle aziende più acclamate del settore. L’annuncio di Cyberpunk 2077, i continui aggiornamenti sulle sue caratteristiche e sulle sue ambizioni hanno ormai da mesi egemonizzato parte della stampa specializzata.
Un successo straordinario, che cresce di mese in mese e che non poteva che portare CD Projekt a sbilanciarsi circa i suoi prossimi progetti.
Aprite le orecchie. Apritele bene. Benissimo.
[Update]: La demo al pubblico del 30 agosto
Prima di inoltrarci nelle strategie produttive dell’azienda, tuttavia, non possiamo che commentare con voi un’altra succosa notizia relativa al progetto, streammata ieri, nel tardo pomeriggio: una demo di circa 14 minuti, già presentata agli addetti ai lavori alla Gamescom. Anzi no.
No, perché oltre a mostrare e confermare le meraviglie di Cyberpunk il video ha presentato anche un commento da parte degli sviluppatori che hanno sostanzialmente confermato molte delle più che rosee speculazioni (leggi “sogni”) che ci eravamo ritrovati a fare nei mesi scorsi osservando altre preview: un grado di immersività pressoché totale all’interno dell’ambiente di gioco.
Nel corso dell’intervista, gli sviluppatori (per lo più responsabili del level design) si sono soffermati per lo più sull’aspetto della varietà del setting, un argomento non così scontato: come ricordavamo qualche giorno fa, le semplici premesse facevano pensare che l’ambiente di gioco non sarebbe stato altro che un’unica, immensa megalopoli futuristica.
La loro descrizione di Pacifica, il quartiere rivelato all’interno del trailer, ex-località turistica caduta in disgrazia e divenuta ghetto devastato dalle gang, lascia intravedere il fatto che, nel corso di un giro all’interno della città, potremmo ritrovarci davanti a situazioni di gioco e ambientazione completamente diverse col semplice passaggio da un quartiere all’altro. Un fatto che già avevamo intuito, ma che ora sembra concretizzarsi del tutto.
La varietà del setting, però, è solo il primo dei punti affrontati nel corso dell’intervista.
Ciò che emerge da essa, infatti, è una serie di elementi dai quali possiamo cominciare a farci una vera e propria idea di quel che avremo davanti
La volontà del team di creare una sorta di “simulatore di vita in setting fantascientifico” (un’ambizione inedita per CD Projekt, che di fatto con The Witcher si era “limitata” a permetterci di personalizzare l’epopea di un personaggio già caratterizzato) sembra ormai più che confermata.
Nella discussione sono infatti emersi alcuni punti focali della caratterizzazione del gameplay che mirerebbero a proporre su schermo alcuni degli elementi fondamentali della filosofia di Cyberpunk: l’importanza della moda come elemento di riconoscimento identitario, o quello degli innesti e del superamento del concetto di “essere umano” per come lo conosciamo oggi. Innesti che, ricordiamolo, sembrano permetterci di influenzare la realtà che ci circonda.
Il gameplay sembra inoltre ricco di sfumature: dal modo in cui saranno gestiti i danni delle diverse armi all’impatto del netrunning, l’esperienza in game sembra davvero in grado di permettere al giocatore di divertirsi per ore, ore e ore senza stancarsi ma, soprattutto, di vivere la storia a trecentosessanta gradi.
CD Projekt, in altre parole, sembra voler dare al proprio concetto di rpg un taglio assolutamente più totalizzante, grazie a una cura delle possibilità di personalizzazione che lascia davvero ben sperare.
Sperare in cosa?
Speriamo di non essere smentiti, ma potremmo ritrovarci davanti un titolo davvero rivoluzionario, a metà strada fra rpg classico e simulatore di vita in contesto cyberpunk, e se lo mettiamo in relazione con la capacità di CD Projekt di sviluppare trame e setting convincenti, vivi e ricchi di storie da raccontare, beh…
QUANTO DIAVOLO MANCA AD APRILE 2020?!
Scusate, non era professionale, ma…
No, scusate davvero.
Ricomponiamoci e continuiamo.
La storia non finisce qui
Tentiamo di scrollarci di dosso le meraviglie che abbiamo appena visto e letto, e cerchiamo di focalizzare l’attenzione sull’argomento del presente articolo (anche se no, non è facile), ovvero le ultime ipotesi che possiamo fare circa la linea produttiva di CD Projekt per i prossimi anni.
Secondo un documento di relazione destinato agli azionisti del gruppo e diffuso dopo un meeting societario, forte di una serie di ambizioni e di potenzialità che a questo punto appaiono davvero sconfinate, CD Projekt vorrebbe puntare il business del dopo-Cyberpunk (ma Santo Cielo, quando arriva Cyberpunk?!) su un modello produttivo che gli permetta di lavorare contemporaneamente su quelli che, da aprile 2020, saranno due brand forti e fortemente supportati.
Il documento in questione, infatti, non ha solo confortato gli azionisti confermando il fatto che Cyberpunk si stia apprestando a divenire un titolo in grado di ripetere il successo della saga di Geralt, ma ha soprattutto evidenziato come quest’ultima, a tre anni circa di distanza dall’uscita dell’ultima espansione di The Witcher 3, Blood & Wine, sia ancora estremamente remunerativa per l’azienda.
Il risultato di ciò, meno prevedibile di quanto potevamo pensare qualche anno fa, è che CD Projekt sembra ora intenzionata a tornare a lavorare sui Regni Settentrionali attraverso nuovi titoli, lavorando anche, in contemporanea, su altri titoli ambientati nel mondo di Cyberpunk.
E qui la cosa si fa interessante.
Riempire gli spazi, occupare i mercati
La prima buona notizia derivante da questa dichiarazione d’intenti sembra già di per sé in grado di far tremare i polsi, perché lascia intendere che le speranze di molti di vedere un giorno un The Witcher 4 potrebbero infine avverarsi.
In modo più che comprensibile data la mole di Cyberpunk 2077, col tempo ci siamo abituati al fatto che le sorti di Geralt e degli altri personaggi dell’epica saga fantasy potessero essersi concluse dopo le vicende di Blood & Wine.
In altre parole: ci eravamo abituati a ritenere il capitolo The Witcher bello che concluso e il futuro di CD Projekt guardasse altrove.
Ebbene, le cose non sembrano stare così; a quanto pare, il modello sembra piuttosto puntare a occupare, mediante le due saghe, due generi diversi, un po’ come fatto ai suoi tempi d’oro da Bioware attraverso Dragon Age e Mass Effect o da Bethesda con i The Elder Scrolls e i Fallout. A questo punto permetteteci anche un minimo di speculazione.
Per quanto il team polacco e i due colossi statunitensi abbiano dei modus operandi molto diversi, è indubbio che i tre abbiano praticamente egemonizzato il mercato dell’action-rgp che conta divenendo tre attori a tratti anche in contrasto. Dei tre, però, l’unico riuscito costantemente a non cadere mai, e anzi a continuare a collezionare successi senza sbandare, è proprio CD Projekt.
BioWare, purtroppo, sembra essere arrivata a un punto critico, a due passi dalla dissoluzione, Bethesda, dopo il criticato Fallout 76, sembra voler tornare in pista con un TES V che ancora non sembra in arrivo.
Date queste condizioni non appare così assurdo che il loro principale avversario voglia (ri)entrare a gamba tesa nel campo del fantasy, lasciato libero e già esplorato con successo.
Come farlo, però?
Da base a vertice
Al di là delle meravigliose storie che CD Projekt potrebbe regalarci nei prossimi anni (e perdonateci il tono un tantino di parte), forse è meglio fermarsi e spostarsi su un versante un po’ più analitico.
Qualora gli obiettivi dello studio si concretizzassero ed esso riuscisse a costruire ben due serie di successo intervallate e, magari, protagoniste di spin-off che pur tematicamente collegati ai gdr abbraccino altri generi, avremmo davanti un chiaro esempio di uno studiolo nato quasi per caso in un momento felice dell’action rpg, cresciuto attraverso piccoli passi e appoggiandosi con astuzia a brand già forti (prima la saga di Sapkowski, poi la creatura fantascientifica di R. Talsorian Games) e infine arrivata a un passo dalla piena trasformazione in “major” dell’intrattenimento videoludico.
Tanti i fattori: formula azzeccata, periodo giusto, tono maturo, un marketing curato.
Un case study perfetto di come una compagnia nata quasi come indie possa scalare la vetta fino a raddoppiare il suo team e ad avere una rete di contatti internazionali in vari settori dell’intrattenimento.
L’impressione, però, è che il bello inizi ora.
Riuscirà un modello produttivo così autoriale come il loro a ben sposarsi con progetti sempre più ambiziosi e, soprattutto, filiere sempre più complesse? E, soprattutto, per quanto tempo?
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