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Open world dei prossimi anni: mappe più piccole ma più curate

Più formato narrativo che genere, utilizzato tanto da action-aventure come GTA quanto da epici gdr come i Fallout di Bethesda, fin dai suoi esordi l’open world ci ha abituato alla messa in scena di mondi vastissimi e ricchi di ambienti diversi in cui perdersi. Da questo punto di vista, The Witcher 3, definito come uno fra i capolavori assoluti dell’action rpg occidentale, ha dato una prova eccellente donando al giocatore un mondo tanto immenso quanto vivo, con centinaia di locazioni esplorabili. Evidentemente però la vastità degli spazi non soddisfa più i ragazzi di CD Projekt Red, che in una recente intervista hanno affermato che Cyberpunk 2077 avrà una mappa molto più contenuta rispetto al predecessore, ma estremamente più ricca di attività.

La loro scelta detterà un nuovo standard?

Un mondo più piccolo ma più intenso

In un’intervista a Gamesradar, il produttore di CB 2077 (a proposito, qui il nostro report della demo preview alla Gamescom), Richard Borzymowski, ha confermato che Night City, location del gioco, sarà più piccola dei Regni Settentrionali esplorabili in The Witcher 3, ma che ciò sarà bilanciato da una più alta densità di attività. Si tratta di un’affermazione che, tenuto conto delle caratteristiche dell’ambientazione del videogioco e della linea di gdr cartacei a esso collegato, non dovrebbe stupire più di tanto: la maggior parte delle storie di questo setting si svolge fra i vicoli di una città immensa, caratterizzata da tanti diversi quartieri ben caratterizzati. Un elemento che lascia intuire come le location del gioco si svilupperanno quasi sicuramente in altezza, attraverso gli alti grattacieli che caratterizzano ogni mondo cyberpunk.

Avrebbe senso metterle a confronto con la vastità di un classico setting fantasy fatto di montagne, fiumi, laghi e spiagge desolate?
Ovviamente no.

Secondo Borzymowski, infatti, la densità dei contenuti del nuovo titolo sarà molto maggiore rispetto al precedente, e dunque la “piccola” mappa del kolossal fantascientifico finirà per non far rimpiangere assolutamente la varietà alla quale CD Projekt ci ha abituati. Già ci immaginiamo, quindi, tre o quattro locations racchiuse all’interno dello stesso altissimo grattacielo, proponendo al giocatore un’atmosfera di caos e decadenza tipica di opere di questo genere.

Insomma, l’impressione è che, anche per motivi di setting, CD Projekt abbia puntato su un approccio diverso all’open world, premiando più la cura delle singole location che la vastità del gioco, facendo una precisa scelta stilistica e narrativa.
Ciò potrebbe deludere qualche fan?

L’esplorazione di Night City ci porterà via ore e ore, ne siamo certi.

Il fascino dell’immensità: basta questo?

Pensando al successo di titoli come Skyrim o, ancora una volta, The Witcher 3, non possiamo che affermare che esso dipenda in parte da quanto le ambientazioni riescano a soddisfare una domanda in particolare: la ricerca di avventure epiche in spazi aperti, nelle quali perdersi per ore esplorando ogni anfratto possibile. Il viaggio per lande solitarie è, in effetti, uno degli elementi più importanti di questo tipo di giochi, come ha sottolineato ulteriormente Red Dead Redemption 2, amato (e a volte odiato) per la difficoltà e la lunghezza dei suoi spostamenti.

L’esplorazione può essere un vero e proprio arricchimento per l’esperienza videoludica, prima di tutto perché fonte di incontri con minacce, abitanti di quelle zone o eventi che rendono la narrazione viva.

In realtà non sempre quest’idea sembra essere stata confermato. Spesso a immensi mondi di gioco sono risultati poveri di sfide. Insomma, Splendidi scenari da esplorare, e niente più.

Un difetto combattuto da alcuni titoli, come appunto The Witcher 3, il cui successo è stato dovuto anche alla presenza di una mappa ricca non solo di quest, ma anche e soprattutto di eventi e location caratterizzanti: torri maledette, fortini abbandonati, campi di battaglia ricchi di cadaveri raccontavano in modo sapiente il mondo in cui giocavamo. Un piccolo miracolo di storytelling, che puntava a unire gigantismo da kolossal e cura dell’apparato narrativo. La scelta di CB 2077 sembra spingere questa linea ancor più verso questa direzione.

Ma guai a dire che sia un modello al quale tutti i giochi di questo tipo potrebbero dover avvicinarsi.

Open world confrontati: ha ancora senso?

L’impressione, a dire il vero, è che quello della vastità degli open world stia diventando un falso problema.

Potremmo passare ore a mettere a confronto le mappe di GTA V, Red Dead Redemption 2 e Cyberpunk 2077, o il tipo di esperienza che vagare all’interno di esse può darci, ma perderemmo di vista il punto: come dicevamo all’inizio, l’open-world è un elemento ludico ormai innalzato al rango di formato più che di genere o tecnica narrativa, esattamente come possono esserlo, parlando di letteratura, il romanzo o il racconto.

Come essi, infatti, l’open world detta il ritmo, dà la base per lo sviluppo di una storia e di un universo, ma sono poi i singoli autori a decidere come utilizzarli. Se prendi Jerusalem di Alan Moore e Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien ti ritrovi davanti due romanzi mastodontici allo stesso modo, ma estremamente diversi fra loro. Al tempo stesso, un titolo basato in parte sul puro escapismo esplorativo come RDR2, con parecchi “punti vuoti” nella mappa di gioco da riempire con azioni prettamente ludiche come la caccia o la pesca, non avrà mai l’ambizione di costruire un universo di storie coerente e intenso come  quello di The Witcher 3.

Cambiano il mercato di riferimento (generalista e vagamente cinefilo quello di Rockstar, nerd e forse in media un po’ più colto quello di CDPR) e dunque gli obiettivi.

La buona notizia è quindi che l’open world sembra ormai aver raggiunto nuovi stadi di maturità. Quella cattiva è che non in molti potrebbero averlo capito, e dovremo sorbirci noiosi confronti fra mappe di gioco ancora per molto tempo.

Scommettiamo?

>>Leggi anche: [PROVATO + INTERVISTA] Blacksad, un gioiello che rompe col passato<<

 

 

This post was published on 28 Agosto 2019 17:45

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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