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Walmart contro i giochi violenti, ma continua a vendere fucili

La tragica diatriba sul peso dei videogiochi nella diffusione della violenza negli U.S.A. dopo le stragi di inizio mese vede oggi un nuovo, doloroso atto: Walmart, importante catena di negozi al dettaglio statunitense (teatro di alcuni dei fatti di sangue) ha infatti diffuso un memorandum per i suoi dipendenti chiedendo che venga sospesa la pubblicità di “videogiochi violenti” e di qualasi evento a essi legati. Un fatto che svela molto del clima paranoide e conformista di un Paese ancora fortemente conservatore e che potrebbe lasciar intravedere dei fenome sociali molto preoccupanti.

Il fatto: la rimozione dei videogiochi violenti dai Walmart.

La notizia è stata diffusa inizialmente da Vice e poi riportata da altri siti di critica videoludica, sulla base di un post fotografico girato su Reddit nell’ultima settimana: una comunicazione ufficale interna allo staff prescrive infatti ai dipendenti di “rimuovere riferimenti riferiti alla violenza” all’interno dei singoli punti vendita, con particolare riferimento alle pubblicità di videogiochi PlayStation e Xbox, nonché di cancellare qualsiasi evento di promozione di videogiochi di combattimento programmati nelle aree articoli elettroinici.

E questo solo per quel che riguarda il mondo del videogioco: in realtà, il memorandum inviterebbe anche a non proiettare film violenti sui televisori in vendita nei negozi e persino a evitare di trasmettere video sulla caccia, come per una sorta di autocensura che inviti l’azienda a limitare la diffusione di qualsiasi contenuto “crudo” all’interno dei punti vendita.

Uno screen della comunicazione ufficiale incriminata.

Quindi, in pratica, Walmart, dopo le stragi nei punti vendita di Southhaven (30 luglio) ed El Paso (3 agosto), impone ai suoi dipendenti di estromettere la violenza da qualsiasi suo negozio, come per allontanare le tracce di ciò che è accaduto e fare dei negozi una sorta di isola felice, oppure per sensibilizzare in qualche modo i più giovani alle tematiche dell’anti violenza.

Pensateci: avete un negozio che vende (anche) armi, entrano delle persone e sparano all’impazzata uccidendo qualcuno… non sarebbe “umano” mettersi una mano sulla coscienza e tentare di lanciare un segnale significativo contro la violenza, dicendo “Non vogliamo avere a che fare con delle sue rappresentazioni che riteniamo inopportune”?

Tuttavia, è qui che il comportamento di Walmart si fa a dir poco terribilmente ipocrita: il memorandum, infatti, non tocca per nulla un altro settore di vendita della catena, che invece sembrerebbe logicamente più correlato con la diffusione della violenza nella società statunitense. Sapete dirci quale? Bravissimi: le armi da fuoco! Come di norma negli Stati Uniti, i Walmart, in quanto negozi generalisti, hanno anche sempre un fornito reparto armeria, che non viene menzionato all’interno del memorandum. Anzi, secondo quanto riportato da U.S.A. Today, per questa settimana non è prevista nessun cambiamento nella politica aziendale di Walmart per quel che riguarda le armi.

Ora… capite come il tutto appaia, prima che triste, anche fortemente paradossale.

Il contesto: Trump e i capri espiatori

Il singolare provvedimento di Walmart giunge dopo un fatto correlato alle stragi che i più attenti fra i lettori ricorderanno: dopo gli ultimi atti di violenza Donald Trump aveva attaccato il mondo del videogioco indicando certi generi di prodotti come alcune delle ragioni dell’escalation dei primi giorni di agosto,  con una stoccata tanto rapida quanto abbastanza assurda (qui i dettagli):

“Dobbiamo fermare la glorificazione della violenza nella nostra società. Questo include i raccapriccianti videogiochi che sono ora all’ordine del giorno.”

Ora, siamo seri: la crociata di parte della società statunitense contro una rappresentazione della violenza fin troppo presente nei media in un Paese con grandissime difficoltà sociali e atti efferati di cui tutti sono a sono a conoscenza, nonché ormai al centro del dibattito pubblico, non sorprende e per certi versi può anche essere giustificata. Altrettanto giustificata è tuttavia, ovviamente, la rabbia di esperti e communities di giocatori verso una costante e spesso moralistica criminalizzazione del videogioco, che viene trattato come un vero e proprio capro espiatorio di una situazione sociale alla base della diffusa violenza che è molto peggiore di un qualsiasi GTA o altro gioco violento in circolazione.

Lo diceva anche Amerigo nel suo articolo, più sopra linkato: l’assedio dei benpensanti al videogioco non è più una novità, quanto una dolorosa costante della nostra realtà e il videogioco, purtroppo, è ancora visto come una sorta di corpo estraneo, di prodotto pericoloso, ottenebrante, che fa andare le persone fuori di testa e annienta le coscienze.

Non ci stupisce neanche l’enorme ipocrisia del proibire la rappresentazione della violenza e al contempo non provare per lo meno a regolamentare o limitare la vendita delle armi da fuoco nei negozi di Walmart o altrove: d’altronde stiamo parlando di un settore che è a tutti gli effetti una delle industrie più importanti del Paese.

No, quello che colpisce è altro. E’ un fenomeno talmente subdolo quanto circolare. Un fenomeno che potrebbe preannunciare una stagione molto difficile.

Come nasce il proibizionismo?

Disclaimer: chi scrive non è mai stato appassionato del gridare tranquillamente “al lupo al lupo” quando una fazione politica a lui non simpatica compie un qualsiasi atto, soprattutto perché lo reputa un atteggiamento non costruttivo. Tuttavia, stavolta si sente di fare una piccola eccezione.

La cosa veramente grave dell’atteggiamento di Walmart non è tanto l’assurdità nel non toccare “gli scaffali-delle-armi” prendendosela con delle opere d’ingegno umano come i videogiochi, ma nel fatto di aver risposto con un atto di censura moralista a risposta a dei fatti di sangue. In pratica si è ragionato così: una persona nei nostri locali impazzisce e spara a qualcun’altro? Il presidente dice che è colpa dei videogiochi? Via i cartonati di The last of us dai corridoi del negozio, Joel con in mano una pistola incita alla violenza!

Così, senza motivo, fregandosene del contesto in cui sono inseriti i singoli videogiochi, fregandosene dei significati di quelle opere, fregandosene persino delle leggi del mercato (che non dovrebbero tener conto di isterie collettive e cacce alle streghe).

Questo atteggiamento è un campanello d’allarme, poché sembra colpire moralisticamente e acriticamente una forma d’arte perché accusata di veicolare contenuti violenti, e di farlo senza, d’altro canto, affrontare i veri problemi alla radice della violenza.

Quale potrebbe essere l’effetto? Semplice: ancora morti e, per di più, una costante diseducazione di clienti (e cittadini) a relazionarsi in maniera conscia e critica a ciò che comprano, vedono in televisione, leggono. Non si danno loro punti di riferimento. Non si discute costruttivamente con essi. Non si dà possibilità di replica. E uno Stato può fare pressioni nelle politiche di un privato e non trovare resistenza.

Ecco perché quella del provvedimento di Walmart non è una bella notizia, né per i gamers, né per nessun altro.

>>Se sei arrivato fino a qui potrebbe interessarti : Trump se la prende con i videogiochi, di nuovo.<<

This post was published on 9 Agosto 2019 16:16

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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