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Console war: dalla guerra calda a quella fredda?

Nella galassia del videogioco ci sono pilastri che sembrano davvero incrollabili. Ecco, prendete la console war: quasi ventennale, polarizzante, capace di creare folle fomentate e contrapposte di fan come nessun torneo a di picchiaduro potrebbe fare, è ormai divenuta una sorta di rivalità dai contorni bonari. Le parole di Phil Spencer, capo del team XBox, che in una recentissima intervista ha dichiarato che l’obiettivo della console statunitense non è più quello di “eliminare” Sony, sembrano gettare una nuova luce su queste dinamiche.

Semplice dichiarazione di buonsenso o c’è dell’altro?

Le parole di Spencer

Nel suo colloquio con Fortune, fra le tante cose, Spencer ha affrontato l’argomento della rivalità Microsoft e Sony in una maniera che una persona solo superficilmente interessata al mondo del videogioco potrebbe reputare come “folle”.

Signore e signori, mr. Phill Spencer!

Insomma, al posto di un rapporto fra le due multinazionali del gaming basato un conflitto costante basato sulle vendite dei rispettivi device per il gioco casalingo, Spencer ha tenuto a ribadire come fra le due aziende ci sia in realtà un approccio collaborativo: Spencer ha infatti messo in luce come numerosi progetti made-in-Microsoft, in primis Minecraft, abbiano trovato uno sbocco anche sulla console della rivale storica, e messo in risalto il fatto che entrambe le parti utilizzino tecnologie sviluppate dall’altra, a partire dal semplice utilizzo di software e hardware Microsoft da parte di Sony per sviluppare i propri progetti (un’affermazione che comunque, vista la diffusione dei PC Microsoft, fa un po’ sorridere.

Ora, le dichiarazioni di Spencer possono sembrare una semplice volontà di fair play e un tentativo di portare l’intero settore a uno stadio di maggior maturità, eppure almeno due elementi lasciano supporre che il quadro sia molto più problematico, e per entrambe le aziende.

PlayStation e XBox: l’evoluzione di una console war

I gamer più grandi, che potrebbero avere ben presente il momento della nascita di X-Box e, ancor di più, i suoi primi approcci per contrastare PlayStation 2 (allora egemonica) ricordano bene come ai suoi inizi (circa quindici anni fa) la cosiddetta console war si basasse, fra le altre cose, su come XBox permettesse un gaming in media più vicino allo standard qualitativo del PC, all’epoca leader protagonista del settore in maniera molto più forte rispetto a oggi.

Era un mondo completmente diverso dal nostro, un mondo nel quale per esempio le versioni console dei giochi PC erano estremamente più semplificate sia per quel che riguarda la giocabilità che il comparto grafico, e per vedere sul nostro televisore il porting perfetto di un Doom 3 avremmo dovuto attendere ancora un’intera generazione.

X-Box vs PlayStation: dallo scontro al confronto?

La console war nasceva da questo, nasceva da due sistemi di gioco che sapevano già a prescindere di dover puntare su due utenze diverse facendo leva su differenti punti di forza e cavalli di battaglia. Non serve dire che, con lo sviluppo tecnologico e l’avvicinarsi di One e di PlayStation 3, questo dislivello si sia costantemente assottigliato fino a sparire del tutto e arrivare alla forma attuale.

Parlare di console war, oggi, sembra quindi sempre più una questione di brand e di aggiudicarsi le licenze migliori, più che all’offerta di una sostanziale alternativa.

Certo, proprio le licenze e il sottile gioco di posizionamento dei diversi titoli fra le diverse console rendono ancora vivo lo scontro, ma parliamoci in faccia: si va sempre più verso un quadro di “normalizzazione” della competizione, normalizzazione che passa attraverso il dominio pubblico di certe tecnologie. Insomma, proprio perché console war c’è stata, al di là di una ovvimente presente differenziazione delle caratteristiche fra le diverse parti, spesso la ricerca e lo sviluppo di queste features ha portato a un depotenziamento delle differenze, a una ricerca di innovazione talmente imponente da rendere ormai quasi impercettibile il divario tecnologico stesso.

E cosa porta questo? Tra le altre cose, il cross-play.

Sinergie e “sistemi di intrattenimento”

Tanti sono stati  gli hot topic di questo biennio 2018-2019, e fra questi senza dubbio troviamo le costanti notizie riguardanti l’obiettivo di sviluppare giochi che permettessero di mettere in comunicazione e diretta “collaborazione” le diverse console, avvantaggiato da una parificazione delle caratteristiche tecniche dei diversi device.

Paradosso: siamo quindi alle porte di un gigantesco sistema di gaming casalingo basato su un cloud condiviso di titoli, con simili caratteristiche tecniche e destinato sempre più all’unificazione? Non siamo sciocchi: il matrimonio fra Microsoft e Sony non è alle porte e potrebbe non avvenire mai.

Siamo però, forse, alle soglie di una crisi produttiva, generata non solo dall’emergere di nuovi, temibili concorrenti (Stadia?), ma soprattutto da ciò che spesso accade dopo una grande guerra per l’innovazione, ovvero una sorta di livellamento delle tecnologie nel quale è molto meglio e più vantaggioso combattere le proprie guerre attraverso piccole alleanze, sinergie produttive, convergenze tecnologiche, all’interno del quale nessuno si fa (troppo) male e nessuno è veramente in vantaggio.

E il giocatore?
Godrà i frutti di una nuova e splendida età di pace oppure si ritroverà al centro di una guerra fredda spietata nella quale anche la qualità dei giochi risulterà appiattita sotto il peso della mancata ricerca di innovazione e competizione?

>>Leggi anche: 5 videogiochi in cui si elimina la minaccia nazista (escluso Wolfenstein)<<

This post was published on 29 Luglio 2019 17:52

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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