Hideo Kojima non ha certo bisogno di presentazioni. Padre del famosissimo Metal Gear Solid e altre saghe come Zone of The Enders e Boktai e, orfano di Konami, autore del tanto atteso Death Stranding. Il Maestro è stato ospite del Comic-Con di San Diego dove, oltre a mostrare la box art definitiva del gioco ha rilasciato numerose interviste. Interessante, e perciò oggetto di questa analisi, il suo punto di vista su un genere che sta spopolando negli ultimi due anni: il Battle Royale.
In seguito alla fondazione di Kojima Productions avrei potuto guadagnare soldi facilmente grazie alla realizzazione di un gioco in cui tutti gli utenti si trovano su un’isola e si sparano tra di loro, ma questo non è quello che voglio fare.
Come potevamo già immaginare Hideo Kojima non apprezza il battle royale e lo fa tramite una velata citazione a Fortnite. Una risposta, la sua, accolta da applausi e ammirazione da parte di un pubblico che sinceramente inizia a stancarsi di questo genere. È giusto però spiegare il suo punto di vista e contestualizzarlo perché dietro le sue parole non c’è un semplice shaming ai battle royale, ma un discorso molto più profondo che mette in bilancio il planning, l’introito e la creatività. Prima di tutto specifichiamo: non ce l’ha specificatamente con il gioco di Epic Games, Playerunknown’s o qualsiasi altro competitor, ma proprio con questa tipologia di titoli “acchiappasoldi”. Perché si, è innegabile che giochi del genere generino enormi profitti.
Fortnite è attualmente il maggior introito della compagnia, nonché il suo ‘salvatore’ dato che il fallimento del progetto Paragon l’ha mandata sull’orlo della bancarotta. È stato giocato e continua ad essere giocato da milioni di utenti che si avvicinano al titolo per la sua natura free to play ma spendono, in media, più di 100 dollari l’anno per skin e cosmetici di ogni tipo. Anche altre compagnie, rincorrendo il successo di Fortnite, hanno inserito in modo forzato la battaglia reale nei loro titoli ma i risultati non sono stati sempre i medesimi. Forse qualcuno ricorderà, ne ho già parlato in un articolo dedicato a Fallout 76 di cui questo è, in parte un seguito. Facciamo un breve esempio con Apex Legends: il battle royale di Respawn Entertainment, studio di Electronic Arts, poteva essere l’Anti-Fortnite, ma dopo un mese è già sceso giù dal podio. Si, certo, ciò che ha fatturato ha permesso comunque alla compagnia di rimediare ai grossi errori degli ultimi anni ma attualmente, aprendo Twitch il re indiscusso rimane Fortnite.
Cosa contraddistingue questo titolo? Come mai la modalità Blackout di Call of Duty Black Ops IIII o quella “pezza” chiamata Nuclear Winter inserita in Fallout 76 non hanno raggiunto il medesimo successo? Non si parla di capitale investito, certo, la realizzazione di un battle royale è dispendiosa, ma, come abbiamo visto Epic Games è riuscita a reinventarsi, con una modalità inizialmente concepita per essere “secondaria”, in un progetto che non richiedesse chissà quale budget. Il segreto di Fortnite risiede in primis nel placement, in secundis nel planning.
Per il primo punto parliamo anche di fortuna: pochi titoli avevano questa feature della battaglia reale. Epic ha avuto l’abilità di migliorare il concept e semplificarlo rendendolo appetibile anche ai più giovani in modo da favorirne la diffusione. Una volta conquistato (facilmente) il mercato perché non ancora saturo l’unico modo per mantenere in vetta il titolo è garantire periodicamente nuovi contenuti. Ed è qui che passiamo al secondo punto: Fortnite è l’unico che a differenza degli altri titoli riesce a mantenere sempre “fresco” il suo gioco e lo fa tramite nuovi eventi, nuovi cosmetici e accordi con compagnie, anche cinematografiche per inserire in-game i personaggi del momento. Un altro merito di Fortnite è anche quello di essersi diffuso praticamente su tutti i device disponibili (altro che Skyrim!)
Insomma, inutile inseguire un mostro del mercato se questo è già avanti per placement, pubblico e capitale da investire nella seconda fase. Per questo ho detto di fare attenzione alle parole di Kojima: lui non vuole dire che fare un battle royale sia semplice, serve altresì molta esperienza, che senza alcun dubbio, lui ha. Per questo avrebbe facilmente potuto creare un battle royale, ma al contrario, secondo lui:
Non c’è motivo di creare qualcosa che c’è già. Io voglio creare qualcosa che dia più ispirazione al mondo.
Il concetto di facilità risiede nell’ambito artistico di questo tipo di gioco. Proprio l’altro giorno parlavamo di arte e videogiochi. Ebbene, il battle royale è l’antitesi della creatività, è l’esempio più eclatante di come oramai il mercato tenda solamente a puntare al profitto. A testimoniare quanto detto, si legano altre pratiche come l’utilizzo di microtransazioni per spillare denaro dai nostri portafogli. Lui si dissocia da tutto questo ritenendola inoltre una grande minaccia per il nostro medium preferito. È la creatività che ci fa andare avanti, non solo nel medium videoludico ma anche nella vita.
La creatività è la cosa che ci fa andare avanti. Viviamo in un’era in cui la creatività è determinata dagli algoritmi: è diventata quasi qualcosa di insignificante. È importante dare una risposta a tutto questo.
Personalmente, sul tema, non posso che pensarla allo stesso modo di Hideo. Attenzione però, non prendete il mio punto di vista come il pendere dalle sue labbra. Mi piacerebbe approfondire un discorso che si collega a quanto appena detto riguardante lo streaming e la creatività.
Sempre nelle interviste, Kojima ha parlato dei possibili scenari futuri riguardanti l’industria videoludica soffermandosi sullo streaming. E’ infatti convinto che non solo sarà determinante, ma che porterà addirittura ad una rivoluzione che farà convergere sempre di più il cinema e i videogiochi.
Nei prossimi anni, videogiochi e film si avvicineranno e diventeranno sempre più simili. Penso, dunque, che ci stiamo avviando in un’era di infinite possibilità. […] Nei prossimi cinque anni cambierà tutto: film, musica, videogiochi, il loro metodo di distribuzione e condivisione, cambierà decisamente in termini di arte.
Sappiamo tutti che Hideo è un grande appassionato di cinema e si ritiene regista al 70%. Concepisce i videogiochi come arte, come giusto che sia, ma ricordiamoci, caro Maestro che è bene distinguere le cose: videogiochi troppo simili a film, con poca interazione sono, a mio avviso e a quello di molti, “limitati”. È bene preservare l’aspetto fondamentale chiamato “gameplay”.
Non si tratterà più di interattivo o non interattivo, esisterà anche qualcosa nel mezzo.
No Kojì, non ci siamo: hai il massimo del mio rispetto e della mia ammirazione ma qui direi che è giusto lasciare ai due medium la loro rispettiva identità, “videogiochi” e “cinema”. Si, magari è utile che talvolta entrino in contatto. Le cutscene sono un classico esempio di “comunione” videogiochi-cinema ma resta pur sempre un “contatto” dato che queste non durano più di dieci minuti, di solito, *coff* *coff* Metal Gear Solid 4 *coff* *coff*. Inoltre non definirei gioco quel “qualcosa nel mezzo”. Che poi, esiste già da anni: stai probabilmente parlando dei dvd game oppure dell’”esperimento” di Netflix Bandersnatch. Pur tuttavia non sono e mai saranno giochi.
Mi piacerebbe davvero tanto avere una sua risposta in merito, Maestro, perché forse è l’unico punto di vista che non condividiamo. Ciò non significa che non l’apprezzi come game designer: infatti, non vedo l’ora di provare Death Stranding, che ricordiamo, verrà rilasciato nei negozi e sul PlayStation Store il prossimo 8 novembre come esclusiva PlayStation 4.
This post was published on 24 Luglio 2019 15:57
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