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Piogge acide e riscaldamento globale, il futuro di Cyberpunk 2077 non è così lontano

Cyberpunk 2077 è senza dubbio uno dei giochi più attesi e chiacchierati di questi mesi, grazie alle sue gigantesche ambizioni che promettono di portare l’action-rpg in una nuova dimensione, un fatto che sta spingendo i giocatori a tenere nota dei giorni che mancano al day-one. Le notizie sono tante, riguardano tutti gli ambiti del nuovo titolo e fanno venire l’acquolina in bocca a tutti gli appassionati, certo, ma ciò di cui siamo sicuri è che riuscirà ad affrontare il suo genere tematico in maniera matura, come hanno potuto fare Blade Runner o i romanzi di Gibson. Un’ulteriore notizia ci dà la conferma di questo: a influenzare le nostre giocate non ci saranno soltanto nemici mortali e dilemmi morali, ma anche un nemico molto insidioso, che ha già fatto capolino nel videogioco in passato (come vedremo), devastante e purtroppo ineluttabile. Di cosa stiamo parlando? Semplice: riscaldamento globale.

Anno 2077: un mondo malato

Alcune delle immagini più belle ed evocative di uno dei film dai quali Cyberpunk (sia il gdr che il videogioco in uscita) si rifà, Blade Runner appunto, mostrano una Los Angeles costantemente vittima di piogge incessanti, che donano al film un’ambientazione malinconica, sporca, “malata”.

Anche se non lo sappiamo di certo, possiamo immaginare che quelle rappresentate da Ridley Scott fossero in realtà piogge tossiche, in grado di rendere la città un posto non piacevole e ricco di problemi sociali, a testimoniare quanto il futuro immaginato dal regista sulla base del romanzo di Philip K. Dick fosse il nostro futuro: il film, prodotto nel 1982, si inseriva in un clima storico e sociale nel quale il fenomeno del disastro ambientale cominciava a essere osservato con preoccupazione dall’opinione pubblica.

Il fatto che Cyberpunk 2077 omaggi quelle atmosfere introducendo effetti climatici che possano portare danni alle persone non ci sorprende, quindi: secondo Alvin Liu, di CD Projekt RED, il team sarebbe al lavoro su come implementare le dinamiche dell’inquinamento all’interno del gioco.

Le iconiche piogge di Blade Runner (1982) sono un tetro monito: il “mondo del futuro” appariva già tetro e condannato al disastro.

Quando il gioco si fa duro

Va da sé quindi che non ci sia niente di innovativo nella feature in sé: quante volte, nella nostra vita di videogiocatori, abbiamo visto i nostri alter ego soffrire passando in fogne radioattive, laboratori in cui erano stati rilasciati gas tossici o cose del genere?

Certo in questo caso le cose sono in scala molto diversa: immaginare la popolazione di Night City correre al riparo da una pioggia acida e fare i conti con le sue conseguenze sarebbe davvero interessante e darebbe l’idea di ritrovarci in un mondo ormai in decadenza, distrutto, in cui l’aria che respiriamo è veleno. Per la verità, anche questo tipo di “impatto sociale” dell’inquinamento atmosferico ha avuto più di una rappresentazione ludica nel corso degli anni; basta avventurarsi nelle waste land in un qualsiasi Fallout per cominciare a sentire il nostro rilevatore di radiazioni segnalarci il grado di tossicità dell’aria e la nostra salute peggiorare vorticosamente.

Fallout 4 e le sue tempeste radioattive.

Se ci pensiamo, il videogioco, per il suo carattere fortemente simulativo/interattivo, è anche il medium teoricamente in grado di incidere di più sull’utente, tanto è vero che, anche all’esterno del piano strettamente ludico, non è certo insolito trovare delle esperienze virtuali con l’obiettivo di far provare al fruitore esperienze particolari (per esempio tanti sono i musei, soprattutto esteri, che utilizzano il VR per “spiegare” al visitatore inquinamento e altre tematiche). Una caratteristica dalle notevoli possibilità, che teoricamente può fare quello in cui spesso film o libri hanno fallito: sensibilizzare.

Un’estetica inconfondibile.

Blockbusters e politica: legame difficile?

L’impatto dei fenomeni ambientali nelle dinamiche ludiche, specie con valore informativo/sensibilizzatorio, è aumentato sensibilmente negli ultimi anni, soprattutto per quel che riguarda gli indie games: Sea of Solitude, uno dei titoli più autoriali dell’ultimo periodo, è ambientato in un mondo sommerso, con punte di grattacieli che emergono dall’oceano, mentre il gameplay di Sandcastles (che consiste nel costruire castelli di sabbia in riva al mare, salvo poi venire distrutti da improvvise mareggiate) è considerato una sorta di metafora dell’impatto dei cambiamenti climatici sull’umanità (per approfondire c’è questo bell’articolo di Rock paper shotgun, che parla di “climate crisis game”). Inoltre, anche uscendo fuori dalla tematica del cambiamento climatico, la lista di titoli “piccoli” in grado di portare a una riflessione è lunga, basti pensare a This war of mine.

Rimane da capire come invece i kolossal tripla A possano compiutamente “dare una mano” da questo punto di vista. Il legame fra “temi seri” e videogioco, come abbiamo visto negli scorsi giorni, è molto complesso e sfaccettato, e spesso l’industria non sembra interessata a prendere posizioni “scomode”.

Cyberpunk 2077, però, dà idea di poter tentare un approccio diverso: già la saga di The Witcher riusciva, pur tenendola sullo sfondo, ad affrontare una tematica sociale purtroppo molto attuale come la discriminazione. Capire oggettivamente quale sia l’impatto di questo tipo di utilizzo di temi “politici” sui giocatori è difficile, ma siamo sicuri che la sua Night City non sarà un posto ideale in cui vivere, e siamo sicuri che potrà darci tanto spunti di riflessione su come forse il futuro delle nostre città potrebbe essere già segnato.

>>Leggi anche: Retro Release | I migliori videogiochi rilasciati nel 2004 <<

This post was published on 19 Luglio 2019 16:01

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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