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Sì, si può giocare a Skyrim con Alexa (e non solo a Skyrim!)

Fino a tempi recentissimi, siamo stati portati nel vedere nel concetto di “videogioco” un prodotto tecnologico basato sulla dimensione visiva, in grado di portarci in universi narrativi che sono, prima di tutto, “rappresentati” attraverso una grafica sbalorditiva e sorretti da un gameplay che impegna le nostre mani come unico strumento per controllare il nostro PG. Una concezione classica di videogioco, ormai consolidata e reputata non modificabile, ma una tecnologia ormai nelle case di molti utenti e considerata un mero facilitatore delle nostre vite sembra destinata a diventare un nuovo, straordinario metodo di gioco: l’assistente vocale.

Non ci credete? Beh, state a sentire, vi raccontiamo una storia!

Giocando Skyrim senza vederlo (e senza joypad!)

Ora, se vi dicessimo che esiste una versione di The Elder Scrolls V: Skyrim (a proposito, già letto della modalità esplorazione?), uno dei kolossal videoludici del decennio che si sta per concludere, che non richiede né televisorejoypad per essere giocata… non ci credereste, vero?

Insomma… parliamo di uno dei videogiochi che fatto leva sull’impatto grafico, sulla vastità del mondo di gioco, sul concetto di immersività in un universo narrativo perfettamente ricostruito e tangibile.

Eppure credeteci: quella versione esiste.

Skyrim – Very special edition è una skill (vale a dire un’applicazione) di Alexa, l’assistente vocale/intelligenza artificiale per la casa di Amazon, che permette di affrontare il nostro destino di dovahkiin come se fosse una sorta di audio-librogame (passateci il termine).

Visto? Esiste! Esiste! Esiste!

Uscita lo scorso anno, la skill ripropone l’epica avventura Bethesda del 2011 attraverso una vera e propria modalità dialogica fra il giocatore e l’intelligenza artificiale di Amazon. In pratica, l’utente e la macchina comunicano fra loro in una costante ottica di domanda-risposta, attraverso la quale possiamo inoltrarci in Skyrim e affrontare il nostro destino scegliendo la via migliore.

A essere precisi, quindi, più che il librogame questa modalità di gioco ricorda più una di quelle avventure di gioco di ruolo pensate essere giocate dal master assieme a un solo giocatore, molto diffuse negli anni ’80-’90 e poi accantonate col passare delle edizioni di D&D.

Alexa è quindi il nostro narratore, il complesso mondo di gioco di Skyrim e tutte le sue main e subquest costituiscono l’enorme manuale di campagna da cui l’assistente digitale deve trarre spunto per le sue narrazioni e il sistema di gioco è, com’è chiaro, il gameplay sviluppato da Bethesda, ma portato a una dimensione basica (la risoluzione degli scontro è basata sui punteggi caratteristica del nostro personaggio, dunque buona parte della sfida sarà nel confronto a tavolino fra i valori del nostro PG e la difficoltà degli scontri decisa dai programmatori, come in certi giochi diceless). Una modalità di gioco dalle conseguenze straordinarie.

Skyrim non è più (solo) come lo abbiamo conosciuto, ragazzi!

Ascoltando e giocando un racconto

Nell’esperienza di questa particolare versione di Skyrim, dunque, la dimensione “visiva” del gioco è totalmente assente, e le uniche tracce dell'”originale” sono la colonna sonora, alcuni suoni ambientali e, ovviamente, componenti come le abilità del giocatore, che ovviamente sono sviluppate sulla base dell’originale.

A “sopravvivere” a questo straordinario porting è però soprattutto l’intelligenza artificiale che muove il mondo attorno a noi, che dà noi le quest, che pone di fronte a noi le prove.

In pratica, il potenziale narrativo del gioco originale è “riassunto” all’interno della capacità di Alexa di raccontare una storia. Siamo di fronte a un vero e proprio paradosso: uno dei più sofisticati racconti videoludici di qualche generazione fa racchiuso all’interno di una dimensione di narrazione estremamente arcaica, quella del racconto orale.

In realtà, Skyrim-Very Special Edition non è l’unico gioco narrativo che Alexa può sottoporci. Lo stesso principio master-giocatore è infatti riscontrabile in varie altre skill. Qualche esempio: Magic Door, che pur non avendo lo stesso brand forte alle spalle si basa sullo stesso principio di “racconto partecipato”, così come la serie Dungeon Adventure (basata sulle atmosfere delle prime edizioni di D&D) o The Wayne Investigation, che ci porta nel mondo di Batman.

 

“Alexa, ‘sto drago m’annoia, scannalo!”.

Ridefinendo il videogioco

Potenzialmente, una modalità di fruizione del genere può essere quasi rivoluzionaria. In questo momento storico del videogioco la dimensione narrativa sembra essere sempre più fondamentale e ad avere molta importanza per il giocatore sembra essere sempre più la capacità di poter influenzare in maniera forte il mondo di gioco e il racconto. In questa cornice, la componente grafica può essere una vera e propria briglia per i programmatori, che sono costretti a limitare le possibilità del giocatore per far fronte agli altissimi sforzi e costi che le cutscenes e persino una quantità eccessiva di storyline possono generare.

Un gioco basato sull’oralità (e, dunque, sull’immaginazione) potrebbe dar vita a prodotti in grado di ridefinire il concetto di videogioco, con un’assistente artificiale in grado di improvvisare sempre nuove sfide e di rispondere in maniera sempre più creativa e improvvisata al bisogno di nuove sfide da parte del giocatore. Potrebbe anche, persino, ridefinire lo standard di longevità.

I problemi però sono molteplici. Anzitutto, occorre capire quanto veramente un’intelligenza artificiale di questa generazione possa creare una narrazione coerente e realmente in grado di affrontare le varie richieste del giocatore, anche le più assurde (ma crediamo che questo sia un limite superabile, un giorno).

In secondo luogo, potremmo dover ridefinire anche la “categoria videogioco” in toto. Può per esempio un prodotto inattivo, privo di rappresentazione grafica essere accettato come videogioco? I giocatori sarebbero abbastanza maturi da rinunciare alle componenti più “spettacolari” se questo volesse dire maggior libertà di scelta all’interno della dimensione ludica?

Crediamo sarà difficile, in un momento storico in cui l’immagine è sempre più (onni)presente e ancora estremamente ancorato ai ritmi del racconto cinematografico, ma alcuni segnali, come il ritorno preponderante dei librogame, lasciano pensare nuovi sviluppi: il racconto orale può tornare preponderante?

 

>>Leggi anche: Verso un videogioco digitale privo di chiave d’attivazione<<

 

This post was published on 15 Luglio 2019 17:25

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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