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Verso un videogioco digitale privo di chiave d’attivazione

Nel corso degli ultimi giorni abbiamo ampiamente discusso di un argomento: G2A sta attraversando un periodaccio dove viene mostrato come esempio negativo per un grandissimo numero di fatti diversi. Il rivenditore online di chiavi sembra fare pubblicità ai propri prodotti in modo eccessivamente aggressivo, sembra provocare più grattacapi che vantaggi ai suoi utilizzatori e sembra abbia anche qualche problema riguardante la disciplina dei suoi funzionari.

G2A, come Kinguin, come Instant-Gaming e moltissimi altri condividono il medesimo sistema di funzionamento: all’interno di tali bazaar gli utenti possono vendere, a prezzi da loro scelti, delle chiavi di gioco che concedono all’acquirente di riscattare la licenza d’utilizzo di un titolo su di una data piattaforma.
Se esistono queste forme di compravendita in grado di danneggiare (in qualche modo) l’industria lo si deve al mezzo scelto: le chiavi sono facilmente scambiabili e rappresenta una merce preziosa per un grande numero di business.

Ci sono dei publisher che però stanno provando a cambiare le carte in tavola con una nuova serie di tecnologie; queste ultime potrebbero portare ad un mondo videoludico futuro privo di chiavi d’attivazione.

Una chiave per domarli e al computer incatenarli.

Durante il mese di Maggio Ubisoft fece un annuncio che passo più o meno in sordina ma che rappresenta un buon punto di base per il nostro discorso: l’azienda avrebbe venduto videogiochi unicamente attraverso negozi di terze parti (come Fanatical, per citarne uno) dotati della Silent Key Activation, una metodologia attraverso cui il giocatore non ha bisogno di copincollare chiavi di gioco sui vari client.

Più nel dettaglio tale tecnologia è stata spiegata da Matt Murphy di Genba in un’ intervista a gamesindustry.biz. All’acquisto di un videogioco l’utente, invece di ritrovarsi una chiave di gioco da inserire nel proprio store, si trova un pop up attraverso cui vengono richiesti i dati d’accesso di un account Uplay; una volta loggati all’interno del proprio account si avrà il titolo in libreria, esattamente come se qualcuno lo avesse acquistato dallo store interno. Le chiavi di licenza essenzialmente sono ancora lì ma sono nascoste dalle interfacce utente dei client e dei siti, non permettendo agli utenti di farne ciò che vogliono.

Tale tecnologia è stata adottata da Ubisoft come rimedio ai sopracitati problemi del circuito dei rivenditori di chiavi.

L’azienda francese non sembra essere l’unica a percorrere la strada per un futuro privo di chiavi d’attivazione; anche Epic Games, secondo quanto scritto nella sua Roadmap disponibile su Trello, sta lavorando attivamente per risolvere il problema attraverso la collaborazione con Humble Bundle, finendo per utilizzare una tecnica d’attivazione non molto diversa da quella che publishers come Activision Blizzard utilizzano già con la piattaforma.

Nell’assurdo caso in cui tutte le piattaforme dovessero passare a simili tecnologie ci ritroveremmo in un futuro privo di chiavi d’attivazione visibili al pubblico, un mondo dove siti come G2A non avrebbero la materia prima che fa continuare le loro attività. Senza chiavi da scambiare non potranno esserci truffe o problema del genere.

Il problema delle chiavi corre in modo parallelo a quello delle prezzistiche legate ai bundle, agli sconti e alle offerte.

Le prezzistiche delle chiavi che troviamo sul web sono generalmente collegate a due principali parametri: le offerte lecite che è possibile trovare in giro e le regole che circondano i prezzi dei titoli, consultabili a questo indirizzo.

Quando un publisher vende a terze parti un suo titolo ad un prezzo scontato, quella stessa tipologia di sconto andrebbe effettuata su steam entro un ragionevole ammontare di tempo. Inserire il proprio videogioco in un bundle significa che si è intenzionati a portare su Steam il titolo ad un prezzo unitario simile a quello della raccolta.

ragionevole ammontare di tempo, intenzionati a scontare, prezzo presupposto; tutte locuzioni che non danno indicazioni precise sulle regole da rispettare e che hanno permesso la creazione di un ecosistema sfruttabile per poter ottenere denaro in modo illecito.

PCGamer porta l’esempio di Metal Gear Solid 5: The Deefinitive Experience: l’ultimo titolo di Kojima per Konami è disponibile su Steam per una trentina di euro, sulla stessa piattaforma in caso di sconti è possibile trovarlo a poco più di dieci dollari mentre sui soliti siti noti è possibile trovare qualche chiave per 9$; queste chiavi da nove dollari, comprate in modo lecito durante un bundle (plausibilmente l’Humble Monthly di Dicembre 2018) rappresentano il modo migliore per acquistare il titolo e rappresentano un qualche tipo di problema per Konami.

In un mondo senza chiavi questo non sarebbe mai potuto accadere.

Colpa delle chiavi o colpa del liberismo?

Può esistere un mondo senza chiavi o è meglio combattere l’attuale realtà liberista in altri modi?

Secondo molti sviluppatori indipendenti togliere le chiavi di gioco dai vari store potrebbe non essere la soluzione ai problemi del caso; togliere le chiavi dona una serie di passaggi in più agli utenti che potrebbero scoraggiarsi davanti a registrazioni e login di vario genere, abbassando eventuali vendite e complicando ancora di più la situazione economica dei piccoli studi di sviluppo; questa frizione tra l’utente ed il raggiungimento del suo obbiettivo (il possesso della licenza di un titolo) è un ostacolo non affrontabile da tutti.

Secondo Dave Oshry, co-found di New Blood, i ricavi che si ottengono posizionando volontariamente le proprie chiavi di gioco all’interno degli store come G2A e compagnia non giustificano lo sforzo.

“Sinceramente non sò quanti ricavi vengono per un publisher dalle vendite su siti di quel genere ai giorni nostri. Io ignoro sistematicamente tutte le richieste che mi vengono fatte da tali siti e lavoro unicamente con tre store: Steam, Humble e GOG. Non ho davvero alcun interesse nell’inserire i giochi della mia compagnia in un qualsiasi bundle o in un qualsiasi sito che poi rivende le chiavi per fare qualche centinaio di dollari in più ogni tre/quattro mesi. Se qualcuno vuole i nostri giochi ha due scelte: o va su uno degli stori sopracitati come un utente responsabile o li pirata in caso di assenza di soldi; almeno piratando evita di supportare siti come G2A”.

Di opinione decisamente diversa è il CEO di TinyBuild (lo stesso publisher che denunciò G2A per lo scandalo delle carte di credito rubate).

“I siti che propongono i bundles e i siti di rivendita delle chiavi generano un grande quantitativo di ricavi per noi; dipende semplicemente da come ti poni nei confronti di queste pratiche. A nostro parere ci sono titoli per cui ha senso vendere le chiavi su tali siti, come nel caso di videogiochi multigiocatori che hanno bisogno di una nuova iniezione alla community. Se hai un videogioco multigiocatore privo di giocatori una buona strategia per farlo rinascere è quella di generare un grande numero di chiavi e inserirle all’interno di bundles o iniziative simili; così facendo, pur non ottenendo soldi, otteniamo nuovi giocatori per i nostri titoli. Speedrunners (uno dei nostri titoli) è stato inserito in bundles, all’interno di sconti particolari, all’interno di iniziative e giveaway e al giorno d’oggi, a causa della sua grande community ancora riesce a fare numeri per noi interessanti; per questo crediamo che ne sia valsa la pena”.

Di opinione simile è Alan Wilson di Tripwire: i bundles non ti fanno fare molti soldi ma sono un ottimo modo per ridare vigore ad un titolo multigiocatore. Non ci è dato sapere se in un mondo senza chiavi sarà possibile rinvigorire una community a causa dell’economicità di un titolo ma è lecito pensare che sarà sicuramente più difficile di oggi.

Portare l’ecosistema al collasso cosa provocherà?

Le chiavi sono parte integrante dell’industria da molto, moltissimo tempo e sono al giorno d’oggi uno degli strumenti più importanti e potenti nelle mani di sviluppatori, utenti e aziende. Se Valve (viste le dimensioni del suo mercato) decidesse di virare verso un mondo privo di chiavi i problemi potrebbero essere più grandi del previsto.

A dirlo non sono io ma David Martinez, co-founder di Raw Fury che ai microfoni di PcGamer ha dichiarato di vedere un mondo del gaming privo di chiavi come privo di moltissimi altri attori interessanti.

“Se Steam decidesse mai di abbandonare per sempre il mondo delle chiavi e di abbracciare un sistema di registrazione privo di esse sarebbe davvero la fine per un era della distribuzione digitale. Questo finirebbe per essere un problema per un grande numero di portali che basano praticamente tutto il loro indotto sulla vendita di tali chiavi, portali che acquistano legalmente tali giochi e che si ritroverebbero a dover cambiare in fretta e furia il loro principale fornitore. Questo potrebbe far morire tante aziende che fanno lavoro onesto ma potrebbe anche ammazzare un colosso come G2A (che onestamente non mi mancherà troppo).”

Per il CEO di Tinybuild la situazione è invece diversa: non sappiamo se un mondo senza chiavi sia possibile ma sappiamo che prima o poi Valve farà qualcosa in merito perché al le key videoludiche hanno dei costi che potrebbero essere contenuti e che potrebbero portare a ricavi maggiori in caso di ottimizzazione.

Perché le chiavi hanno avuto successo?

Sul cd più in alto è possibile notare una targhetta su cui è scritta una chiave di attivazione (già utilizzata, non fate i furbacchioni) che si usava per connettere Diablo 2 alle vecchie versioni di Battle.net

Ma come siamo arrivati al mondo videoludico odierno, dove il digitale è praticamente sempre collegato alla presenza di chiavi alfanumeriche da isnerire all’interno di un Client?

Valve con Steam ha dato un’ importantissimo boost a questa pratica, altrimenti già attiva ai tempi dei primi titoli Blizzard, durante i suoi primi vagiti di vita. I primi anni del videogioco digitale attuale erano in realtà ibridi: acquistando un titolo dal proprio rivenditore di fiducia, insieme al manuale di istruzioni e al DVD contenenti i file necessari c’erano le istruzioni legate alla creazione di un account steam e c’erano i riferimenti della chiave di gioco che andava successivamente registrata.

Questo forzava il giocatore a creare un account di Steam a cui poi veniva associato un valore sempre crescente, in base al numero di giochi registrati; Valve puntava a fidelizzare un’ utenza ancora priva di idee su ciò che stava facendo al fine di mettere le basi per quella che al giorno d’oggi è la più variegata community del gaming moderno.

This post was published on 14 Luglio 2019 2:21

Graziano Salini

Perennemente alla ricerca di legami tra argomenti distanti tra loro, con una certa predilezione per musica e videogiochi. Faccio il possibile per fare in modo che ci siano meno errori di concetto possibili sugli articoli di Player.it, grande fan degli errori grammaticali invece, quelli fanno sempre ridere. Quando non sto amministrando questo sito lavoro mi occupo di spiegare cose difficili in maniere semplici su altri siti, su tematiche molto meno allegre dei videogiochi.

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