Come i lettori accaniti Player sapranno, lo streaming videoludico è senza dubbio uno degli hot topic del 2019: abbiamo parlato dei servizi più importanti in uscita, primo fra tutti Stadia (qui i contro e qui i pro), così come del ruolo che avrà questa tecnologia secondo dei giganti del settore e, inoltre, di come in futuro lo streaming potrebbe avere una vera e propria “funzione culturale”. Quello in cui ci inoltreremo oggi, però, è un discorso leggermente diverso. Alcune ultime notizie giunte da Nintendo e Microsoft testimoniano infatti come alcune caratteristiche di alcuni dei player di video on demand siano ormai entrati a far parte del DNA di fruizione del mercato del videogioco. Che effetti possono avere?
Queste notizie, arrivate da due “fronti” opposti, sono iniziate a circolare nelle ultime ventiquattr’ore dalla stampa internazionale, cosa che ci ha sorpreso non poco. Intendiamoci, come vedremo sono notizie all’apparenza innocue, che riguardano novità che non impatteranno nettamente sull’esperienza di gioco, ma che secondo noi costituiscono due segnali importanti per testimoniare come il rapporto del videogiocatore con i titoli di cui fruisce.
La prima: stando a ciò che scrive Eurogamer, Microsoft si sta preparando a introdurre una funzione chiamata “gioca più tardi” all’interno del menù di Xbox Game Pass. In pratica, l’utente che spunta quest’opzione decide di attivare un reminder grazie al quale, in un secondo momento, gli arriverà una notifica per ricordargli che ha quel titolo di suo interesse da giocare. Ora, state attenti… in quale altro ambiente digitale fate una cosa del genere?
Uh, quante risposte: YouTube! In YouTube la funzione “guarda più tardi” ti permette di skippare temporaneamente un video e vederlo più tardi, in modo da recuperarlo nei momenti di maggiore calma.
La seconda notizia dalla quale scaturisce la riflessione di oggi è che che nei prossimi giorni Nintendo introdurrà una funzione “rewind” all’interno dei titoli NES distribuiti sullo store Switch, in grado di permettere di “riavvolgere il gioco nei momenti più complessi. Insomma: avete preso male la mira e state per finire in un dirupo col vostro Mario? Keep calm! Basterà premere il bottone giusto e riavvolgere il gioco fino a qualche istante prima e ritentare.
Dove l’ho già sentita, aspetta, aspetta… vabbè, chiaro: in un qualsiasi servizio di streaming, Netflix in primis, abbiamo una funzione avanti/indietro.
Come dite? Sono due “non notizie”? Non vi cambia nulla?
Oh certo, non cambia nulla, non impattano così tanto, sono due funzioni quasi “estetiche” introdotte probabilmente per coccolare ancora di più i giocatori e rendere l’esperienza più morbida e piacevole. Chi non vorrebbe avere una lunga lista di titoli da provare e metterli in una sorta di wish list che scala automaticamente ogni volta che terminiamo un gioco o facciamo una partita?
Uno dei fattori di successo di Netflix, oltre all’immensità dell’offerta di film e serie televisive, è senza dubbio l‘interfaccia, che ha reso possibile un nuovo rapporto utente-titolo e sviluppato nuove modalità di fruizione, fra i quali il binge watching. Il piccolino di Red Hastings, così come Amazon Prime Video, hanno di fatto permesso a milioni di utenti di passare da un Fast & Furious a un film di Kubrick sino ad arrivare a una commedia all’italiana nel giro di pochi istanti e senza fare ricerche su internet.
L’interfaccia utente ha quindi “formato” lo spettatore, permettendogli di personalizzare all’infinito la propria esperienza. Sono funzioni che troviamo anche all’interno di Playstation Now, e che probabilmente troveremo anche in Stadia, e che l’accesso dell’utente a un’immensità di titoli nel modo che più lo aggraderà: un giorno potremmo passare dal Mario che abbiamo apprezzato da piccoli al nuovo episodio di una saga, appena uscito, nel giro di pochi istanti, andando verso una fruizione nella quale il gioco non sarà più tanto “gioco”, ovvero “prodotto” tangibile al di fuori dello schermo, quanto un titolo su un’interfaccia.
Quando la scorsa settimana abbiamo pubblicato il nostro articolo sul rapporto fra store digitali e videogioco, riflettendo sul suo status di prodotto non in nostro possesso, la discussione dei nostri lettori si è spostata su quanto ormai sia un “falso problema” sorprendersi dell’assenza di possesso fisico di un titolo da parte di un giocatore.
Chi scrive non ne è del tutto convinto, soprattutto alla luce delle notizie portate oggi. Un videogioco, anche un videogioco non tripla A è un’opera dispendiosa e produttivamente molto complessa, nonché capace di raccontare una storia a un livello molto più profondo e vasto rispetto a un film o a una serie televisiva (con tutto il rispetto per gli sforzi produttivi e il valore morale di un C’era una volta in America o di un Band of Brothers, sia chiaro). Pensiamo a un open world, o a un gioco investigativo esplorabile a più livelli e dalla trama profonda:per quanto si tratti di semplici modalità di distribuzione e fruizione, per quanto si tratti solo di pixels accessibili da un’interfaccia, stiamo necessariamente andando verso una nuova dimensione del gaming, nella quale il nostro rapporto con il singolo titolo sembra destinato a farsi meno personale e più standardizzato, inserito all’interno di delle caselle tutte uguali fra le quali scegliere.
Se un giorno le copie fisiche diminuissero drasticamente, fino a scomparire del tutto, e il videogioco diventasse solo una trasmissione alla quale accedere tramite un abbonamento siamo sicuri che il nostro feeling sentimentale col nostro medium preferito non perderebbe qualche pezzo? Le prossime generazioni si sentiranno davvero trasportate all’interno di un titolo che di fatto non potrebbe essere altro che il pezzo di un’offerta più grande?
Sentirebbero ancora i giochi come “loro”?
>>Leggi anche: The Sinking City|Il piacere di scoprire le cose<<
This post was published on 10 Luglio 2019 16:33
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