In Watch Dogs Legion ci ritroveremo a che fare con un inghilterra post-brexit nel pieno di una situazione politica tanto strana quanto inaspettata; il giocatore si dovrà muovere all’interno di una londra in subbuglio, potendo prendere il controllo di ogni personaggio presente a schermo. Nel mondo reale, il post brexit viene visto dai Francesi come un’ occasione per poter mettere mettere le mani su di un lauto numero di studi di sviluppo internazionali, in fuga da Londra, Brighton e dintorni.
Perché diciamo questo?
Perché il governo francese ha da poco lanciato un’ iniziativa chiamata Join The Game, ovvero una gigantesca pubblicità che dipinge il territorio d’oltralpe come il posto perfetto per andare e sviluppare videogiochi e prototipi. Un sito in lingua inglese alla ricerca di compagnie internazionali in previsione di un qualche spostamento d’impresa non può che far arrivare alla mente la situazione del regno unito e del suo futuro prossimo.
Che sia la Francia la prossima mecca dei videogiochi?
Parliamoci chiaro fin da subito: già al momento della stesura di questa news la Francia si difende più che egregiamente nel mondo dei videogiochi. Dalla sua ha colossi come Ubisoft, la quarta aziende più grande dell’occidente da questo punto di vista con oltre diciotto studi di sviluppo sparsi in differenti paesi del mondo. Se questo non dovesse bastare basterà pensare invece ai tanti sviluppatori che sono presenti sul territorio francese, sviluppatori decisamente importanti e d’impatto per il mondo dei videogiochi.
Senza voler molto scavare possiamo parlare di Arkane Studios, la software house dietro titoli di qualità incredibile come Prey o come Dishonored 2 o di Quantic Dream, la software house di David Cage che nel corso dell’ultimo decennio ha ibridato in maniera tutto sommato convincente il mondo del cinema e quello dei videogiochi. Sempre in questo “sottogenere” possiamo inquadrare la saga principale di Dontnod, altra software house francese venuta alla ribalta grazie al successo del brand “Life Is Strange”.
Join The Game parla chiaro: il governo francese ha intenzione di applicare una riduzione del 30% sulle tasse di produzioni, garantendo al contempo una serie di sussidi per la produzione di contenuti originali andando sempre a incentivare la produzione di “prototipi tecnologicamente ambiziosi”. Se questo non dovesse bastare per lo sviluppatore sarà possibile ottenere prestiti azionari con l’aiuto dello stato fino ad un massimo di 2 milioni di euro, lasciando alla software house l’onere di ripagare il tutto unicamente al momento della crescita dell’azienda.
Nonostante non siano stati fatti riferimenti esplici alla futura Brexit è difficile chiudere gli occhi e non pensare ad un qualche tipo di collegamento.
Nel regno unito, come segnalato dal The Guardian, le preoccupazioni date dall’effetto del brexit sull’industria dei videogame sono molteplici, considerando che il 57% dei developer da lavoro a dipendenti europei secondo i dati raccolti nel corso del 2017; cifre importanti che in seguito ad una brexit potrebbero provocare un notevole numero di danni.
Un azione del genere, a conti fatti, andrebbe a rafforzare ulteriormente il grande successo che la Francia sta ottenendo nel mondo dei videogiochi secondo le parole del directorate general for enterprise:
“In pochi anni i videogiochi sono diventati la seconda, per dimensione, industria culturale del paese posizionandosi appena dietro ai libri e davanti all’industria cinematografica. Il mondo dei videogiochi è uno dei settori più dinamici di tutta la nostra economia, con più di 5.000 lavori diretti”
Il Regno Unito sa a cosa sta andando incontro?
In una dichiarazione fatta a GameIndustry.biz, il CEO dell’UKIE Jo Twist ha puntualizzato la posizione inglese nel mondo dell’industria videoludica, rimarcando come la situazione post brexit potrebbe essere piuttosto complicata e di come tale associazione sia intenzionata a salvare, in qualche modo, capra e cavoli.
“L’industria videoludica inglese ha combattuto duramente per poter ottenere la reputazione odierna come uno dei migliori posti al mondo dove poter realizzare e vendere videogiochi. Tale reputazione può erodersi all’inteno di un industria globalmente competitiva. I politici inglesi dovrebbero comprendere che l’esistenza di programmi indirizzati al convertire aziende inglesi in aziende non inglesi è motivata dall’incertezza che un qualcosa come la brexit genera all’interno dell’econmia di settore.
Al momento il governo inglese supporta in modo importante il business dei videogiochi attraverso l’international trade programme, l’UK games Fund o la Video Game Tax Relief; le continue incertezze che si legano al nome della brexit purtroppo non aiutano e rischiano di minare in modo pesante il futuro dell’industria facendo allontanare lavoratori talentuosi e business di successo dalla nostra nazione. Per questo motivo abbiamo bisogno di comunicare in modo mirato e costruttivo con il governo, cercando di non perdere quello che abbiamo salvaguardando la nostra posizione all’interno dell’industria .”
Ancora una volta ci troviamo davanti alle pesanti dissonanze del mondo, diviso tra cittadini normali e affaristi intenzionati ad ottenere risultati di tipo economico. Volendo evitare voli pindarici è possibile semplicemente andare a leggere i risultati delle ricerche fatte da Games4EU per poter iniziare a contare le numerose e pesanti incertezze che si prospettano nel mondo dei videogiochi, sia nel breve che nel medio lungo periodo.
Un perfetto esempio è rappresentato da un aumento generalizzato dei costi di sviluppo e gestioni di personale, aumento che andrà ad ostacolare in modo importante le attività quotidiane delle software houses e che non verrà affatto aiutato dalla burocrazia, dalle modifiche ai sistemi doganali e dalla necessità di doversi adattare ad una lunga nuova serie di norme differenti da quelle dell’unione europea.
Il risultato finale è abbastanza chiaro: i videogiochi finiranno per diventare più costosi e meno accessibili, un danno che si ripercuoterà a catena su tutta la filiera produttiva e che sicuramente non finirà per fare piacere a nessuno nell’industria. Le imprese con sede nel regno unito, inoltre, si ritroveranno obbligate a trasferirsi all’interno dell’unione europea nel periodo di transizione del Brexit al fine di rispettare le regole d’accesso all’area economica del macro stato, al fine di mantenere i diritti e i benefici altrimenti non disponibili nei paesi all’infuori dell’unione.
Per i consumatori i problemi saranno più sottili ma di simile caratura: ottenere rimborsi di titoli acquistati nell’unione europea o importati all’interno del regno unito, ad esempio, sarà tutto fuorché comodo e farà sostanzialmente perdere diritti al consumatore.