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Pubblicato in: News

I videogames possono sostituire i gdr cartacei?

La prima cosa che molti giocatori di ruolo incalliti pensato guardando i trailer di Baldur’s Gate 3 e di Bloodlines 2, così come quelli di Cyberpunk 2077, non è stata semplicemente “Che figata”, una reazione naturale e giustificata, ma qualcosa di più: “Stavolta si fa davvero sul serio“.

Quel che abbiamo di fronte, infatti, sarà la trasposizione di atmosfere, dinamiche e obiettivi di tre storici giochi di ruolo (Dungeons & Dragons, Vampiri:La Masquerade e Cyberpunk 2020) in kolossal videoludici molto sofisticati.

Significa cioè che la capacità di quei giochi di ruolo cartacei di creare ambientazioni d’impatto potrebbe essere stata finalmente sfruttata per costruire delle esperienze immersive molto profonde da vivere nel salotto di casa propria: la complessità delle ambientazioni finalmente “concretizzata” dalla loro ricostruzione in computer grafica e un comparto tecnico in grado di dare una libertà di gioco quasi totale potrebbero permettere di colmare le ultime distanze fra gioco di ruolo cartaceo e videogioco.

Un’aspirazione che sembra sempre più vicina, ma che presenta nuovi interrogativi di game design.

Action rpg moderno: storie interattive prima di tutto

Forse a partire dall’uscita del primo Dragon Age, del suo terzo capitolo, Inquisition e,poi, di The Witcher 3, il gioco di ruolo occidentale sembra aver fatto un definitivo salto di qualità nella definizione di un modello di gioco capace di mettere assieme un comparto grafico di primissimo piano, un grande spessore narrativo e delle dinamiche tecniche in grado di simulare i comportamenti umani e incidere significativamente sull’esperienza.

I frutti di quest’unione sono alcuni fra i titoli più belli delle passate generazioni, in grado di avvicinare molto il giocatore al concetto di “vita alternativa”, un risultato molto vicino a quello che si potrebbe avere in un gruppo di gioco di ruolo cartaceo formato da un bravo master in grado di creare un’esperienza di gioco molto alta e ricca di contenuti e da dei giocatori pronti a seguirlo in questa sua volontà.

Stranamente, però, nessuno dei titoli che riportavamo sopra era la vera e propria trasposizione videoludica di un sistema di gioco di ruolo cartaceo.

Certo, Dragon Age era nato come possibile sequel spirituale dei vari Baldur’s Gate (che intendiamoci, in quanto a narrato rappresentano ancora oggi dei punti fermi), e The Witcher trasponeva in digitale un universo narrativo letterario, ma nessuno dei due aveva alle spalle un grande brand del gioco di ruolo.

Oggi, con la presentazione di BG3, Cyberpunk 2077 e Bloodlines 2, la situazione sembra cambiare e tre grandi brand trovare un loro posto d’onore nell’ambito de blockbuster.

Classico dei classici…

Un gioco da tavolo che diventa un videogioco…

Esistono tuttavia delle complicazioni, due in particolare, date dalla natura molto particolare del medium di partenza.

Il gioco di ruolo è infatti un prodotto molto particolare, che sviluppa il suo potenziale attraverso la possibilità data ai giocatori di creare la propria storia attraverso la propria immaginazione (il roleplaying) e la messa in campo di dinamiche simulative che rendano la storia che andremo a creare avvincente e credibile (il regolamento).

Una trasposizione di questo tipo deve quindi essere valutata, oltre che nella buona resa delle ambientazioni e atmosfere, anche nel modo in cui le regole del gioco di ruolo vengono inserite all’interno della derivazione videoludica, poiché esse andranno irrimediabilmente a influenzare il gameplay.

Sotto questo punto di vista, straordinario è il modo in cui PC Gamer ha trattato un argomento molto interessante chiedendo aiuto ai game designer dietro Bloodlines 2, Baldur’s Gate e Pathfinder Kingmaker; dalle parole di questi creativi scaturisce un ritratto molto affascinante del loro impegno a riadattare dinamiche di gioco già consolidate da storie editoriali di successo, un processo per alcuni aspetti simile a quello dell’adattamento (ben fatto, ovviamente) di un film o di un romanzo da una lingua all’altra: si tratta di prendere le regole, soppesarle, capirne il funzionamento, comprendere come trasferirle in linguaggio di programmazione.

Un’operazione che sembra svolgersi su più livelli; il primo concetto fondamentale è capire cosa permettere al giocatore, cosa non scontata, perché la necessità di simulare la possibilità di fare qualsiasi cosa comporta la necessità di una selezione ragionata. Finché si tratta di un potere della classe scelta dal giocatore la situazione è sotto controllo (anche se ci sono casi di regole non meglio chiarite sui quali i game designer devono mettere bocca), ma che succede quando a dover essere trasposta è per esempio la dinamica del riposo presso un accampamento?

Significa, a meno che non si scelga di saltare le scene “morte” come quelle di una conversazione attorno al fuoco, creare linee di dialogo, cutscenes e dinamiche fra personaggi in più, in grado di dare profondità al gioco quanto può esserlo una mezz’ora di roleplaying al tavolo. Ed è qui che arriva la seconda problematica, più complessa.

Eh, il fascino del tavolo…

Addomesticare l’immaginazione?

Una delle cose più divertenti, ma anche più difficili, del gioco di ruolo, è proprio il fatto di andare oltre il mero tiro di dado e creare delle scene di dialogo fra giocatori in cui confrontarsi e discutere rimanendo dentro il personaggio: può essere la notte attorno al fuoco nel mezzo di un bosco nel profondo nord, una riunione di vampiri o persino un appuntamento galante della Londra vittoriana di Brass Age. La funzione di questi momenti è molto importante, perché aiutano il giocatore a far uscire meglio l’anima del personaggio, il suo carattere, le sue aspirazioni e dunque a portare il proprio apporto alla storia.

La cosa divertente di questo lato del gioco è quindi senza dubbio l’improvvisazione, in grado di costruire degli scenari del tutto imprevisti. Che succede quando questa cosa viene trasposta in videogioco? Succede che, semplicemente, dobbiamo arrenderci all’evidenza: al momento, nessuna macchina o trasposizione può materialmente simulare la totale libertà di gioco esistente in un gdr cartaceo, rendendo in linea teorica il videogioco uno strumento narrativamente molto inferiore sotto il profilo dell’esercizio creativo.

Il processo mentale di semplificazione delle dinamiche diventa quindi tristemente inevitabile, dando al giocatore l’opportunità di influenzare la storia, ma non di deciderla attivamente. Questo crea un gap all’apparenza insormontabile, e sembra costringere il giocatore a reputare il videogioco ancora come un mero derivativo.

Le derivazioni? Un supporto!

A meno che presto gli sviluppatori di action-rpg sviluppino una tale intelligenza artificiale dei loro prodotti da permettere a essa la facoltà di improvvisazione, una frontiera che ci sembra molto lontana e (purtroppo) maledettamente improbabile, qualsiasi videogioco tratto da un gdr apparirà soltanto come una sua trasposizione priva di alcune componenti fondamentali, ma senza dubbio in grado di trasmettere le atmosfere e la lore del gioco originale.

Va detto che anche in un cartaceo le possibilità di sviluppo della trama principale sono parzialmente limitate da alcune scelte del master, ma è indubbio che la libertà di approccio sia molto diversa.

Questo fa dei giochi in uscita prodotti interessanti solo perché nel gioco potremo imbatterci in personaggi iconici delle ambientazioni o perché finalmente vedremo “in carne e ossa” luoghi come Night City?

Immaginiamo un altro scenario. Immaginiamo uno scenario in cui i videogiochi siano introduzione fondamentale al gioco di ruolo, in grado di dare un assaggio di ciò che i giocatori potranno sperimentare a un tavolo. Dei trailer, degli enormi, vasti, vastissimi, immensi, bellissimi trailer in grado di dire questo è un gdr, un gioco in cui avete controllo sulla vita di un personaggio ma fidatevi: potete avere molto di più.

L’arrivo di Bloodlines 2 e Cyberpunk potrebbe dar vita a una sempre maggiore riscoperta del gdr, in parte già iniziata con l’uscita della 5° edizione di Dungeons & Dragons, in grado di alimentare le communities.

E non è affatto un ruolo marginale, se pensiamo che si moltiplicano i casi di regolamenti di gdr cartacei che vengono modificati sulla base dell’apporto dei team di sviluppo di certi videogiochi.

Ora non ci resta che aspettare e vedere quali frutti questo rinascimento ci darà.

>> Leggi anche: Le nuove imposte di Trump non piacciono a Sony, Microsoft e Nintendo <<

 

This post was published on 27 Giugno 2019 12:26

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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