L’annuncio di Blair Witch, nuovo titolo di Bloober (Layers of Fear 2, Observer) allo scorso E3 (qui il nostro recappone), ha subito destato scalpore per il ritorno nel mondo del videogiochi di un brand horror che, dopo l’uscita del suo ultimo episodio cinematografico nel 2016 (piuttosto sfortunato), sembrava aver fatto perdere le sue tracce.
Un ritorno in auge particolarmente interessante, sia per l’approccio utilizzato, che sembra permettere molta libertà di azione, sia perché il team di sviluppo ha dato ottime prove di saper costruire titoli carichi di tensione e competitivi da un punto di vista tecnico.
Oggi racconteremo la storia di questo videogame, ma soprattutto del profondo legame fra Blair Witch e il mondo dei videogiochi, iniziato quasi vent’anni fa…
Il titolo presentato durante la conferenza Microsoft di due sabati fa sembra particolarmente sfizioso, grazie al suo lasciar intravedere la possibilità di esplorare i tenebrosi boschi del Maryland in maniera immersiva attraverso un gameplay che suggerisce un approccio basato sull’esplorazione.
Nel video anteprima di alcune sezioni del gioco vediamo il nostro protagonista, armato dell’iconica telecamera portatile ormai simbolo della saga (che sembra elemento centrale del gameplay) e accompagnato da un fedele cane, inoltrarsi in zone rurali per niente accoglienti, raccogliere indizi e soprattutto interagire con un ambiente dalla resa visiva davvero interessante, nonché poter utilizzare delle features accattivanti, come l’utilizzo del supporto del suo compagno animale.
Il gioco sarà in prima persona, una scelta che, oltre a permettere un’immersività molto adatta a titolo che farà del visto-non visto e di fugaci apparizioni mostruose i suoi cavalli di battaglia, è ovviamente un omaggio alle scelte registiche dei film, i primi a presentare un’idea secondo la quale la paura dovesse nascere dalla perfetta identificazione del punto di vista del protagonista della vicenda con lo spettatore, senza che il regista inserisse “filtri narrativi” a ciò che era mostrato sul grande schermo.
L’obiettivo di Blair Witch, che a detta dei produttori promette di seguire una sceneggiatura del tutto originale rispetto alle storiche che abbiamo visto su schermo, sembra quindi quello di donare al giocatore una perfetta storia dell’orrore interattiva, magari facendo tornare a splendere la fortuna dell’intera serie che, a livello videoludico, si è finora sviluppata in maniera del tutto diversa.
Prodotti fra il 2000 e il 2001 sfruttando il successo del primo, storico film (1999), i primi tre titoli legati al brand sono parte di un’operazione singolare nella storia del tie-in, per due ragioni.
Da un lato, i tre “volumi”in cui si sviluppava la trilogia (Rustin Parr, La leggenda di Coffin Rock e Il racconto di Elly Kedward) si proponevano con dei veri e propri spin-off del film con l’obiettivo di raccontare una sorta di sua “backstory“. I giochi si svolgevano quindi in tre differenti epoche storiche (gli Stati Uniti del 1941, quelli della Guerra di Secessione e infine quelli dei giorni della vicenda umana della strega, nel 1785), costruendo un ambizioso esercizio di transmedia storytelling con l’obiettivo di raccontare una sorta di “prequel a puntate” degli eventi del film.
Durante i giochi, dunque, venivamo a conoscenza di una serie di dettagli solo accennati nel film, come la storia Rustin Parr, l’infanticida colpevole di una serie di efferati delitti nella zona che poi sarà scenario della pellicola, per esempio.
D’altro canto, la cosa interessante del progetto, soprattutto per quel che riguarda il primo episodio, Rustin Parr, era il fatto che la software house, Terminal Reality, avesse voluto intrecciare la mitologia della serie cinematografica con quella di un suo titolo di circa un anno prima, Nocturne, incentrato sulle indagini di una segretissima agenzia governativa statunitense impegnata a combattere minacce soprannaturali, la Spookhouse, e in particolare su quelle dell’agente di punta dell’organizzazione, Lo Straniero.
Nocturne era un action-survival discreto, senza particolari picchi, ma aveva l’interessante capacità di coinvolgere il giocatore in una tetra storia dalle atmosfere horror/noir, fra vampiri, lupi mannari e primi rigurgiti nazisti (il gioco era infatti ambientato fra gli anni ’30 e ’40).
In Rustin Parr, curiosamente, eravamo chiamati a vestire i panni di Elspeth Holliday, agente Spookhouse, per indagare sulla leggenda della strega di Blair, avendo l’occasione di vivere una storia legata al mito dal privilegiato punto di vista di un’indagatrice dell’incubo.
Anche se molto più particolare rispetto all’approccio più canonico adottato da Bloober, la saga di Terminal Reality dimostrava un fatto interessante.
Il “falso mito” della strega di Blair, creato a tavolino con l’obiettivo di creare un’operazione commerciale da miliardi di dollari in tutto il mondo (obiettivo raggiunto, diremmo), sembra essere riuscito a incarnare un’esigenza di leggende, miti e storie legate al folklore che è parte integrante della ricerca di divertimento di molte, moltissime persone.
Storie come quelle dei ragazzi persi nei boschi e tormentati da una minaccia antichissima sembrano attrarre sempre, ma soprattutto sembrano dare l’input per letture sempre nuove e sempre più efficaci (almeno a livello narrativo).
Sarà interessante vedere se Bloober, utilizzando la tecnica immersiva survival in prima persona già sperimentata da diversi videogiochi indie (primo fra tutti Outlast) combinata con una delle ambientazioni horror più d’atmosfera (il bosco stregato), riuscirà a far vivere una seconda giovinezza alla storica saga horror.
Se infatti i creativi polacchi riuscissero a trasportare le emozioni del found-footage per eccellenza all’interno di una narrazione interattiva, chi ci dice che Blair Witch non si svilupperà sempre più come brand videoludico e meno come saga cinematografica?
Da parte nostra facciamo il tifo affinché ciò accada.
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This post was published on 19 Giugno 2019 13:36
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