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Storia e videogioco: dialoghi aperti

Fin dagli albori dell’industria videoludica, gli immaginari popolari legati a varie epoche storiche hanno dato ispirazione ai programmatori di tutto il mondo per le loro creazioni. Col passare dei decenni, questo rapporto si è fatto sempre più consolidato, dando origine a fenomeni interessanti, non ultimo un certo utilizzo del videogioco ad ambientazione storica per fini propagandistici.

I questo articolo tenteremo di spendere qualche parola sull’argomento, ragionando su alcune dinamiche spesso forse sottovalutate.

Storia… storia ovunque!

Partiamo da una piccola banalità: inoltrandoci nel campo dei videogiochi ad ambientazione storica entriamo in un campo vastissimo e di difficile analisi, in quanto spesso la riproduzione videoludica di altre epoche (o, comunque, di contesti narrativi che ne utilizzano gli stilemi estetici) è molto utilizzata anche in giochi fantasy o horror.

Non stiamo quindi parlando soltanto della semplice questione dell’utilizzo della Storia come ispirazione per le sceneggiature di molti blockbuster (come nel caso degli Assassin’s Creed o dei Call of Duty ad ambientazione storica), ma di tutti quei casi nei quali elementi figurative e storiche di altre epoche vengono utilizzati come componenti narrative dei videogiochi.

Un utilizzo che è comune a quasi tutti i generi e che è ormai entrato all’interno della “grammatica” di molti titoli contemporanei.

Per fare un esempio: The Witcher 3 (e, in generale, tutti gli episodi della serie di CD Project Red) è un videogioco fantasy, ambientato in aree geografiche completamente inventate e popolate da razze e fazioni frutto della mente di Andrej Sapkowski, ma il design e i temi musicali scelti dai programmatori della serie per i loro videogiochi si basano su una rielaborazione creativa del tardo medioevo e del primo rinascimento, in particolare dell’area balcanica e dell’Europa centro-settentrionale. Nel gioco non si trovano certo eventi storici o popolazioni legate alla Storia del nostro mondo, ma alcuni aspetti di questi, molto curati (un esempio? L’estetica delle spade usate da Geralt & co.) sono fedelissimi a determinati modelli storici, molto più che in titoli analoghi ma dagli obiettivi differenti come quelli della saga di Dragon Age, che si rifanno a una tradizione figurativa del medioevo fantasy più idealizzata.

Quello di The Witcher 3 è quindi un esempio limite di rapporto fra immaginario storico e scelte creative, ma ci serve per introdurre un discorso niente affatto banale sul ruolo della Storia dei videogiochi.

 

A spasso sui tetti in AC: Odissey: una passeggiata nella storia!

In principio fu il cinema

Un tassello importante di questa tematica è da ricercare in alcuni punti di contatto fra cinema e serialità televisiva e videogioco che nel corso del tempo si sono fatti sempre più evidenti.

Se infatti da tempo la critica specialistica è portata a non incoraggiare la messa a confronto fra due modalità di narrazione aventi profonde differenze come il videogioco e il cinema, è indubbio che il loro essere entrambi basati sull’immagine in movimento abbia irrimediabilmente avvicinato alcune loro ricerche contenutistiche.

Per fare un esempio “antico”, forse non tutti sanno che fin dal suo primo episodio la serie di Medal of Honor non era soltanto ricca di tributi a Salvate il soldato Ryan e ad altre pellicole di guerra, ma che l’intero progetto originario godeva della consulenza creativa del dipartimento videoludico della DreamWorks di Steven Spielberg, rendendo di fatto i videogiochi della serie dei veri e propri spin-off del film del 1998.

Anche in questo caso si tratta di un esempio limite, ma aiuta a capire come la ricerca di una valorizzazione dei propri titoli da parte delle case di produzioni abbia portato molte volte i programmatori a prendere spunto da pellicole di successo ispirate a loro volta a periodi storici ben precisi, creando così, “senza volerlo”, un’attrattiva per gli immaginari storici.

Se la mettiamo così, poi, un ragionamento analogo potrebbe essere fatto sulla serie di The Witcher: pur essendo i primi due episodi molto vecchi e dallo sviluppo autonomo rispetto alle mode degli ultimi anni, è indubbio che l’impatto di una serie fantasy particolarmente cupa e violenta come Game of Thrones (2011-2019) abbia influenzato particolarmente il tono e la creatività dell’ultimo episodio del brand (2015).

Leggermente diverso il discorso di Assassin’s Creed, cui va dato atto del fatto di aver generalmente pescato da periodi storici magari trattati dal cinema, ma di averlo fatto senza seguire in modo pedissequo le mode dettate dal cinema.

Quali i frutti di questo inseguimento dell’industria videoludica al cinema storico?

Beh, diciamo tanti, vari e destinati a dar vita a una serie di fenomeni complessi.

Uno dei titoli che più hanno fatto della loro componente storica un elemento importante: Kingdom Come: Deliverance.

Confini sottili…

Facciamo un attimo gli intellettualoidi pescando dal cilindro una nozione molto importante per il nostro discorso: uso pubblico della storia. Con quest’espressione si indicano di tutti quei casi nei quali qualcuno tratta di argomenti storici complessi in sedi diverse dalle scuole o dalle università (cioè i luoghi della ricerca), come il comizio politico o, ancora, un’opera di intrattenimento come un videogioco o un romanzo.

Si tratta di un fenomeno molto delicato e dalle mille sfaccettature. In genere il fulcro della questione è il fatto che gli storici guardino sempre con criticità all’inserimento di contenuti “storici” di una certa complessità all’interno di un videogioco, per timore che questi possano o essere veicolati in modo errato, semplificato o peggio ancora strumentalizzandoli per fini politici.

Insomma, un team statunitense alle prese con un videogioco action ambientato a Omaha Beach non darà certo un ritratto critico o eccessivamente veritiero di ciò che accadde su quella spiaggia la mattina del 6 giugno 1944, giusto? E che succederebbe se quel titolo venisse dato in pasto a degli adolescenti? Semplice: la loro percezione della Storia potrebbe essere influenzata, ma peggio ancora il gioco potrebbe essere una sorta di testa di ponte per iniziarli a un discorso politico di parte.

Non sempre le cose stanno in modo così tragico, ma è inutile girarci attorno: persino una semplice ispirazione cinematografica, e dunque all’apparenza una fertile contaminazione artistica, può dare vita a una serie di ambiguità.

Ma questa, forse, è proprio la bellezza della cultura pop: invita alla riflessione mediante il divertimento.

This post was published on 17 Giugno 2019 13:33

Fabio Antinucci

30 anni (anagraficamente, in realtà molti di più) ha alle spalle esperienze come copywriter, redattore multimediale e critico cinematografico, letterario e fumettistico, laureato con una tesi triennale su Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan e una magistrale su From Hell di Alan Moore. Appassionato di letteratura horror e fantastica, divoratore di film di genere di pessima lega (ma ha nel cuore pezzi da novanta come Kubrick, Mann e Kurosawa), passa le sue giornate fra romanzi di Stephen King, graphic novel d’autore e fascicoletti di Batman. Scrive (male) da una vita, e ha pubblicato un romanzo breve (Cacciatori di morte) e due librigame (quelli della saga di Child Wood). Crede che il gioco sia una forma di creazione e libertà, capace di farti staccare la spina e al contempo di far riflettere, ragionare, commuoverti e socializzare. Per questo gioca di ruolo da dieci anni (in particolare a Sine Requie, D&D, Vampiri la Masquerade e Brass Age) per questo adora perdersi di fronte alla sua Play. È innamorato del videogioco grazie a Hideo Kojima e al primo Metal Gear Solid, al quale ha giurato amore eterno, ma col tempo ha imparato ad amare gli open-world, gli action-adventure, gli rpg all’occidentale, i punta e clicca, a una condizione: che raccontino una bella storia.

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