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Fondi nazionali per sviluppare videogiochi? L’esempio Australiano

Avete presente il continente dei canguri posizionato nell’emisfero australe, l’Australia?

La nazione Australiana, nonostante non se ne parli molto, ha dato i natali ad un buon numero di videogiochi molto interessanti: tra le produzioni a tripla A troviamo, ad esempio, il primo capitolo di Bioshock sviluppato da 2K Boston/Australia, troviamo L.A. Noire sviluppato da Team Bondi, troviamo anche giochini come Fruit Ninja che da solo ha fatturato cifre interstellari o successoni indie come Hollow Knight.

Se però non ci sono di mezzo publisher importanti interessati ad un titolo, una software house può decidere di finanziarsi utilizzando una vasta gamma di fondi tra cui quelli a carattere nazionale, destinati dal governo stesso a tale scopo.

L’Australian Interactive Games Fund era uno di questi programmi e, nonostante abbia avuto vita breve, è stato in grado di aiutare lo sviluppo di un grande numero di videogiochi. Il Partito Laburista Austrliano, ha annunciato la scorsa settimana che se verrà eletto rimetterà in piedi tale programma con 25 milioni di dollari locali.

L’Australia e i videogiochi.

In una dichiarazione pubblica rilasciata la scorsa settimana, il partito laburista si è dichiarato disposto a mettere insieme 25 milioni di dollari australiani in fondi per l’Australian Interactive Games Fund, un programma di finanziamenti cancellato nel corso del 2014 dal precedente governo per modificare la destinazione dei 20 milioni di dollari previsti.

Al momento della cancellazione di tale programma, meno della metà dei soldi disponibili per finanziamenti erano stati utilizzati da sviluppatori per generare prodotti. Alla Melbourne Games Week dell’anno scorso, Chris Wright dei Fellow Travelers dichiarò di aver appena vissuto una vera e propria tragedia di interesse nazionale in seguito alla cancellazione di tale programma, evidentemente molto importante all’interno dell’industria videoludica locale.

L’industria videoludica australiana poteva utilizzare tale fondo nazionale per riprendersi in seguito alla chiusura di un grande numero di software house a ridosso del primo decennio del nuovo millennio; periodo estremamente buio nella storia della nazione.

Il partito laburista australiano, senza voler fare eccessivi voli pindarici nel mondo della politica estera, si è guadagnata i voti di una ristretta fascia della popolazione che potrebbe far bene all’industria videoludica mondiale.

La complicata situazione italiana.

Mentre in Australia c’è stato e potrebbe esserci un nuovo programma nazionale dedicato unicamente al sostentamento del processo creativo che porta alla release di un videogioco, in Italia ci ritroviamo a navigare in una situazione ben diversa.

Facendo qualche ricerca su Google è possibile scoprire che nel 2015, l’Unione Europea (nemmeno l’Italia stessa, ma direttamente l’organismo sovranazionale) aveva messo in piedi un bando con cui era possibile sostenere sino a 150.000 € di spesa all’interno del processo creativo necessario alla creazione di un videogioco. Tale bando è stato disponibile, con un budget complessivo di 2.5 milioni di euro, a tutti i paesi europei; un po’ pochino se pensiamo che l’Australia aveva messo in piedi un programma di finanziamenti che, al cambio attuale, offriva complessivamente dodici milioni di euro.

Dal 2015 in poi la situazione è leggermente migliorata:  Business Insider parlava di un nuovo fondo da quattrocento milioni di euro destinato a coprire lo sviluppo di investimenti nel mondo del cinema e dell’audiovisivo; leggendo la proposta sul sito della camera dei deputati è possibile trovarci anche la parola “videogiochi” qua e là, motivo per cui è lecito pensare che una minima parte di quella cifra incredibile potrebbe venir utilizzata per creare prodotti di intrattenimento degni di tal nome.

Al momento il mondo dei videogiochi in Italia non sembra essere particolarmente remunerativo: secondo Aesvi (Associazione editori sviluppatori videogiochi italiani) solo il 3% delle aziende che si occupano di videogiochi in Italia fatturano più di due milioni di euro l’anno, cinque società in tutto il territorio.

Più della metà delle software house non riesce a superare i centomila euro di fatturato. L’88% delle aziende legate del mondo dei videogiochi ha inoltre dichiarato di ricorrere a risorse proprie per finanziare le proprie attività, statistiche non particolarmente felici, specie se facciamo il paragone con le situazioni di cui possiamo spesso sentire parlare all’estero. Al momento abbiamo comunque molto di più di cui sorridere rispetto al passato recente: il nostro paese sta sfornando tanti bei videogiochi che stanno in un modo o nell’altro lasciando il segno su piccoli frammenti del mercato.

Di che parliamo?
Di Mario & Rabbids: Kingdom Battle di Ubisoft Milan, di Milanoir di Italo Games, di Remothered; Tormented Fathers di Stormind Games, di Close To The Sun degli Storm Into A Teacup, di Redout di 34bigthings e molti, moltissimi altri nascosti nel sottobosco.

Una perfetta descrizione incentrata sull’aspetto economico del mondo dei videogiochi in Italia può essere letta  a quest’indirizzo.

 

This post was published on 13 Maggio 2019 17:00

Graziano Salini

Perennemente alla ricerca di legami tra argomenti distanti tra loro, con una certa predilezione per musica e videogiochi. Faccio il possibile per fare in modo che ci siano meno errori di concetto possibili sugli articoli di Player.it, grande fan degli errori grammaticali invece, quelli fanno sempre ridere. Quando non sto amministrando questo sito lavoro mi occupo di spiegare cose difficili in maniere semplici su altri siti, su tematiche molto meno allegre dei videogiochi.

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