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Days Gone: funziona o no? Forse abbiamo sbagliato noi

Ormai è un po’ che ci penso. Eppure me lo sono giocato a fondo, ho viaggiato in ogni angolo dell’Oregon infetto proposto dal gioco, ma Days Gone non mi ha entusiasmato. Nella mia recensione l’ho paragonato alle puntate di passaggio di The Walking Dead, quelle dove non succede assolutamente nulla e che quasi vorrei mandare avanti veloce per saltare al successivo colpo di scena.

Nonostante questo però, l’esclusiva Sony realizzata da Bend Studio è, per la seconda settimana consecutiva, al primo posto tra le vendite di videogiochi nel Regno Unito. Un risultato che mi confonde parecchio: se il gioco non funziona come riesce a portare a casa numeri del genere, scavalcando addirittura le vendite di un ottimo gioco come Mortal Kombat 11 (al secondo posto in UK) che, a differenza dell’esclusiva Sony, è uscito sia su PC che su ogni console del mercato? Ho forse sbagliato qualcosa? È forse giunta l’ora di rimettere la penna nel calamaio e cambiare mestiere?

Tralasciando il primo interrogativo, che ci porterebbe in un vortice di marketing, numeri e altri misteri dell’universo che non voglio affrontare in questa sede e tralasciando anche l’ultimo quesito a cui, se siete arrivati a questo punto della lettura, avete dato una risposta negativa (con mia gioia), volevo soffermarmi sulla seconda domanda: Ho forse sbagliato qualcosa? Lato tecnico mi pare di aver vagliato tutto dalla grafica al gameplay, passando per sonoro, storia, livello di divertimento e tutti i parametri di misura che volete. Le cose da fare sono poche in un mondo potenzialmente vastissimo. La storia perde di originalità e i vari plot twist finali non bastano a reggere le ore di gioco che ci sono volute per arrivarci. Quel poco di gameplay visto nelle prime ore viene riproposto fino alla noia, ma allora come è possibile un risultato del genere? Forse c’è un aspetto che non può essere sondato tramite gli strumenti di valutazione classici di un recensore, ma bisogna andare oltre, arrivando ben al di là del joystick.

Oltre il voto, quel desiderio di farne parte

Days Gone è un gioco che ha diviso la critica internazionale, Gamespot l’ha stracciato con un mediocre 5, IGN promosso con un 6.5, Game Informer è arrivato ad un 7.8, insomma fatevi un giro in rete e vedrete che non è stato facile inquadrarlo. Il nostro Jonathan ha scritto un pezzo molto interessante sul nostro lavoro, parla di come spesso i numeri e i voti si sostituiscano del tutto al vero valore di un gioco diventando l’unico parametro di scelta tra “lo piglio quando lo trovo nel cestone a 10 euro” e “magari questo lo prendo al day one”. Se volete approfondire dategli uno sguardo qui.

Il voto è un fattore importante nel successo del gioco ma, come accennavo poco fa, forse c’è altro. Il successo di Days Gone potrebbe infatti essere legato a questo periodo videoludico “scarso” di videogame interessanti. Oppure potrebbe trattarsi del genere, visto che l’open world sta mettendo radici in quasi ogni tipologia di gioco. O ancora il successo del titolo potrebbe essere trainato da The Last of Us, altra grande esclusiva Sony a cui Days Gone è chiaramente debitore. Sinceramente non saprei, ma forse non si tratta strettamente di Days Gone, ma del desiderio di farne parte. Mi spiego meglio: vi capita mai di comprare un gioco perchè ci sta giocando tutta la vostra schiera di amici? Anzi vi capita di voler far parte di qualcosa solo perchè quel qualcosa pregna un particolare momento della vostra vita e di chi vi sta intorno? Che sia una serie, un film, l’orribile moda dei risvoltini? Essere parte di un qualcosa spesso è più forte del giudizio e forse è proprio quello che è successo con Days Gone. Un’esigenza del giocatore che trascende il valore dell’esclusiva Sony, il voto, il marketing, ma che va semplicemente a renderlo parte di un particolare momento, come quello dell’uscita di un nuovo gioco di cui tutti parlano, nel bene o nel male. In fondo a chi non piacerebbe salire in sella di una moto e mettersi in viaggio insieme ad altri bikers?

Naturalmente queste sono solo ipotesi del successo inaspettato del gioco, il resto lo lascio a voi, fatemi sapere cosa ne pensate.

This post was published on 9 Maggio 2019 9:00

Simone Alvaro "Guybrush89" Segatori

Ritrovato in tenera età su una spiaggia pixelata le sue prime parole sono state "Voglio fare il pirata!" In mancanza di un vero galeone è partito all'arrembaggio del mare della rete depredando le conoscenze di ogni isola su cui è approdato: Ha scritto per Games, VGN, Adventure's Planet, Badgames, FlopTV, Cinefilia Ritrovata, Ridble e creato qualche video per la ciurma di Game Series Network. Nel mentre la taglia sulla sua testa è aumentata e dopo che l'Università di Viterbo lo ha ritenuto un pericoloso "Capitano della Comunicazione", l'Alma Mater Studiorum di Bologna lo ha classificato come "Minaccia Pirata esperta di Cinema, Televisione e Produzione Multimediale". Per circa un anno è quindi rimasto nascosto nella Cineteca di Bologna, gestendo dall'ombra l'Archivio Videoludico e organizzando anche un ritrovo piratesco conosciuto come Svilupparty. Dopo qualche tempo passato in mare tra cinema, fumetti, serie tv, libri, aspirapolvere e videogiochi, senza mai una vera casa, mette l'ancora alla fonda nella baia videoludica di Player.it, dove passa le giornate in compagnia di scimmie, balene e altri animali. Va spesso ad ubriacarsi nella taverna di Tom's Hardware, inoltre va all'arrembaggio di libri e fumetti su Frasix, di gadget e serie TV su Nospoiler e Cinematographe e svolge ricerche su antichi manufatti per conto di Ivipro. Il richiamo dell'oceano però lo trascina continuamente tra le onde e anche se non sa dove lo porterà il vento quello che conta davvero è il viaggio.

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