Nonostante gli ottimi voti della stampa di settore, nonostante l’ottima qualità del prodotto finale e, soprattutto, nonostante le insistenti richieste dei fan del gioco, Supermassive Games ci suggerisce di metterci il cuore in pace: Until Dawn non avrà mai un sequel. La decisione del team di sviluppo, stando alle dichiarazioni rilasciate, sembra poggiare su solide basi, che hanno un unico comune denominatore: la libertà creativa.
Il developer ha infatti esternato la sua volontà di volersi sempre mettere alla prova con nuovi titoli, cercando strade mai battute prima, sperimentando nuove formule e, soprattutto, non sentendosi legato o, peggio ancora, costretto ad utilizzare personaggi provenienti da eventuali capitoli precedenti della saga.
In seconda battuta, Supermassive ha aggiunto che un eventuale secondo capitolo di Until Dawn sarebbe stato problematico da sviluppare in quanto, a causa dei finali multipli del gioco, sarebbe stato difficile comprendere quale dei personaggi sarebbe eventualmente sopravvissuto agli eventi del primo gioco.
Da queste premesse, partiamo con la nostra analisi, che andrà ad affrontare sia la scelta di non voler a tutti i costi insistere su un titolo che non ha più nulla da offrire e, in secondo luogo, sul ruolo effettivo dei finali multipli in un videogame.
Prima di addentrarci in una questione spinosa come non mai, è opportuno fare una premessa: Until Dawn è uno di quei giochi che non avrebbe necessitato di un sequel. Senza voler fare spoiler di alcun genere, la trama del videogame è autoconclusiva e non c’era veramente alcun cliffhanger su cui basare un eventuale secondo capitolo. L’unica aggiunta all’universo narrativo creato da Supermassive Games è stato The Inpatient, il prequel per PS VR ambientato 60 anni prima degli eventi di Until Dawn.
Tuttavia, la decisione dello sviluppatore britannico ha suscitato non poco scalpore e, se ci pensiamo bene, non poteva essere altrimenti.
Proviamo a pensare al gioco che ha dato inizio alla nostra passione videoludica, che magari è diventato parte di una saga di successo. Bene, oggi, nel 2019, a quale capitolo è arrivata la serie? In quanti passi falsi è incappata la saga? Insomma, ne è valsa la pena di spingersi oltre le “Colonne d’Ercole” del primo episodio?
Supermassive ha avuto la possibilità di seguire il suo “cuore”, che l’ha spinta in direzione di nuove avventure che, allo stato attuale, rispondono al nome di Man of Medan, il primo capitolo dell’antologia horror che ora occupa la mente del developer, e che dovrebbe essere pubblicato entro l’estate.
L’altro lato della medaglia è rappresentato dall’inevitabile delusione dei fan, che non potranno vestire nuovamente i panni dei loro personaggi preferiti. Ogni sviluppatore sa che i desideri della community vanno sempre tenuti in debita considerazione, ma è altrettanto vero che fare il sequel di un titolo che ha già dato tutto può avere solo effetti dannosi.
È proprio questa la ragione per cui vedremo assai difficilmente i seguiti di opere molto apprezzate dai videogiocatori, come Until Dawn, Child of Light, Deadly Premonitions, L.A. Noire e tanti, tantissimi altri.
È arrivato ora il momento di soffermarsi sul secondo punto enucleato dall’intervista concessa da Supermassive Games: è difficile realizzare un sequel di un videogame con finali multipli. Prendendo ad esempio proprio Until Dawn, il gioco disponeva di una miriade di possibili diramazioni narrative e, di conseguenza, di finali diversi in cui, a seconda delle scelte compiute dal giocatore nel corso della trama di gioco, alcuni personaggi sopravvivevano a scapito di altri.
Proprio questo elemento comporterebbe non poche difficoltà allo sviluppatore in quanto, anche solo per concepire un sequel, bisognerebbe scegliere un finale come “canonico” e sviluppare attorno ad esso la nuova trama, essendo però obbligati a riutilizzare personaggi già inseriti in precedenza ed accettando, quindi, un limite creativo.
Ma è veramente impossibile realizzare un sequel di un videogame con finali multipli?
Se è vero che titoli come Heavy Rain e Detroit: Become Human sono oramai conclusi e non riceveranno un secondo capitolo, e se è vero che i vari Fallout, pur essendo tutti compresi nello stesso universo narrativo, presentano protagonisti diversi e sono ambientati in zone geografiche distanti migliaia di chilometri l’una dall’altra, bisogna ammettere che si, realizzare un secondo capitolo di videogame con finali alternativi è possibile.
La saga di Oddworld, ad esempio, sceglieva il finale “buono” come base per lo sviluppo del sequel, mentre CD Projekt Red dava la possibilità, nei capitoli successivi di The Witcher, di importare i salvataggi dei giochi precedenti, in modo che il nuovo gameplay sarebbe stato coerente con le scelte compiute dai giocatori nei precedenti capitoli.
Rispondere a questa domanda non è affatto semplice, in quanto la risposta varia da caso a caso.
Tuttavia, bisogna sempre tenere a mente il fatto che da un sequel possano sempre nascere nuove idee, capaci di stravolgere lo stesso franchise di appartenenza. È il caso di NieR, nato da uno dei finali di Drakengard, ed arrivato al grande pubblico grazie a quella piccola gemma di NieR: Automata, che fa un uso dei finali multipli che raramente si è visto in videogame, provare per credere.
In conclusione, se certe volte è necessario dover “dire addio” ai nostri eroi videoludici preferiti, è altrettanto vero che un sequel potrebbe anche costituire un nuovo spunto per nuove idee e nuovi stimoli creativi. D’altra parte, le storie non scontate sono sempre quelle che ci piacciono di più.
This post was published on 8 Maggio 2019 11:29
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