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Child of Light: parla il creative director Patrick Plourde

Child of Light è stato un’esperimento riuscitissimo di una Ubisoft all’apice della sua fama da creatrice di videogiochi AAA, in una generazione di titoli ossessionata da uno sviluppo massivo ed industriale.

A distanza di sei anni dal lancio dell’incantevole RPG indie di Ubisoft Montreal, il creative director del progetto Patrick Plourde si sbilancia riguardo un possibile seguito-prequel di Child of Light, spiegando come secondo lui non sia attualmente possibile realizzarlo.

Ma perché Child of Light rimane, nel 2019 e all’alba di una nuova generazione di console, ancora così importante e osannato? E ci sarà mai l’occasione di rivederlo sui nostri schermi un ultima volta? Scopriamolo insieme.

 

Le origini del sogno fiabesco

 

Patrick Plourde, il creative director di Child of Light e sviluppatore di numerosi altri titoli Ubisoft

 

Prima di Child of Light, Patrick Plourde ha lavorato incessantemente a due titoli di punta della Ubisoft della Settima Generazione di videogiochi, ovvero Assassin’s Creed: Brotherhood e Far Cry 3. All’epoca, lo sviluppo caotico ed incessante di questi colossali videogame ancora oggi molto importanti hanno esasperato e affaticato Plourde assieme a tutto suo il team.

Nacque così il desiderio di creare un prodotto nuovo, ispirato ai numerosi primi successi degli sviluppatori indipendenti di quegli anni con una grande libertà espressiva, di sviluppo ed artistica. Ubisoft, che aveva comunque abbastanza risorse e spazio da dedicare ad un progetto simile, decise di finanziare l’idea di Plourde a patto che il titolo non occupasse i numerosi sviluppatori di Ubisoft Montreal, all’epoca al lavoro su Assassin’s Creed 3. 

Così Plourde iniziò a gettare le basi per Child of Light, creando uno storyboard che avesse come fulcro dell’esperienza una coming of age story, una direzione generale ispirata in parte ai vecchi Final Fantasy (specialmente il VI), una meccanica che aumentasse il potere e la determinazione della protagonista attraverso l’accettazione delle proprie responsabilità ed uno stile fiabesco decisamente ispirato alle storie per bambini del XIX e XX secolo.

 

 

Dopo la conclusione dello sviluppo di Assassin’s Creed 3, lo scrittore di Ubisoft Jeffrey Yohalem raggiunse Plourde nel suo progetto e creò la storia di Child of Light, quella di una principessa ancora giovane ed inesperta che deve crescere e sviluppare la propria forza il più in fretta possibile per salvare un regno magico e tornare a casa propria.

La storia viene narrata con uno stile poetico ed onirico sia nei dialoghi che soprattutto nelle immagini, ispirate al tratto dell’illustratore di fiabe Edmund Dulac, il tutto supportato da un impressionante motore grafico, l’UbiArt Framework, capace di creare fondali e modelli più simili a quadri in movimento che a ammassi poligonali in 3D.

In breve tempo, un progetto che sembrava irrilevante e spesso preso in giro da colleghi e superiori iniziò ad attirare l’attenzione di tutta Ubisoft, che investì ancor più risorse e personale agli inizi del 2013. Tutta questa attenzione non generò però ulteriori pressioni o deadlines, ma anzi spronò Plourde, Yohalem e l’intero team a dare il massimo. Il risultato fu appunto Child of Light, uscito su console di vecchia e nuova generazione nell’Aprile del 2014. 

 

 

Fu un successo di critica e di pubblico, un esempio di come anche i publishers di titoli AAA potessero cimentarsi nello sviluppo di titoli più creativi e sperimentali senza trasformarli in un prodotto industriale con la vendita di massa come unico obiettivo.

Child of Light inoltre ispirò numerose altre aziende ad investire di più su questo genere di videogiochi, tra cui EA con i suoi EA Originals, Square Enix con i titoli della sua Collective e la stessa Ubisoft, che continuò lo sviluppo di altri titoli semi-indie come Trials, gli Assassin’s Creed: Chronicles e Grow Up.

 

Il duro risveglio della realtà

 

 

 

Nonostante l’enorme successo ed evoluzione che lo sviluppo indipendente ha conquistato nel corso degli ultimi anni, i tempi sono cambiati anche per i publishers AAA. Con un aumento esorbitante del costo di sviluppo dei videogiochi, compagnie come Ubisoft ora devono cercare di guadagnare quanto più possibile dai propri videogiochi, sviluppando un numero esiguo di titoli rispetto al passato ma supportati ed acquistati dai giocatori per molti anni a venire.

È il concetto di Game-as-Service, e secondo Plourde è questa la politica che Ubisoft ha acquisito per continuare a sopravvivere nell’industria. Sempre secondo Plourde, questa nuova ottica di pensiero non ammetterebbe lo sviluppo di un seguito di Child of Light, poiché mira a supportare un’esperienza limitata e auto-conclusiva rispetto ad una da supportare con continui aggiornamenti ed espansioni per molti anni.

Il rumor di un seguito di Child of Light ha iniziato ad imperversare su Internet in seguito ad un tweet dello stesso Creative Director, una mossa di cui Plourde si è subito pentito. In una recente intervista a Video Games Chronicle, il Director ha ammesso di avere in serbo un intero documento di 5 pagine con all’interno piani ed idee per Child of Light 2. 

 

 

 

Il titolo sarebbe un prequel del primo capitolo, ed il tema principale è questa volta il sentimento dell’amicizia d’infanzia che si espande nel corso della vita di due individui, fino a mutare e corrompersi completamente in qualcosa di diverso.

Se nel primo Child of Light l’estetica e le tematiche delle fiabe europee erano l’ispirazione dell’intero progetto, in Child of Light 2 l’obiettivo sarebbe quello di emulare le sensazioni e l’esperienza del Lago dei Cigni di Čajkovskij, con uno stile più oscuro ed adulto rispetto al passato. 

Tutti i tasselli e gli elementi per un sequel di successo sono già stati messi in ordine, ma questa è solo una fantasia un po’ troppo distante dalla realtà per Plourde, come ha detto nella sua intervista:

 

Non penso che [Child of Light 2] possa essere il tipo di gioco che Ubisoft voglia realizzare…la compagnia ora non è più giovane ed inesperta, è matura e sa di cosa ha bisogno, non c’è tempo per la sperimentazione. Comunque sia progetti diversi sono tutt’ora supportati – abbiamo già realizzato un porting di Child of Light su Switch e sta vendendo moltissimo – ma ora come ora il fulcro di ogni cosa sono i Game-as-Service. Con un Child of Light 2 potremmo trarre parecchio profitto, ma potremmo fare molti più soldi in un altro modo. Questo è il grosso difetto del non essere uno sviluppatore indipendente. 

 

 

Plourde ha anche ammesso che Ubisoft è una compagnia gigantesca, e potrebbe benissimo star lavorando su qualche progetto inerente all’IP, sebbene egli stesso non sia personalmente coinvolto.

A Dicembre, la compagnia ha annunciato di voler produrre una vera e propria serie live-action basata sulla licenza di Child of Light, e per Plourde questa potrebbe esser un’occasione per sviluppare un seguito che possa spingere economicamente il franchise.

Al momento, però, sono tutte supposizioni. Sembra proprio che il ritorno nel mondo onirico di Child of Light debba rimanere un sogno per un altro po’ di tempo.

 

 

This post was published on 4 Maggio 2019 15:14

Riccardo Liberati

Classe 1997, cresciuto immerso dai libri, cartoni e videogiochi, ho sempre desiderato e provato fin dalla tenera età a creare storie fantasiose che rendessero un po' più brillante la mia vita monotona. Ho trascorso l'infanzia in solitaria, giocando a quanti più titoli possibili, spaziando dai vecchi J-RPG di Square Enix fino ai più violenti sparatutto su PC, non disdegnando nel frattempo RTS, platform e giochi di corse automobilistiche. Alle superiori riesco finalmente ad aprirmi e a trovare dei compagni con i miei stessi gusti e sogni, e capisco che non amo tanto i videogiochi, quanto la cultura ed i messaggi dietro di essi, gli stessi che ho sempre trovato nei libri, film e qualsiasi altro tipo di medium artistico. Inizio a lottare per questo concetto scrivendo all'impazzata ed accrescendo la mia cultura ancor di più, sia attraverso la scuola che attraverso gli incontri e le persone d'ogni giorno. Questo bel sogno finisce con l'arrivo all'università, periodo peggio di qualsiasi film horror che abbia mai visto e che mi costringe a mollare tutto e rifugiarmi nella mia Fortezza della Solitudine per tre anni, perdendo interesse e linfa vitale per qualsiasi cosa. Nel frattempo ho lavorato in numerosi settori, dall'aiuto vendita al libraio al tutor privato, e nel 2018 inizio a scrivere per Player.it, il mio primo incarico ufficiale come giornalista videoludico e che mi ha formato moltissimo sia nell'ambito dei videogiochi che in quello della scrittura basilare. Oggi ho ripreso a studiare grazie alla scelta repentina ed irrazionale di iscrivermi alla Scuola Holden di Torino, luogo da cui vi scrivo, abbandonando casa per la prima volta ed il luogo natale di ogni mio piccolo successo e grande fallimento. La mia speranza? Quella di poter riuscire a trovare una strada ben delineata, facendo quello che mi piace fare senza dovermi sottomettere a nessuno

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