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Il governo inglese finanzia videogiochi basati su IP nazionali

Il governo inglese ha annunciato nella giornata di oggi un nuovo tipo d’investimento per finanziare la produzione nazionale di videogiochi, un’industria che negli ultimi anni è cresciuta senza misura ed ha portato nuovi guadagni a tutto il paese.

Il piano è quello di offrire 4 milioni di sterline agli studi di sviluppo britannici per creare nuove IP e titoli che sfruttino licenze inglesi pre-esistenti, in modo che coinvolgano anche altri artisti e creatori d’oltremanica.

Prima d’oggi, nessun altro paese europeo aveva mai provato a finanziare così tanto e così specificatamente l’industria videoludica, e risulta una scelta molto curiosa se proviamo a comparare le strategie (o meglio la loro assenza) di altre nazioni come la nostra.

Andiamo a vedere insieme i dettagli di questo ambizioso progetto, e verifichiamo se qualcosa di simile possa anche accadere, un giorno, qui in Italia

 

God Save the videogames

 

 

L’incipit di questa complessa ed innovativa operazione di finanziamento è nato da un fondo di 33 milioni di sterline dedicato totalmente allo sviluppo tecnologico e delle arti audio-visive della Gran Bretagna.

L’obiettivo è quello di unire il medium videoludico ad altre opere d’intrattenimento inglesi non solo per potenziare i guadagni dell’industria, ma anche per creare posti di lavoro per nuovi giovani talenti nazionali in modo che preferiscano rimanere a casa piuttosto che sviluppare all’estero o in studi internazionali.

Ciò non sarà però un’operazione fine a se stessa e limitata alla mera industria videoludica: secondo Andrew Chitty, un ricercatore della National Funding Agency, i futuri investimenti porteranno ad un’evoluzione della tecnologia audio-visiva, di quella per la realtà aumentata o virtuale, e soprattutto porterà un notevole sviluppo per le IA, che tramite i videogiochi negli ultimi venti anni hanno fatto passi da gigante.

 

 

Il primo progetto in questione sarà un titolo per l’appunto in realtà virtuale/aumentata basato sul popolare franchise di Wallace & Gromit gestito dalla famosa Aardman Animation (che detiene l’IP) e dai Tiny Rebel Games (Doctor Who: Infinity e Beer Money Inc.), con la partecipazione di numerosi artisti freelancer e dell’University of South Wales.

Sempre con in mente il settore VR, è stato annunciato un ulteriore gioco basato invece sulla famosissima serie drama vincitrice dei BAFTA Peaky Blinders, sviluppato dallo studio VR Maze Theory.

La maggior parte dei progetti sarà annunciata e rivelata nel corso dei prossimi diciotto mesi, ed oltre a rispondere alla crescente domanda per nuovi videogiochi, riuscirà anche a portare una notevole fetta di pubblico attratta invece dalle IP che già conoscono. Un notevole passo avanti per l’accettazione e la comprensione del videogioco come medium artistico.

 

Il Bel Paese che mal digerisce i videogiochi. O così sembra…

 

 

Potrebbe sorprendere molti di noi apprendere che quasi il 40% di tutta la popolazione italiana tra i 6 ed i 64 anni di età giochi regolarmente o saltuariamente a dei videogiochi, che essi siano di natura fisica, digitale, tramite console, PC o cellulari. Le stime riportate dalla AESVI (Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani) sono interessantissime e meritano di esser lette.

In sintesi, il mercato videoludico italiano ha fatturato solo nel 2018 qualcosa come 1,7 miliardi di euro con una crescita del 18,9% rispetto all’anno precedente, e gran parte del ricavato proviene dall’acquisto di videogiochi in forma digitale. Ciò significa che gli Italiani apprezzano enormemente il videogioco, ormai considerato una forma d’intrattenimento di tutto rispetto e capace di catturare l’attenzione di molteplici tipologie di persone grazie alla sua enorme varietà.

Il problema più grande è ed è sempre stato quello della produzione: l’Italia non ha mai generato l’attenzione dei giganteschi colossi internazionali, e non ha ancora sfornato dei titoli capolavoro di un qualche genere. Abbiamo team relativamente famosi come Milestone, autori di numerosi giochi di guida e della serie su licenza MotoGP e parecchi developers indipendenti come Ovosonico, mentre l’unico studio di sviluppo internazionale con sede a Milano è quella di Ubisoft Italia, che solo nel 2017 è riuscita a creare un titolo validissimo come Mario + Rabbids Kingdom Battle.

 

Fotografia dell’ex-presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che testa il videogioco italiano Gioventù Ribelle. La scarsa qualità del titolo portò lo Stato ad ignorare e sovvenzionare ulteriori progetti videoludici

 

A livello concreto, lo stato non ha mai investito ampiamente nell’incentivare la creazione di veri e propri studi di sviluppo o progetti AAA: al momento sono solo stati offerti dei bandi da poche decine di migliaia di euro per dei progetti amatoriali dal forte carattere narrativo, pensati più per avere un valore artistico connesso a qualcosa di pre-esistente che un gameplay profondo e d’ampie vedute. Il più delle volte, invece, gli sviluppatori indipendenti italiani devono chiedere fondi per il proprio progetto come se fosse una start-up.  

Per questo motivo molti dei nostri developers preferiscono appoggiarsi a Kickstarter o Patreon per sostenere i costi di sviluppo, o venir direttamente assoldati da studi di sviluppo stranieri. La nuova operazione di finanziamento della Gran Bretagna vuole proprio evitare questo genere di situazioni che invece regna in Italia da fin troppi anni, a causa di un mancato interesse del governo nello sviluppo della produzione videoludica nazionale.

Nonostante ciò c’è possibilità, ora che la Gran Bretagna ha fatto la propria mossa, che altri paesi europei capiscano l’importanza di spingere sulla produzione di videogiochi non solo per creare nuovi posti di lavoro ed incrementare una possibile entrata di capitale, ma anche per innovare ed evolvere in maniera conveniente per tutti tecnologie utili per il futuro.  

 

 

 

This post was published on 26 Aprile 2019 18:45

Riccardo Liberati

Classe 1997, cresciuto immerso dai libri, cartoni e videogiochi, ho sempre desiderato e provato fin dalla tenera età a creare storie fantasiose che rendessero un po' più brillante la mia vita monotona. Ho trascorso l'infanzia in solitaria, giocando a quanti più titoli possibili, spaziando dai vecchi J-RPG di Square Enix fino ai più violenti sparatutto su PC, non disdegnando nel frattempo RTS, platform e giochi di corse automobilistiche. Alle superiori riesco finalmente ad aprirmi e a trovare dei compagni con i miei stessi gusti e sogni, e capisco che non amo tanto i videogiochi, quanto la cultura ed i messaggi dietro di essi, gli stessi che ho sempre trovato nei libri, film e qualsiasi altro tipo di medium artistico. Inizio a lottare per questo concetto scrivendo all'impazzata ed accrescendo la mia cultura ancor di più, sia attraverso la scuola che attraverso gli incontri e le persone d'ogni giorno. Questo bel sogno finisce con l'arrivo all'università, periodo peggio di qualsiasi film horror che abbia mai visto e che mi costringe a mollare tutto e rifugiarmi nella mia Fortezza della Solitudine per tre anni, perdendo interesse e linfa vitale per qualsiasi cosa. Nel frattempo ho lavorato in numerosi settori, dall'aiuto vendita al libraio al tutor privato, e nel 2018 inizio a scrivere per Player.it, il mio primo incarico ufficiale come giornalista videoludico e che mi ha formato moltissimo sia nell'ambito dei videogiochi che in quello della scrittura basilare. Oggi ho ripreso a studiare grazie alla scelta repentina ed irrazionale di iscrivermi alla Scuola Holden di Torino, luogo da cui vi scrivo, abbandonando casa per la prima volta ed il luogo natale di ogni mio piccolo successo e grande fallimento. La mia speranza? Quella di poter riuscire a trovare una strada ben delineata, facendo quello che mi piace fare senza dovermi sottomettere a nessuno

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