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Chrono Trigger: il gioco modello degli ultimi 30 anni

Il 30 Aprile 2019 terminerà l’Era Heisei, iniziata nel lontano 8 Gennaio 1989 con la salita al trono dell’Imperatore Akihito che abdicherà a favore del figlio dando così inizio alla preannunciata Era Reiwa. Per i giapponesi questo è un evento epocale, la fine di un periodo lungo 30 anni pregni di innovazione, progresso ed affermazione, ma anche crisi e disagi.

In onore della fine dell’Era Heisei, la storica rivista di videogiochi Famitsu ha pubblicato nei giorni precedenti un sondaggio per decretare il videogioco più rappresentativo di questo periodo, che ha visto in prima persona l’enorme evoluzione e sviluppo del nostro amato medium.

Con oltre 30 anni di capolavori e pietre miliari tra cui scegliere, i 7,158 votanti hanno avuto pane per i loro denti, e la battaglia per il podio è stata agguerritissima. Eppure, con oltre 230 voti, il titolo che è riuscito a conquistarsi il primo posto è un J-RPG uscito nel 1995 prodotto e sviluppato da Square Soft. Stiamo parlando, ovviamente, di Chrono Trigger. 

 

L’importanza di chiamarsi Chrono

 

 

Chrono Trigger potrebbe sembrare la classica pietra miliare dell’epoca a 16 bit, un J-RPG di qualità eccelsa come i tanti capitoli di Final Fantasy, Dragon Quest, o Secret of Mana usciti su SNES. Ma Chrono Trigger è molto di più.

Chrono Trigger è quasi un miracolo ed allo stesso tempo un capolavoro preannunciato, un progetto nato dalle menti dei più grandi artisti e game designers di quegli anni: alle redini vi erano Takashi Tokita, Hironobu Sakaguchi, Yuji Horii ed ovviamente Akira Toriyama, che col suo tratto inconfondibile ha rinnovato la partecipazione con Square dando vita ai memorabili protagonisti del titolo.

 

Tutto è nato dal semplice desiderio di Sakaguchi, Horii e Toriyama di creare qualcosa di completamente diverso dai classici J-RPG di Square, di rivoluzionare ed innovare il genere con una formula più dinamica, breve e coinvolgente rispetto ai classici franchise giapponesi. In barba ai compiti assegnati dal publisher durante una vacanza in America, il Dream Team torna in patria con l’idea di un nuovo franchise che cattura subito l’attenzione di tutti.

Forse è proprio per questo che Chrono Trigger risulta così fresco e divertente fin da subito, con un protagonista muto nel quale ci si immedesima subito, una storia dal ritmo a cardiopalma e che abbraccia in poco tempo una missione millenaria e interdimensionale per salvare il mondo, un combat system basato sulla posizione e composizione del party e che disdegnava il grinding eccessivo a favore dell’improvvisazione ed immediatezza, il tutto condito con sprite ed effetti grafici di prim’ordine ed una delle colonne sonore più poetiche ed affascinanti dell’intero medium, composta dai maestri Yasunori Mitsuda e Nobuo Uematsu. 

 

 

 

In men che non si dica, Chrono Trigger diventa prima un successo di vendite e critica, poi un classico senza tempo che porterà Square a pubblicare nel corso degli anni numerosi remake per numerose piattaforme.

Square e Tokita, il Director del titolo, cercarono anche di cogliere la palla al balzo e di espandere il franchise come previsto dal Dream Team prima con una visual novel per il Satellaview chiamata Radical Dreamers, che però non riesce a soddisfare i suoi creatori, poi con un ulteriore J-RPG di alta qualità per PS1 chiamato Chrono Cross, profondamente diverso da Trigger ma con una forte connessione a livello di tematiche e storia.

 

Un Campione condivisibile da tutti?

 

Nonostante la vittoria di Chrono Trigger come rappresentante dei videogiochi dell’Era Heisei, fanno molto riflettere le due posizioni a lui sottostanti: al secondo posto troviamo infatti The Legend of Zelda: Breath of the Wild, il titolo forse più innovativo di questa generazione grazie al suo approccio all’esplorazione completamente libero e sperimentale; in terza posizione vi è invece NieR: Automata, capolavoro di Yoko Taro e Platinum Games che sfrutta tutte le particolarità ed unicità del medium videoludico per trasmettere emozioni ed esperienze impossibili da trovare altrove.

Questi due giochi, apparentemente completamente diversi tra loro, hanno due punti in comune parecchio importanti: sono stati entrambi pubblicati nel 2017, uno degli anni più produttivi ed importanti per l’industria videoludica giapponese, e soprattutto sono dannatamente recenti rispetto al “vetusto” Chrono Trigger.

Ciò significa che oltre ai due titoli attualmente più rappresentativi del Giappone in ambito videoludico, il videogioco più caratteristico, più amato e più importante degli ultimi trent’anni è un J-RPG del 1995 creato dai miglior game designer della sua epoca.

 

Questo è un risultato che rispecchia appieno i gusti e la cultura giapponese, costantemente slanciata verso il progresso ed il futuro ed allo stesso tempo memore dell’importanza del passato e delle tradizioni. Ma cosa succederebbe se fossimo noi Occidentali a dover decidere il videogioco più rappresentativo degli ultimi 30 anni? 

Per quanto negli ultimi anni sempre più publishers e developers di diverse nazionalità e mentalità si siano uniti nello sviluppo dei videogiochi, creando team multiculturali capaci di grande innovazione, l’industria videoludica da questa parte del meridiano ha un modo assai diverso di sviluppare e giocare. Siamo molto più legati alle nostre tradizioni letterarie ed artistiche, cerchiamo di trarre ispirazione da media già evoluti ed affermati e diamo maggior importanza all’impatto visivo/narrativo piuttosto che alle meccaniche di gioco.

 

 

Ad esempio, alcuni titoli che verrebbero subito in mente potrebbero essere Planescape: Torment, con la sua intrigante e profondissima storia che va a toccare temi trattati nella letteratura occidentale da migliaia di anni in un modo nuovo ed interattivo, oppure Half-Life 2, che riafferma con un nuovo motore grafico ed un level design immacolato la gratificante e coinvolgente esperienza degli FPS, o perché no The Last of Us, un titolo capace di abbattere le barriere tra film e videogioco, tra fenomeno di massa e prodotto di nicchia, il traite d’union che con la sua qualità eccelsa permise ai videogiochi di venir considerati “arte” anche da persone che prima li bistrattavano come mero prodotto d’intrattenimento.

 

 

 

 

Ma in fondo non c’è bisogno di stabilire se un determinato videogioco possa esser più influente e apprezzabile da una cultura o l’altra: ogni creatore ed artista agisce per far conoscere la propria opera a più persone possibili, e solo le grandi opere riescono ad abbattere i muri del linguaggio, della società e della storia.

In fondo un gioco come Chrono Trigger, giocato da un bambino italiano su di un Nintendo DS la mattina di Natale dopo più di 10 anni dal suo rilascio originale, è capace di trasmettere le stesse identiche emozioni che ha trasmesso ad un bambino giapponese che lo ha comprato per il suo Super Famicon. Ed è per questo che merita di rappresentare gli ultimi 30 anni del medium videoludico.

 

 

 

 

 

This post was published on 23 Aprile 2019 18:18

Riccardo Liberati

Classe 1997, cresciuto immerso dai libri, cartoni e videogiochi, ho sempre desiderato e provato fin dalla tenera età a creare storie fantasiose che rendessero un po' più brillante la mia vita monotona. Ho trascorso l'infanzia in solitaria, giocando a quanti più titoli possibili, spaziando dai vecchi J-RPG di Square Enix fino ai più violenti sparatutto su PC, non disdegnando nel frattempo RTS, platform e giochi di corse automobilistiche. Alle superiori riesco finalmente ad aprirmi e a trovare dei compagni con i miei stessi gusti e sogni, e capisco che non amo tanto i videogiochi, quanto la cultura ed i messaggi dietro di essi, gli stessi che ho sempre trovato nei libri, film e qualsiasi altro tipo di medium artistico. Inizio a lottare per questo concetto scrivendo all'impazzata ed accrescendo la mia cultura ancor di più, sia attraverso la scuola che attraverso gli incontri e le persone d'ogni giorno. Questo bel sogno finisce con l'arrivo all'università, periodo peggio di qualsiasi film horror che abbia mai visto e che mi costringe a mollare tutto e rifugiarmi nella mia Fortezza della Solitudine per tre anni, perdendo interesse e linfa vitale per qualsiasi cosa. Nel frattempo ho lavorato in numerosi settori, dall'aiuto vendita al libraio al tutor privato, e nel 2018 inizio a scrivere per Player.it, il mio primo incarico ufficiale come giornalista videoludico e che mi ha formato moltissimo sia nell'ambito dei videogiochi che in quello della scrittura basilare. Oggi ho ripreso a studiare grazie alla scelta repentina ed irrazionale di iscrivermi alla Scuola Holden di Torino, luogo da cui vi scrivo, abbandonando casa per la prima volta ed il luogo natale di ogni mio piccolo successo e grande fallimento. La mia speranza? Quella di poter riuscire a trovare una strada ben delineata, facendo quello che mi piace fare senza dovermi sottomettere a nessuno

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