È notizia di poche ore fa: Nintendo ha stretto un accordo con Tencent, colosso del gaming cinese publisher di Arena of Valor e League of Legends, per poter commercializzare Nintendo Switch e il gioco Super Mario Bros. U Deluxe in Cina. La notizia è stata appresa con grande soddisfazione dai mercati, facendo levitare le azioni della grande N di oltre 14 punti percentuale nella giornata di ieri, il più grande aumento dall’ottobre dello scorso anno. Aver sottoscritto una partnership con una azienda cinese potrebbe essere l’inizio della svolta per riuscire a penetrare nel mercato più grande del mondo.
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Le ragioni per cui le console non si siano mai affermate in Cina sono molteplici e complesse, la prima delle quali sicuramente riscontrabile in ambito legislativo. Negli anni 90 impazzavano quelle che ora chiamiamo console cinesi, ovvero versioni bootleg di console come il Sega Master System o il NES, disponibili in grosse quantità e dal prezzo contenuto.
La musica era tuttavia destinata a cambiare quando il governo cinese promulgò nel 2000 una legge che, utilizzando come pretesto la tutela dei minori, poneva delle regolamentazioni stringenti sul settore dei videogiochi. Venivano così banditi tutti quei videogiochi che presentassero contenuti violenti, erotici o politicamente sovversivi, oltre a porre un veto sul rilascio e la produzione di ogni forma di piattaforma di gioco e accessori annessi su suolo cinese.
La più diretta conseguenza fu quindi un completo stop alle importazioni di console, favorendo il progressivo sviluppo del mercato dei videogiochi per PC, tutt’ora il segmento più redditizio del gaming in Cina, nonché il più grande al mondo. Alcune aziende tentarono tuttavia di circumnavigare questo ban, sfruttando alcuni cavilli legislativi uniti al modo blando in cui talvolta vengono applicate le direttive. Nintendo, o meglio, la joint venture tra il colosso nipponico e Wei Yen, sviluppatore e imprenditore cinese chiamata iQue, ci provò con la propria iQue Player, una versione plug-n-play del Nintendo 64 con al proprio interno delle versioni di demo di Ocarina of Time, Super Mario 64 e Star Fox 64.
Ciò che permise a iQue di essere venduta fu da un lato il suo essere plug-n-play, essendo l’interezza dell’hardware mascherato all’interno del controller, dall’altro il fatto che i giochi non potevano essere comprati su supporto fisico ma era necessario recarsi in un negozio specializzato perché fossero scaricati all’interno della console. Il parco giochi della macchina è estremamente limitato anche se completamente localizzato in lingua cinese. Questo non bastò tuttavia a portare al successo iQue, diventata ormai solo oggetto di collezione e destinata ad essere bramata, per un periodo limitato, solo dagli speedrunners di Ocarina of Time. Esistono altri esempi di console che come iQue hanno tentato la sorte (ad esempio AtGames, controparte del Sega Mega Drive), ma subendone la stessa sorte.
Queste restrizioni, prima allentate nel 2014 permettendo la vendita e lo sviluppo di piattaforme di gioco in una free trading area di pochi chilometri quadrati all’interno di Shanghai e poi rimosse completamente l’anno successivo, non hanno portato ad un immediato boom del mercato: se è vero che Xbox One ha venduto 100 mila copie nella sua prima settimana di lancio, siamo ben lontani ancora dal vedere una crescita sostanziale. Se da un lato, quindi, questo lungo ban ha sortito effetti difficilmente sovvertibili, dall’altro è chiaro come le ragioni siano più complesse.
Abbiamo accennato come lo share del PC gaming sia tutt’ora il più profittevole in Cina, nel 2017 fonte di 13.1 miliardi sui 25.6 totali di profitto dell’intero settore. La maggior parte del guadagno (80%) non deriva, tuttavia, dalla vendita di software ma dalle microtransazioni presenti all’interno dei giochi. Vi è un enorme problema sul suolo cinese, che si scontra duramente contro il modello economico delle console: la pirateria. Ne ha fatto le spese in prima persona Sony, con il proprio disastroso lancio di PlayStation 2 nel dicembre 2004, vittima di pirateria non solo a livello software ma anche hardware. Tutto questo ha ovviamente giocato in favore del PC, dove piratare giochi e programmi risultava decisamente più semplice e immediato.
Questa mentalità diffusasi ha portato conseguentemente all’affermarsi in maniera egemonica di un modello free to play coadiuvato da un sistema di microtransazioni per permettere di monetizzare il gioco, bypassando le perdite derivate dalle mancate vendite. Il modello è stato applicato fruttuosamente a giochi come League of Legends con la vendita di skin e personaggi giocabili, ma il vero campo di gioco per questo modello di business è il mercato mobile.
Dei 25.6 miliardi citati in precedenza, infatti, 12.4 miliardi fanno riferimento al mercato mobile, seguendo quindi da vicino lo share dei giochi per PC e crescendo del 55% rispetto al 2016. In Cina dunque sempre più giocatori preferiscono utilizzare il proprio smartphone per giocare, da un lato poiché strumento al quale indissolubilmente legati durante l’interno corso della giornata, dall’altro poiché permette di giocare senza essere confinati entro uno spazio, sfruttando sparute sessioni di gioco durante l’intero corso della giornata.
È evidente come tale nuova concezione di gaming vada, ancora una volta, a scontrarsi con il modo di giocare da divano che offrono le varie PlayStation o Xbox: in un mercato che si allontana sempre di più dalle mura domestiche offrire un servizio sedentario pare essere quasi anacronistico, sollevando diversi dubbi sulla possibilità che vi possa essere mai un futuro per le console in Cina.
Nonostante queste critiche mosse nei paragrafi precedenti, pensiamo che Nintendo possa essere in grado di andare controcorrente e sconfiggere le avversità, entrando nel grande mercato videoludico cinese. Uno dei motivi per cui Switch ha molte più possibilità rispetto alla concorrenza è innanzitutto la sua doppia natura di console casalinga e console portatile, che la distingue nettamente dalla concorrenza. Il potersi sostituire ad uno smartphone nei momenti vuoti durante la giornata potrebbe infatti essere la chiave per riuscire a farsi strada e superare i quasi due decenni di silenzio tombale delle console in Cina.
Un’altra ragione è riscontrabile nella natura stessa dei giochi Nintendo. Abbiamo parlato di come il ban delle console fosse derivato da una più generale volontà di bandire qualunque forma di videogioco che potesse offendere la sensibilità cinese, che ci si riferisca a violenza, eroticità o politicizzazione. Non è un caso, infatti, che un videogioco del calibro di Dota 2 abbia un client a sé stante in Cina che permette agli utenti di giocare ad una versione low violence del titolo, dove ogni riferimento alla morte (teschi, sangue e interiora) è stato accuratamente censurato per rispettare la volontà del Partito.
Se pensiamo ai giochi frst party Nintendo è difficile riscontrare alcun elemento in contrasto con le direttive e le legislazioni correnti: l’essere orientati verso un pubblico più giovane, con un focus sul divertimento piuttosto che sulla grafica realistica e la violenza aiuterà sicuramente Nintendo nella sua missione di rendere Super Mario una icona anche in Cina. Mentre un futuro in cui un Grand Theft Auto possa anche semplicemente entrare dalla porta principale pare ancora lontano, vedere le nuove generazioni di bambini cinesi crescere, come è stato per noi, con i Pokémon pare essere più vicina.
Infine, non bisogna sottovalutare l’importanza del concetto di guanxi, ovvero delle connessioni. Nintendo ha scelto come proprio partner Tencent, publisher in ambito videoludico più grosso in Cina, mostrando una capacità di marketing non indifferente: da una parte per una compagnia straniera è assolutamente necessario fare affidamento ad un partner cinese, rendendo quindi questa alleanza imprescindibile, dall’altro alleandosi con una entità affermata e con una influenza vastissima, darà la possibilità a Nintendo di avere una vita più facile perché i propri prodotti vengano approvati per la vendita su questo nuovo mercato. Questo accordo tra le due compagnie non sancisce immediatamente la possibilità per le Switch di poter essere commercializzati ma, sicuramente, ne rende la possibilità una realtà concreta.
In ultima istanza un piccolo ragionamento su cosa possa comportare questa unione, in caso avesse successo. È possibile, infatti, che Nintendo recepisca l’influenza del nuovo mercato, adattandosi ad esso e cercando di spingere di più verso diversi modelli di business. Arena of Valor è già presente su Switch, e la paura è che l’influenza del peso del modello free-to-play possa influenzare il futuro della grande N.
This post was published on 19 Aprile 2019 16:22
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