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Shenmue e Yakuza | Muletti e sale giochi come simboli di libertà

Per ingannare l’attesa dell’uscita di Shenmue 3, l’account ufficiale del gioco ha pubblicato un divertente tweet in cui annuncia il ritorno di un grande classico della saga di Sega: la corsa sui muletti!

Per chi non sapesse di cosa stiamo parlando: gli originali Shenmue furono tra i più grandi esempi di libertà d’azione in un’avventura open world e tra le varie attività, che era possibile intraprendere per passare il tempo, c’era appunto la corsa in sella ai muletti (i veicoli usati nei cantieri e nelle fabbriche per trasportare i materiali).

Il tweet ha scatenato l’ironia di alcuni che si sarebbero aspettati annunci più importanti. La corsa sui muletti, d’altronde, è una cosa assolutamente inutile… ma siamo sicuri che lo sia? In realtà, il muletto è uno dei simboli maggiormente riconoscibili di libertà d’azione nei videogiochi. Vediamo il perché.

Shenmue e Yakuza: due facce della stessa medaglia

Per analizzare, brevemente, la questione bisogna rifarsi anche a un’altra serie prodotta da Sega: Yakuza. Le due serie sono diverse, ma allo stesso tempo così simili e complementari. In cosa sono diverse? Nell’approccio alla libertà d’azione. Shenmue fu il prototipo del Full Reactive Eyes Entertainment, cioè una tipologia di open world in cui l’obiettivo, nonostante ci fosse una storia da far avanzare, non era completare l’avventura per veder scorrere i titoli di coda, ma perdersi letteralmente nel mondo di gioco.

Come avveniva questo? Attraverso la totale assenza di indicatori che segnalassero la nostra meta. Per trovare l’obiettivo era necessario cercare indizi tra le vie cittadine, chiedere ai passanti e ai negozianti, acquistare cartine per orientarsi o interpretare la segnaletica stradale. In Yakuza, invece, le cose furono rese, fin dal primo capitolo uscito su PS2, più “facili”, se vogliamo usare questo termine che significa tutto e non significa alcunché. L’indicatore sulla mini-mappa segna sempre la nostra meta e avanzare nella storia diventa vitale, allineandosi al resto della produzione videoludica.

Ma in cosa allora sono uguali le due saghe? Nell’utilizzo del superfluo per creare la sensazione di libertà assoluta. Da una parte abbiamo il muletto su cui salire per accese gare contro altri operai poco propensi al lavoro, dall’altra un caleidoscopio di mini-giochi spesso ambigui.

Perché i giocatori dovrebbero fare gare sui muletti o “perdere tempo” con l’ufo catcher (il braccio meccanico che pesca i pupazzetti da una teca)? È il classico esempio di chi guarda il dito e non la luna: il muletto e l’ufo catcher (o un altro mini-gioco) sono simboli, emblemi della possibilità di sentirci liberi e giustificati nel perderci tra il profumo di ramen e le musichette di un cabinato, mentre il mondo intorno al protagonista corre e rallenta senza che siamo noi a volerlo.

Il superfluo diventa fondamentale nell’avvisarci che tutto ci è concesso.

Dissonanza in terra d’Oriente

A questo punto si ode un’altra obiezione: perché i protagonisti dovrebbero fare attività collaterali così futili quando c’è c’è un padre da vendicare (Shenmue) o una guerra tra clan da fermare (Yakuza)? Non c’è un’incongruenza tra gameplay e storia? C’è, ma solo se immaginiamo il mondo di gioco come un involucro vuoto pensato solo per il personaggio principale.

In Shenmue, in particolare, il vero protagonista è l’ambiente che ci circonda. Gli NPC lavorano, si divertono e fanno le loro cose in modo autonomo, non hanno bisogno che sia Ryo Hazuki a far scattare un evento. Ora, in un contesto così realistico come possiamo solo immaginare che il nostro personaggio possa andare dal punto A al punto B senza alcun tipo di distrazione? Nella realtà, non vi stanchereste, anche se mossi da motivi vitali, di percorrere chilometri di strade e di mettere insieme i puntini per cercare la verità?

E se questo discorso lo volessimo apportare a Yakuza, non è lecito che Kazuma Kiryu abbia bisogno di ricaricare le pile dopo aver preso e dato mazzate per due ore? Dopo tre-quattro combattimenti, non avete mai avvertito un indolenzimento del polso? Come risolvete, a parte smettendo di giocare? Intraprendendo attività che non richiedano lo smashing button.

Ecco, allora è più che realistico e coerente con la visione di libertà di gioco di Sega che anche Ryo e Kiryu abbiano bisogno del superfluo per rimettersi sulle tracce di ciò che è essenziale.

This post was published on 12 Aprile 2019 10:28

Michele Longobardi

Laureato in Lettere moderne, scopro la passione per il giornalismo quasi per caso. I videogiochi sono il mio più grande amore e così decido di coniugare le due cose. Il giornalismo videoludico diventa la mia forma finale. Per me i videogiochi sono una forma d'arte e guai a dirmi il contrario. Appassionato di tutto ciò da cui sgorga sangue: cinema horror (registi preferiti Argento e Romero), letteratura gialla e dell'orrore (autori preferiti Christie, Poe e Lovecraft) e ovviamente i videogiochi del genere (Silent Hill e Resident Evil sopra ogni cosa). Il mio videogioco preferito di sempre è Fahrenheit che ho finito un numero non precisato di volte, da lì scaturisce la mia ammirazione per tutti i lavori di David Cage. La mia "carriera" videoludica è segnata da un marchio da cui non sono mai riuscito a staccarmi: PlayStation! In circa 20 anni di gaming, ho completato più di 800 titoli.

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